Catastrofe umanitaria per i Nuba in Sudan
Dopo la fame il gas nervino?
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Bolzano, Göttingen, 19.4.2000

Nella disattenzione dell’opinione pubblica, il regime militare sudanese sta intensificando la propria guerra contro la popolazione civile delle montagne Nuba. I circa due milioni di Nuba, all’ombra della catastrofe della fame nel Corno d’Africa, possono essere annientati.

Già nel 1993 l’Osservatore straordinario delle Nazioni Unite Gaspar Biro definiva “un genocidio” la guerra contro i Nuba ed i Sud-Sudanesi. Anche oggi il Sudan potrebbe ricorrere alle armi chimiche, come già nel luglio 1992, quando, secondo testimoni oculari interrogati dall’organizzazione “Medici senza Frontiere”, i villaggi di Lainya e di Loka furono bombardati con gas nervino. I risultati delle analisi al suolo, effettuati dalle Nazioni Unite, non sono tuttavia mai stati resi noti. Per allontanare il sospetto che contro la popolazione civile si stiano adoperando queste armi vietate dal diritto internazionale, l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) richiede con urgenza all’Unione Europea ed agli Stati membri di indagare su queste accuse. La nostra organizzazione per i diritti umani si appella inoltre nuovamente anche alle imprese petrolifere, affinché, in relazione al genocidio in corso, si ritirino dal Sudan meridionale.

La settimana scorsa il vescovo di El Obeid, Macram Max Gassis, si è dichiarato convinto che Kartum abbia avviato un nuovo tentativo per completare la distruzione dei Nuba. Secondo notizie riferite dall’organizzazione Nuba Solidarity Abroad, ad El Obeid sarebbero state stivate armi chimiche in containers di lamiera bianca. Dal mese di  marzo una consistente quantità di truppe si è concentrata nella base militare di Kadugli, dove già sono stanziate otto divisioni. L’armata sudanese sta avanzando contro i Nuba su quattro fronti. Secondo i dati dell’ACNUR, il numero dei profughi in fuga dal Sudan sta spaventosamente crescendo. Più di 400 profughi alla settimana giungono nel Kenia; nel mese di marzo ne sarebbero arrivati altri 900 in Uganda e 5.500 in Etiopia.

Anche nella regione petrolifera immediatamente confinante, nella parte settentrionale del Sud Sudan, la situazione si sta drammaticamente aggravando. Nei giorni scorsi almeno 105 persone sarebbero state uccise, e 26 giovani uomini sarebbero stati mutilati delle mani o dei piedi.

Il governo islamico radicale del Sudan fa di tutto per espellere la popolazione nera-africana dall’area petrolifera. Mentre alle organizzazioni umanitarie è vietato l’ingresso nella regione, i collaboratori delle multinazionali del petrolio possono entrarvi liberamente. I lauti profitti del commercio del petrolio, cui sono interessate anche imprese occidentali, finanziano il bilancio di guerra. È quindi grazie al petrolio che Kartum può proseguire il genocidio contro i Nuba e contro i Neri africani. Solo la settimana scorsa il Presidente sudanese Al-Bashir ha dichiarato all’agenzia di stampa sudanese SUNA che il tempo per i colloqui di pace è finito: “ora, al posto nostro, lasciamo parlare i fucili e le bombe”.
 

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