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Nigeria: opposizione alla crescente devastazione ambientale nel delta del Niger

Popolazione nativa protesta per la vendita dei pozzi petroliferi

Bolzano, Göttingen, 6 novembre 2013

Sfruttamento petrolifero sul delta del Niger (gas flaring). Sfruttamento petrolifero sul delta del Niger (gas flaring).

In Nigeria cresce l'opposizione e la protesta contro la devastazione ambientale causata dall'estrazione petrolifera e soprattutto contro il tentativo delle maggiori multinazionali petrolifere di sottrarsi alla responsabilità di appianare i disastri da loro provocati. In particolare la popolazione nativa del delta del Niger ha minacciato di occupare i pozzi petroliferi della Shell Petroleum Development Company (SPDC) se questa dovesse dare seguito all'annuncio di voler vendere un pozzo petrolifero nello stato federale del Delta. In una lettera indirizzata lo scorso 5 novembre al governatore dello stato, le comunità indigene degli Olota, Esanma e dei Gbaregolor chiedono alla Shell di assumersi la responsabilità per i loro pozzi petroliferi e di impegnarsi con un apposito accordo per la tutela dell'ambiente.

L'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) teme che i progetti di vendita dei pozzi petroliferi da parte di Shell e di altre multinazionali petrolifere abbiano lo scopo di aumentare i profitti a spese delle popolazioni locali. Dopo decenni di devastazione ambientale dovuta all'estrazione selvaggia di petrolio e il conseguente deterioramento delle condizioni di salute e di vita delle popolazioni autoctone, Shell, Total, Chevron e Eni tentano ora di sbarazzarsi delle loro responsabilità e dei costi derivanti dalla loro attività vendendo diversi pozzi sulla terra ferma a imprese locali. Tuttora infatti non è chiaro se e fino a che punto le compagnie potranno in futuro essere chiamate in causa per danni causati dall'estrazione petrolifera. Così la vendita dei pozzi sulla terra ferma potrebbe diventare un'ottima soluzione a diversi problemi: da un lato le compagnie trasferirebbero ai nuovi proprietari anche le conseguenze della loro attività e non essendo più direttamente associate alle devastazioni ambientali e sociali del luogo vi sarebbe un netto miglioramento di immagine, dall'altro lato le compagnie non dovrebbero più occuparsi di problemi spinosi come i costanti contrasti con la popolazione locale o la pratica diffusa di danneggiare gli oleodotti per rubare petrolio. Nel delta del Niger ogni giorno si perdono circa 100.000 barili di olio per furto.

Ora le multinazionali petrolifere sembrano essere intenzionate a mantenere solo i pozzi al largo delle coste nigeriane. Shell, Total, Chevron e Eni hanno in parte già venduto e in parte sono intenzionate a vendere altre licenze per l'estrazione petrolifera nel delta del Niger. I primi di ottobre 2013 un consorzio composto da Shell, la francese Total e l'italiana Eni ha messo in vendita le licenze di estrazione 18, 24 e 25. Secondo voci provenienti dal settore dell'industria petrolifera la Shell avrebbe venduto dal 2010 a oggi otto licenze (4, 26, 30, 34, 38, 40, 41, 42) con un ricavato di oltre 2 miliardi di dollari. La compagnia statunitense ConocoPhillips che opera nel delta del Niger da oltre 46 anni, ha venduto i propri pozzi per un controvalore di 1,7 miliardi di dollari. La Shell sembra inoltre intenzionata a vendere anche l'importante oloeodotto Nembe-Creek, che nel 2012 ha dovuto essere chiuso diverse volte per i furti di petrolio subiti.