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Bosnia

CERCHIAMO GIUSTIZIA

Un dossier dell'Associazione per i popoli minacciati Sezione Bosnia Erzegovina, Sarajevo Settembre 2000

INDICE GENERALE

Prefazione (Tilman Zülch) | Introduzione (Fadila Memiševic) | Impressum

PARTE I - Risultati delle indagini in Erzegovina

Stolac: lista dei dispersi e degli uccisi | Mostar: lista dei dispersi, lista delle esumazioni | Livno | Čapljina: lista dei dispersi, lista delle esumazioni | Prozor: lista delle esumazioni, lista dei dispersi | Trebinje | Nevesinje: lista dei dispersi, lista delle esumazioni | Gacko: lista delle persone assassinate, lista dei dispersi

Cartine
Stolac | Mostar | Livno | Čapljina | Prozor | Trebinje | Nevesinje | Gacko

PARTE II - Tavola rotonda: "Cerchiamo giustizia"
Munevera Rahimić, giudice inquirente della Corte Suprema di Mostar | Tarik Sadović, Presidente del Klub di Trebinje, deputato nel Parlamento della RS | Heidi Rudolf, Katharina-Werk, Svizzera, Tribunale Permanente dei popoli, Roma | Sentenza del Tribunale Permanente dei Popoli, 11.12.1995 | Mehmet Dizdar, profugo da Stolac | Behdžet Mesihović, ex-internato, già presidente dell'Unione degli ex-internati di Mostar

Testimonianze oculari

Appendice: Ivan Lorenović, scrittore | Stipe Mesić | Warren Zimmermann, ex ambasciatore USA | Noel Malcolm, storico, Università di Cambridge | Klub della patria "Bosanska Posavina" | Mirko Pejanović, presidente del Consiglio Civico Serbo, Sarajevo

Glossario | Cronologia degli avvenimenti

Prefazione (Tilman Zülch) .: su :.

Davanti a noi abbiamo un rapporto sui crimini di guerra commessi in Erzegovina contro la popolazione civile, prima da truppe serbe e poi da truppe croate. Questo rapporto è stato presentato da un gruppo di collaboratori della sezione bosniaca dell'Associazione per i Popoli Minacciati (Društvo za ugrožene narode za Bosnu i Hercegovinu) diretto da Fadila Memiševic. Sono stati intervistati quasi 1.000 testimoni oculari sopravissuti, la maggior parte dei quali oggi sono profughi o deportati, che finora non sono potuti ritornare in patria.

Già nella primavera del 1992, l'Associazione per i Popoli Minacciati aveva raccolto sul posto informazioni sui crimini di guerra nella Bosnia del Nord e le aveva pubblicate in un primo rapporto. Nell'autunno del 1992 furono poi intervistati degli ex-prigionieri dei campi di concentramento serbi della circoscrizione di Prijedor nel campo di smistamento di Karlovac. Dall'aprile del 1993 l'Associazione per i Popoli Minacciati aveva collaborato con la Commissione d'Inchiesta delle Nazioni Unite presieduta da Cherif Bassiouni e in seguito, dal 1993 al 1995, aveva ripetutamente consegnato al Tribunale dell'Aia materiale relativo a interviste di testimoni. Alcune segnalazioni fornite al Bundeskriminalamt tedesco dall'Associazione per i Popoli Minacciati, hanno portato all'arresto e alla condanna di diversi criminali di guerra serbi.

Oggi non vi è più alcun dubbio che nell'ex-Jugoslavia sia stato commesso un genocidio. Nei confronti di alcuni fra i principali responsabili, quali Slobodan Miloševic, Radovan Karadžic e Ratko Mladic, sono state promosse accuse presso il Tribunale dell'Aia. Tuttavia gran parte della comunità occidentale non ha a tutt'oggi intrapreso alcun'azione seria per arrestare i principali responsabili serbo-bosniaci, i quali sin dall'inizio erano diretti da Miloševic. E non serve a cambiare di molto le cose nemmeno il fatto che, all'inizio di marzo del 2000, le autorità degli Stati Uniti abbiano pubblicato dei manifesti in lingua inglese che indicavano come ricercati i tre suddetti principali responsabili.

Appare utile delineare nuovamente nel suo insieme il genocidio perpetrato in Bosnia, dal momento che il presente rapporto documenta alcuni aspetti di questo crimine di guerra, pianificato ed attuato in modo sistematico. Dal 1992 al 1995 diverse Istituzioni europee e vari portavoce di Governi europei hanno tentato di negare il genocidio, parlando di "crimini commessi da tutte tre le parti in guerra" e di mascherarlo usando il termine "guerra civile". In questo modo veniva anche sottaciuta l'aggressione compiuta da Belgrado. Oggi, sulla base di approfondite indagini, risulta che dal 1992 al 1995 il Governo di Miloševic ha condotto una guerra di aggressione mirata contro la Repubblica della Bosnia Erzegovina. Gli Stati Maggiori unificati progettavano le azioni e dirigevano le truppe serbe in Bosnia. Dall'aprile del 1993 al marzo del 1994 anche le truppe croate hanno partecipato alla distruzione della Bosnia Erzegovina.

Nella primavera, nell'estate e nell'autunno del 1992 l'Esercito Popolare Jugoslavo aveva compiuto azioni militari contro città e villaggi per lo più disarmati nell'Est, nel Nord e nell'Ovest della Bosnia, in coordinazione con unità paramilitari serbe. Allo stesso tempo vennero armati dei nazionalisti serbi del luogo, i quali furono a loro volta impiegati in azioni contro la popolazione non-serba. Precedentemente erano stati uniformati i mass-media locali e regionali e l'amministrazione era stata epurata dei collaboratori non-serbi. Paesi e quartieri di città indifesi erano spesso bersagliati dall'artiglieria. I Musulmani, i Croati, i Rom e gli altri non-serbi venivano selezionati in base a diversi criteri. I civili di sesso maschile tra i 16 ed i 60 anni venivano trasferiti in campi di internamento e di concentramento, e in parte eliminati già sul posto o durante le marce forzate verso i lager, nei quali furono poi uccise decine di migliaia di persone, molte delle quali appartenenti alle élites. Della strategia della "pulizia etnica" faceva parte anche lo stupro sistematico delle donne, soprattutto musulmane. Secondo le stime della Commissione di esperti delle Nazioni Unite presieduta dal Professor Cherif Bassiouni, sono state vittime di dette violenze almeno 20.000 donne. In varie zone dei territori occupati dai Serbi esistevano veri e propri lager di stupro, dove le violenze venivano perpetrate anche per mesi.

I bambini, le donne e gli anziani rimasti venivano trasportati in Croazia o in Bosnia centrale dentro vagoni merci, in convogli di autobus o di autocarri. Durante questi trasferimenti forzati e il trasporto nell'altra parte della Bosnia dei prigionieri sopravissuti ai campi di concentramento, venivano compiuti continui massacri. Prima delle deportazioni, le vittime dovevano cedere i propri averi alle autorità serbe. Gli abitanti delle enclavi nella zona tra Bihac e Goražde, che si erano opposti con successo e in alcuni casi anche per quattro anni alla cacciata, furono bersagliati per anni dai carri armati e dall'artiglieria, nonostante le loro città fossero state dichiarate territori protetti dalle Nazioni Unite. A Sarajevo l'elenco dei morti della città comprende attualmente circa 10.000 nomi di persone vittime dei quattro anni di attacchi armati.

In tutti i territori occupati dai Serbi furono distrutti i monumenti culturali, soprattutto dei Musulmani, ma anche dei Cattolici. Ben 1.183 moschee furono rase al suolo. Il genocidio compiuto dai Serbi in Bosnia terminò nel luglio del 1995 con le esecuzioni in massa di circa 8.000 tra uomini e ragazzi della città di Srebrenica ad opera delle truppe d'azione serbe al comando del Generale Ratko Mladic. La caduta della città, la selezione e lo sterminio di 10.000 dei suoi abitanti furono favoriti dal comportamento increscioso delle truppe NATO olandesi e dalla collaborazione dei Governi occidentali con Miloševic.

Secondo l'inviato speciale delle Nazioni Unite, Tadeusz Mazowiecki, l'80% di tutti i crimini di guerra avvenuti in Bosnia Erzegovina sarebbe stato commesso da truppe serbe. La CIA in un rapporto, pubblicato dal New York Times nonostante fosse segreto, sostiene che il 90% delle uccisioni sia stato commesso dalla parte serba. Non vi sono statistiche certe riguardo al numero delle vittime civili. Generalmente i mass-media internazionali parlano di 200.000 morti.

Molti sostenitori della Croazia non hanno mai voluto prendere atto del fatto che la Croazia fosse divenuta, dopo la Slovenia, la seconda vittima dell'aggressione serba e che essa stessa abbia poi a sua volta aggredito la Bosnia. Truppe serbe erano penetrate profondamente in Croazia, occupando un terzo del Paese, e minacciavano di dividere in quattro parti il restante territorio non occupato a nord di Lipik, presso il ponte di Moslenica e nei pressi di Karlovac. Oltre 10.000 croati e appartenenti ad altre nazionalità minori della Croazia furono uccisi. La magnifica città barocca di Vukovar fu completamente rasa al suolo. Gli abitanti che erano stati assassinati furono sotterrati in fosse comuni intorno alla città. Per mesi la città di Dubrovnik (Ragusa) fu assediata e bombardata. Centinaia di paesi furono distrutti, e ovunque nei territori occupati furono incendiate le chiese cattoliche e profanati i cimiteri.

In questa situazione l'allora Ministro degli Esteri tedesco Hans Dietrich Genscher si pose a capo di quegli Stati che volevano appoggiare la Croazia e diede inizio ad una catena di atti di riconoscimento da parte degli Stati dell'Unione Europea. Tre mesi dopo contingenti delle Nazioni Unite divisero le forze armate serbe e croate. Quest'iniziativa di pace tedesca venne poi strumentalizzata da parte dei partiti della sinistra tedesca, ma anche da parte di singoli uomini politici europei e americani, che la trasformarono nell'assurda "leggenda della pugnalata": il Governo tedesco in questo modo avrebbe dato inizio allo sgretolamento della Jugoslavia. Ma la "colpa" della Germania non consisteva tanto nell'aver prestato il suo aiuto nel corso della più grave crisi in Croazia, quanto nel rifiuto da parte del Governo Kohl-Genscher di ritirare l'appoggio a Tudjman quando questi nel maggio del 1993 attaccò con le sue truppe la Bosnia Erzegovina al fine di distruggerla assieme a Miloševic. Invano nel corso di conferenze stampa, di interviste radiofoniche o televisive avevamo rinfacciato al Ministro degli Esteri Klaus Kinkel, di tollerare i metodi di governo autoritari del Presidente Tudjman e i crimini da lui commessi in Bosnia e in Krajina. Nel corso di un colloquio durato un'ora, svoltosi il 27 aprile 1994 presso il Ministero degli Esteri, cercai di convincere il Ministro degli Esteri Klaus Kinkel ad emanare delle sanzioni contro la Croazia, spiegando che la Croazia da vittima era diventata autrice di crimini. Quest'appello risultò però vano, così come vane furono le sollecitazioni provenienti da altre personalità e istituzioni.

Evidentemente il Presidente Tudjman aveva concordato sin dall'inizio con il Governo di Miloševic la spartizione della Bosnia Erzegovina. Ai colloqui serbo-croati svoltisi a Karadordevo nel marzo del 1991 tra i Presidenti Miloševic e Tudjman fecero seguito a Graz, nel febbraio del 1992, i colloqui sulla spartizione tra Radovan Karadžic e Mate Boban. Quanto fossero radicali gli obiettivi di dette contrattazioni emerge da una conversazione avvenuta fra Bogdan Vucurovic, il sindaco di Trebinje, e il luogotenente di Tudjman, Mate Boban, nello Stato vassallo di quest'ultimo, la Herceg-Bosna. Il sindaco chiede dove debba correre la linea di confine tra la Croazia e la Serbia. Attraverso Mostar, in mezzo alla Neretva, pare abbia risposto Boban. Alla domanda su dove sarebbero rimasti i Musulmani, Boban si sarebbe limitato ad indicare il fiume. Così le truppe croate hanno diviso la popolazione multietnica di Mostar: la maggior parte dei Musulmani, i Rom e gli ultimi Serbi furono cacciati attraverso il ponte nella piccola città vecchia, dove per otto mesi subirono uno spietato fuoco incrociato, mentre nella parte Ovest della città, divenuta croata, si sorseggiava tranquillamente il caffè per strada.

Il leader del "partito liberal-democratico", Paddy Ashdown, riferisce di un colloquio avuto il 6 maggio 1995 con il Presidente croato durante un banchetto ufficiale offerto dal Lord Major of London nella Guildhall a Londra. In quell'occasione, Tudjman aveva fatto su un foglio del menù uno schizzo della spartizione della Bosnia Erzegovina tra la Serbia e la Croazia. Evidentemente Tudjman non si rendeva conto di aver rivelato i suoi obiettivi di spartizione proprio ad un politico britannico che, contrariamente al Governo Major, cercava in tutti i modi di evitare la divisione della Bosnia Erzegovina e la "pulizia etnica" ad essa collegata.

Le conseguenze dell'intervento croato in Bosnia Erzegovina sono note. Gli alleati divennero nemici. Tudjman diede inizio nel sud del Paese a quello che le truppe serbe avevano già attuato a Nord, a Ovest e ad Est: la "pulizia etnica". Il presente rapporto sui diritti umani documenta episodi locali di questi crimini di guerra. Decine di migliaia di Musulmani si ritrovarono nei campi di internamento, i quali, come nella Bosnia occidentale, rischiavano di diventare dei veri e propri campi di concentramento. Tra questi spicca il lager Heliodrom. Anche nel sud della Bosnia Erzegovina la cacciata in massa avvenne con il ricorso a minacce e a veri e propri crimini di guerra. Anche per questo si verificarono sollevazioni in città e paesi come Ahmici, in cui morirono più di cento abitanti. Solo chi ha conosciuto queste persone è in grado di comprendere pienamente cosa esse abbiano passato e cosa forse devono sopportare ancor oggi. Ricordo il ritorno nel paese completamente distrutto di Ahmici. Ricordo le cantine e delle case con i segni delle granate a mano, che a partire dall'inizio di agosto del 1998 dovrebbero essere ricostruite; mi ricordo di quel padre che teneva per mano la figlia di otto anni, la cui moglie ed il cui figlio erano morti lì. Di fronte a tutto ciò, la condanna di alcuni dei responsabili (Generale Tihomir Blaškic, comandante Kupreškic) è solo una magra consolazione. Già nell'autunno e nell'inverno 1992/93 in Erzegovina l'amministrazione e le truppe croate cominciarono a bloccare le principali e vitali linee di rifornimento verso la Bosnia, confiscando gli aiuti umanitari e le armi, minacciando le persone ed eliminando i conducenti dei convogli. Agli inizi di febbraio del 1993 ebbi la possibilità di accompagnare l'allora Presidente del Bundestag, prof.ssa Rita Süssmuth, in una visita ufficiale a Zagabria.

In una cerchia ristretta di sei persone riuscii a parlare al Presidente del Parlamento croato Stipe Mesic dell'incombente aggressione croata della Bosnia. Mesic negò tutto, sfuggendo come un'anguilla: evidentemente la cosa lo imbarazzava. A distanza di un anno, dopo l'aggressione ed il genocidio nella "Herceg-Bosna", Mesic ammise tutto e abbandonò il partito di Tudjman. Oggi, in qualità di Presidente della Croazia, ha annunciato di voler porre rimedio a quanto accaduto. Ai separatisti croati della "Herceg-Bosna" verrà negato qualsiasi finanziamento da parte della Croazia.

Le cose non si mettono in modo molto diverso il giorno seguente con Mate Granic, l'allora vicepresidente dell'HDZ. Questi allontana l'interprete e il suo segretario personale dalla stanza, stende sul tavolo alcune mappe dettagliate del fronte della Bosnia Erzegovina e comincia a decantare la fratellanza tra Bosniaci e Croati. Ma già poche settimane dopo inizia il secondo atto della tragedia bosniaca: truppe croate occupano varie città della Bosnia, in alcune delle quali, come Mostar, Žepce, Capljina, si pratica la "pulizia etnica". Ovunque, fino alla regione intorno a Tuzla, Tudjman cerca di strumentalizzare i croati di Bosnia ai fini della sua politica separatista. Le forze armate bosniache rispondono agli attacchi. Ne consegue una fuga di massa, anche di Croati, verso il Sud, che si tramuta in parte in una vera e propria espulsione.

Nel giugno del 1993, a Vienna, durante la Conferenza mondiale dell'ONU sui diritti umani, ci imbattiamo in Mate Granic, nel frattempo diventato Ministro degli Esteri, seguito dalla delegazione croata. "Adesso è lei il responsabile dei crimini di guerra commessi dalle sue truppe in Bosnia Erzegovina" gli dico. Granic appare visibilmente turbato e spaventato, si schermisce e prosegue. In seguito, nel settembre del 1993 occupiamo per due giorni l'ambasciata croata a Bonn. Un gesto estremo, compiuto perché nel campo di internamento Heliodrom si trovavano 10.000 prigionieri. Vogliamo che Omarska non si ripeta più. L'ambasciatore non ci denuncia per violazione di domicilio. Al contrario, per due giorni siamo trattati con ospitalità. Ma la notizia fa il giro dell'Europa, grazie alle troupes televisive che ci avevano accompagnati. Gli stessi prigionieri di Heliodrom, apprendo tre anni dopo da persone che erano state in quel campo, erano al corrente dell'occupazione dell'ambasciata, ma consideravano questo gesto solo come un piccolo segno di speranza.

"Ieri vittime, oggi criminali", così intitolammo alcune lettere aperte in lingua croata, indirizzate al Presidente Franjo Tudjman e al Cardinale croato Franjo Kuharic. Nel luglio del 1993 distribuimmo queste lettere in forma di volantini in Piazza Jelacic a Zagabria. La nostra manifestazione fu interrotta con la violenza, gli striscioni vennero strappati e noi fummo condotti alla centrale di Polizia, quindi scortati fuori del Paese. Forse il fatto che le televisioni internazionali abbiano fatto conoscere al mondo quest'atto di protesta ha contribuito a far sì che i crimini di guerra commessi dai Croati non giungessero ad assumere le stesse terribili proporzioni dell'aggressione compiuta da Miloševic. Soltanto dopo che il 22 marzo del 2000 il neoeletto Presidente croato Stipe Mesic ebbe assunto il suo incarico, fu reso noto il rinvenimento di 13.000 fra documenti e registrazioni di colloqui di Franjo Tudjman in una stanza chiusa a chiave. Tra questi vi erano anche dei nastri registrati riguardanti i numerosi colloqui segreti svoltisi tra Tudjman e Miloševic a partire dal 1991.

Ma dopo la riconquista della Krajina, nel luglio del 1995 le truppe croate, su ordine di Franjo Tudjman, imperversarono anche nella stessa Croazia. Agli inizi d'agosto del 1995, pochi giorni dopo che i Croati ebbero ultimato l'"Operazione Tempesta", effettuammo delle ricerche in sette villaggi tra Knin e Drniš. 200.000 Croati di Serbia, tra i quali gli abitanti di tutti questi paesi, erano fuggiti o erano stati scacciati. Tutto quello che possedevano era stato saccheggiato e distrutto sistematicamente. Si voleva così rendere impossibile un loro eventuale ritorno. Questo lo capii subito chiaramente dai colloqui che avemmo in seguito con il Ministro per i profughi Adalbert Rebic e con il Ministro degli Esteri supplente Ivan Simonovic. Dei crimini di guerra commessi contro civili croati di etnia serba non si voleva sentir parlare. E dire che centinaia di vittime civili erano state sotterrate in fosse comuni! La Krajina è ancora oggi una provincia in gran parte abbandonata. In numerose zone i paesi e i campi sono deserti.

Il deciso cambio di Governo e di Presidente in Croazia ha dato nuova speranza a molte persone. I profughi serbi e musulmani bosniaci adesso sperano in un rapido ritorno in Krajina e nei territori di Bosnia attualmente controllati dai Croati. La nuova classe politica di Zagabria non intende continuare a finanziare, né ad appoggiare le strutture antidemocratiche in Herceg-Bosna. I primi passi verso la neutralizzazione del distretto di Brcko sono già stati compiuti. Anche in questa zona dovrà aver luogo un graduale reinsediamento della popolazione non serba scacciata. Così il compito della comunità internazionale rimane quello di attuare dei cambiamenti nella zona serba della Bosnia Erzegovina, per permettere un ritorno in massa della popolazione non-serba che era dovuta fuggire: Musulmani bosniaci, Croati, "Misti" e Bosniaci Rom. Solo allora in Bosnia Erzegovina potrà ritornare la pace.

Introduzione (Fadila Memiševic) .: su :.

Questo rapporto dell'Associazione per i Popoli Minacciati si basa su materiale che documenta le violazioni di tutti i tipi di diritti umani commesse dal 1992 al 1995, nel corso dell'aggressione contro la Bosnia Erzegovina. Abbiamo raccolto detto materiale nell'arco di un anno nel territorio dell'Erzegovina. Purtroppo, anche dopo la firma dell'accordo di pace di Dayton, si verificarono in quella zona continue violazioni di diritti umani.

Siamo stati in grado di completare la nostra raccolta di materiale relativamente alle seguenti città, compresi i paesi circostanti: Mostar, Capljina, Prozor, Livno, Stolac nella cosiddetta Herceg-Bosna, Trebinje, Nevesinje e Gacko nella Republika Srpska.

Le nostre osservazioni portano a concludere inequivocabilmente che nel territorio della Herceg-Bosna viene attuato una vera e propria apartheid nei confronti della popolazione non-croata. La Herceg-Bosna, questa struttura fantoccio che non è riconosciuta da nessuno, esiste ancora oggi come parte della realtà politica. I profughi ritornano solo molto lentamente o, come nel caso della zona occidentale di Mostar, non ritornano affatto. A Stolac sono stati registrati 70 attacchi contro Musulmani che stavano ritornando.

Nel 1993 circa 2.000 tra Musulmani e Serbi furono licenziati dalla fabbrica di alluminio di Mostar. A Livno ai Musulmani bosniaci è addirittura vietato lavorare. Essi non possono nemmeno far registrare un'associazione di ex-prigionieri dei lager. Nelle città di Trebinje, Nevesinje e Gacko nella Republika Srpska, la situazione è particolarmente difficile. Ormai in quelle città vivono praticamente quasi solo Serbi.

Le nostre osservazioni e le nostre esperienze a contatto con i profughi e le vittime dei campi di concentramento, degli stupri, delle deportazioni e delle esecuzioni di massa hanno evidenziato che queste persone sono ancora in preda al panico. Solo pochissimi sono disposti a testimoniare davanti al Tribunale dell'Aia. La loro paura è del tutto comprensibile, se si considera che la maggior parte dei loro aguzzini è tuttora al potere.

Anche per questo motivo abbiamo organizzato la tavola rotonda "Cerchiamo giustizia - sostenere lo sviluppo del processo democratico come base per la rappacificazione e la ricostruzione di una società multietnica in Erzegovina". Crediamo che la pace non possa essere instaurata senza giustizia. Senza l'ammissione della colpa non vi può essere alcuna guarigione e senza guarigione non può esserci la pace.

Al centro di questo processo non c'è solo il riconoscimento delle sofferenze delle vittime, ma anche la presa di coscienza del fatto che la colpa non è di tutto un popolo o di una nazione, ma che invece, di norma, ogni singola persona ha la propria responsabilità. In tutte le comunità vi sono persone buone che hanno combattuto coraggiosamente per il rispetto dei diritti umani, rischiando anche la propria vita. Queste persone facevano però anche parte allo stesso tempo della comunità che ha commesso i crimini più atroci. È necessario che anche ciò venga riconosciuto, affinché per noi vi sia la possibilità di ottenere la pace e la giustizia.

Che cos'è per noi la pace? Significa arrestare e punire tutti i criminali di guerra. C'è qualcuno che crede seriamente che la pace senza giustizia sia una vera pace? C'è qualcuno disposto a credere che centinaia di migliaia di vittime potranno accettare tutto questo? Che non cercheranno giustizia? E che, se giustizia non sarà fatta, non prenderanno il diritto nelle proprie mani e si vendicheranno da sé? Proprio quando si tratta di crimini contro la persona, come l'assassinio, lo stupro o altre forme di violenza fisica, la vittima solitamente conosce il colpevole. Ma la vittima non va alla Polizia per sapere lì quello che è successo, non sporge denuncia per portare il suo caso davanti ad un Tribunale, perché conosce già la verità. Il suo scopo è di solito far sì che la società riconosca ufficialmente ciò che essa ha subito. Solo questo è veramente importante per la vittima, solo questo è l'oggetto del diritto e della giustizia. Ciò che importa è che vi sia il riconoscimento di quanto accaduto.

Per questo motivo abbiamo svolto le nostre indagini proprio nel territorio dell'Erzegovina. L'Erzegovina, infatti, subì una duplice aggressione: quella serba nel maggio del 1992 e quella croata nell'aprile del 1993. Contro la piccola Erzegovina s'infransero i sogni di coloro che volevano creare la Grande Serbia e la Grande Croazia. Nel periodo tra l'aprile ed il luglio del 1992, nel corso della guerra d'aggressione serba, nell'Erzegovina occidentale fu fatta "pulizia etnica" degli appartenenti alla popolazione non-serba (Gacko, Nevesinje, Bileca e Trebinje). I Musulmani e i Croati, assieme alle forze unite dell'HVO e della difesa territoriale tentarono di mantenere il territorio. Poi, il 19 aprile 1993, fu reso noto che i Musulmani di Mostar, Stolac, Capljina, Prozor, Jablanica, Konjic, Livno e Tomislavgrad sarebbero stati posti agli ordini dell'HVO. Ma essi si rifiutarono.

Contemporaneamente, nell'ambito della Bosnia Erzegovina, Stato internazionalmente riconosciuto, fu alacremente avviata la creazione del parastato Herceg-Bosna. Questo Stato satellite comprende le comunità che sono prevalentemente abitate da Croati, ma si estende anche a territori nei quali la popolazione è mista croato-musulmana. Le unità di combattimento di questa "comunità" separata dal resto del territorio rifiutarono qualsiasi subordinazione al Governo bosniaco e si fecero strada da sé commettendo uccisioni e assassini.

Nella Herceg-Bosna, in aperta violazione della Costituzione bosniaca, furono introdotti il diritto croato, la moneta croata, i francobolli croati e libri scolastici croati. Ciò avvenne in modo simile a quanto attuato dai Serbi nei territori croati occupati, quali Krajina, Baranja, Lika. Attraverso i mezzi di comunicazione croati, soprattutto la televisione e la radio di Stato, il Presidente croato Tudjman, in conformità al modello totalitario serbo, iniziò una campagna di sobillazione contro i Musulmani ed il Governo bosniaco che proseguì per diversi mesi.

A Zagabria già nel febbraio del 1993 furono vietate le manifestazioni dei Bosniaci e nel giugno del 1993 furono vietati anche i giornali bosniaci. In luglio la Polizia militare croata cominciò ad irrompere nottetempo nei campi-profughi dell'organizzazione umanitaria tedesca Cap Amur a Capljina, e a rapire intenzionalmente profughi bosniaci. Nel corso di uno di questi assalti, due collaboratori tedeschi dell'Organizzazione furono tenuti prigionieri per 20 ore. Il loro principale disse che il comportamento della Polizia militare gli ricordava la prassi dei regimi totalitari di cui lui stesso aveva fatto esperienza. Nei pressi del Mare Adriatico, l'équipe tedesca di medici d'urgenza fu testimone della cacciata di profughi bosniaci dai campeggi e dagli alberghi di Spalato. Queste persone, che erano state cacciate dalla Republika Srpska, furono costrette dalla Polizia croata a trasferirsi in campi-profughi pakistani situati al confine con l'Afghanistan.

Nel frattempo il Governo croato minacciava di espellere tutti i profughi musulmani bosniaci dalla Croazia. Secondo quanto riportato dai mass-media internazionali, agli inizi di luglio del 1993 Tudjman lanciò un appello affinché in Bosnia Erzegovina fossero create delle province "etnicamente pulite", sollecitando la popolazione a "trasferirsi volontariamente". Tali operazioni di trasferimento furono poi messe in atto in collaborazione con la parte serba. Il Presidente croato mostrava così di accettare anche pubblicamente la politica serba della "pulizia etnica".

IMPRESSUM .: su :.

Editore: Associazione per i Popoli Minacciati, sezione di Bosnia Erzegovina (Društvo za ugrožene narode, Bosna i Hercegovina)
Responsabili: Fadila Memiševic, Mustafa Kapidžic
Redazione: Mauro di Vieste, Stefano Barbacetto
Titolo originale: Potraga za pravdom
Edizione in lingua tedesca: "Suche nach Gerechtigkeit", traduzione di Belma Delic
Traduzione dal tedesco all'italiano: Elena Breda
Carte geografiche: Asim Abdurahmanović
Stampa: Laserprint - Sarajevo, Settembre 2000


Ultimo agg.: 10.3.2004 | Copyright | Motore di ricerca | URL: www.gfbv.it/3dossier/bosnia/indexbih.html | XHTML 1.0 / CSS | WEBdesign, Info: M. di Vieste
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