L’APM protesta contro la condanna a morte di Abdlullah Ocalan

L’Italia e l’UE devono costringere la Turchia a una soluzione pacifica della questione kurda
Evitare nuove forniture di armi

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Bolzano/Göttingen, 2 luglio 1999


Dopo la promulgazione della pena di morte contro il presidente del PKK Abdullah Ocalan, il Governo italiano e l’UE dovrebbero impegnarsi per una soluzione pacifica e democratica della questione kurda in Turchia. Questa richiesta è stata avanzata dell’Associazione per i popoli minacciati (APM).

L’APM critica decisamente il Ministro della Difesa tedesca Rudolf Sharping che secondo informazioni del settimanale tedesco “Der Spiegel” nonostante le gravi violazioni dei diritti dei Kurdi accoglie la domanda di una fabbrica d’armi tedesca per poter fornire 120 carri armati tedeschi tipo “Fuchs” alla Turchia, partner Nato. Inoltre Scharping sta appoggiando l’assegnazione di una licenza per la costruzione di altri 1.800 carri armati in Turchia.

“Se adesso non sarà esercitata una pressione sulla Turchia perchè conceda ai Kurdi i diritti civili ed umani, si rischia una nuova radicalizzazione del fronte di liberazione kurdo, anche negli stati dell’UE”, averte l’APM. “A nessun costo si devono concludere nuovi contratti per forniture di armi. Ciò esorterebbe il Governo di Ankara a continuare la sua politica di repressione.”

Fino ad oggi organizzazioni, istituzioni e partiti democratici Kurdi sono vietati, ed in vigore leggi per l’oppressione di minoranze etniche e religiose. “Molti Kurdi sono disperati. Hanno assistito all'intervento della comunità internazionale a favore dei Kosovari e vedono come migliaia e migliaia di profughi possono ritornare a casa. Ma nè l’UE nè l’ONU fanno uno sforzo per affermare i diritti dei Kurdi in Turchia, per garantire il rimpatrio ai profughi, per reclamare la ricostruzione dei villaggi distrutti”, spiega l’APM.

Secondo un rapporto di una Commissione Investigativa Ufficiale del parlamento turco 3.428 villaggi Kurdi sono stati evacuati soprattutto dall’esercito turco e da unità speciali, poi quasi sempre distrutti e 2,5 milioni Kurdi messi in fuga.
 

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