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Le chemin du S.A.V.T. (SYNDICAT AUTONOME VALDÔTAIN DES TRAVAILLEURS) 1952-2002

CAPITOLO 3 - I DIRITTI E LE LOTTE DEL SINDACALISMO VALDOSTANO

Dicembre 2003

INDICE / INDEX

Il libro 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 200250 ANS APRÈS

CAPITOLO 1 - FATTI E IDEE
Per una storia ... / Pour une histoire ... Sindacati e sindacalismo in Italia dall'inizio alla fine del 900 | La réalité valdôtaine au XX. siècle
L'impulso ideale / Les idéaux Il pensiero economico-sociale di Émile Chanoux

CAPITOLO 2 - IL SINDACALISMO VALDOSTANO
Per una storia della Valle d'Aosta / Pour une histoire de la Vallée d'Aoste I primi anni del dopoguerra in Valle d'Aosta (1945-1958)
Il cammino del S.A.V.T. / Le chemin du S.A.V.T. Nascita della Section des Travailleurs Valdôtains (1947) | La creazione del Syndicat Autonome Valdôtain des Travailleurs (1952) e i suoi primi passi (1952-1958) | Le Réveil Social
I testimoni / Les témoins Sylvain Bois, premier secrétaire du S.A.V.T. | Ernesto Breuvé
L'impulso ideale / Les idéaux Les Statuts du S.A.V.T.

>>> CAPITOLO 3 - I DIRITTI E LE LOTTE DEL SINDACALISMO VALDOSTANO
Per una storia della Valle d'Aosta / Pour une histoire de la Vallée d'Aoste Dagli anni 60 ai giorni nostri
Il cammino del S.A.V.T. / Le chemin du S.A.V.T. L'Azione del S.A.V.T. dagli anni 60 ai giorni nostri | La rappresentatività ed i rapporti del S.A.V.T. con le altre OO. SS. | Gli obiettivi distintivi del S.A.V.T.
I testimoni / Les témoins Felice Roux | Da sempre nel S.A.V.T. - Rinaldo Zublena, Leonardo Tamone, Luigino Impérial | Battista Montrosset | Donne nel S.A.V.T. | Martino Borettaz
L'impulso ideale / Les idéaux Pour une école valdôtaine | Nous savons le chemin | La crisi in Europa | La Vallée d'Aoste e il problema del lavoro

CAPITOLO 4 - IL FUTURO DEL SINDACALISMO VALDOSTANO
Il cammino del S.A.V.T. / Le chemin du S.A.V.T. Le S.A.V.T. et les annés 2000
I testimoni / Les témoins Il S.A.V.T. oggi
L'impulso ideale / Les idéaux Lavoro, sviluppo, solidarietà, identità e globalizzazione

CAPITOLO 5 - Gli organi delle sezioni e del S.A.V.T. / Les organismes des sections et du S.A.V.T.
SECTIONS DES TRAVAILLEURS VALDÔTAINS | SECRÉTAIRES, SECRÉTARIATS, COMITÉS ET ORGANES DIRECTEURS DU S.A.V.T. (1952-2002) | Fotografie 1947-2002 Photographies

DAGLI ANNI 60 AI GIORNI NOSTRI .: su / haut :.

1962 - Courmayeur: XX, César Dujany, Claudio Manganoni, Albert Vuillermoz, Céléstin Dayné, Toni Ortelli. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Gli anni del laboratorio politico (1958-1965)
Il governo regionale retto dall'U.V. e dalle sinistre, con Severino Caveri alla Presidenza della Giunta, si fa portatore di un progetto di modernizzazione; tuttavia la Regione fatica a governare l'economia che è in mano ai capitali esterni sia nell'industria, sia nel turismo; il governo centrale completa il sistema di condizionamento esterno della Valle d'Aosta (E.N.E.L., industrie, banche, diffusione della TV...) e, constatato che la Cogne non serve più come strumento di ricatto occupazionale, ne affida la gestione a strutture politiche, determinandone la progressiva entrata in crisi. La Giunta regionale risponde a queste difficoltà finanziando la costruzione di strade per contrastare l'abbandono delle montagne, sostenendo l'architettura tipica, assicurando contributi alle famiglie meno abbienti per la casa e lo studio.

Gli anni del filo di ferro (1966-1969)
In Italia nasce il governo di centro-sinistra ed una specifica direttiva centralista porta ad attuarlo anche in Valle d'Aosta. Questo non avviene con una "normale" crisi politica: Severino Caveri e il P.C.I. iniziano un braccio di ferro: il Governo Moro dispone il Commissariamento della Regione, ma quando il Consiglio regionale deve riunirsi e sancire il rovesciamento della maggioranza, la seduta non può tenersi perché Caveri fa chiudere a chiave le porte d'ingresso del Palazzo regionale e le fa trovare bloccate con il fil di ferro per "ragioni di ordine pubblico". La svolta politica si attua ugualmente, ma il governo romano lascia pochi spazi operativi alla nuova giunta che può dare, comunque, il via alla "valorizzazione del turismo" nel cui nome iniziano i lavori di Pila: negli anni seguenti, si rivelerà una operazione speculativa.

1959 - Il presidente della Repubblica Italiana Gronchi, in secondo piano Pierre Fosson. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Gli anni del nuovo autonomismo (1970-1973)
L'Italia vive un momento delicato: alle difficoltà economiche si aggiungono gli effetti devastanti della strategia della tensione; in Valle d'Aosta la sinistra D.C. impone una svolta politica dando vita ai Democratici portando Cesare Dujany alla Presidenza della Giunta e, di nuovo, coinvolgendo direttamente le sinistre nella maggioranza. Alla voglia di modernità degli anni 50 e 60 si sovrappone il bisogno di servizi sociali; nel 70 ad Aosta arriva la Standa; il giornale "il Mondo" afferma che i valdostani sono i più ricchi d'Italia. Il riparto fiscale viene finalmente acquisito come diritto (anche se la sua effettiva applicazione scatterà solo negli anni 80) e consente di triplicare il bilancio regionale: la politica economica regionale si basa sulla programmazione e sulla attribuzione di fondi di rotazione come incentivo economico all'imprenditorialità. Difficile ma importante la battaglia della Giunta contro lo sperpero dell'industria degli acciai speciali, posizione che inaugura una politica di salvaguardia dei livelli occupazionali: si vuole evitare che, aprendo o chiudendo il "rubinetto" del sostegno o dell'abbandono del settore da parte del governo centrale, la Valle d'Aosta subisca i ricatti della politica centralista e l'imposizione della trasposizione automatica in Valle d'Aosta degli schemi politici di governo romani.

Gli anni della stabilità (1974-1984)
La Giunta Andrione mira a caratterizzare la propria politica: contro il turismo di massa, a favore di un sistema di piccole e medie imprese non inquinanti, in difesa della agricoltura, a sostegno di una scuola che sia più valdostana. L'obiettivo amministrativo è la salvaguardia della dimensione alpina della Valle d'Aosta e la caratteristica principale del periodo è la stabilità amministrativa; la Regione studia il proprio potenziale energetico e si scopre autonoma, ma - intanto - passano in Valle le linee del Superphoénix (con le polemiche legate alla Centrale Atomica francese che produce l'energia che queste devono distribuire). Prendono il via i lavori per l'autostrada verso Courmayeur. Mutano talune impostazioni di politica economica regionale (la pianificazione al posto della programmazione, la Finaosta al posto dei fondi di rotazione; ecc.), il riparto fiscale viene effettivamente fissato ai 9/10 di tutte le tasse pagate in Valle d'Aosta; ciò consente alla Regione di avere un bilancio molto ricco e di poter intervenire positivamente in tutti i settori.

1968 - Aosta: manifestazione sindacale. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Gli anni del cambiamento (1984-1992)
Rollandin succede ad Andrione nella carica di Presidente della Giunta. I problemi occupazionali, soprattutto nel settore industriale e degli acciai speciali, sono gravissimi: alcuni provvedimenti del governo regionale ne limitano la drammaticità. L'ipotesi di un taglio del riparto fiscale da parte del governo centrale mobilita i valdostani che raccolgono 23 mila firme di protesta. Il riparto assegna alla Valle una grande ricchezza; la Regione diventa il primo imprenditore ed entra da azionista nelle amministrazioni di molteplici attività economiche. Industria, agricoltura ed edilizia sono sostenute; si completa l'autostrada (con un grande intervento finanziario regionale), si mette mano al riassetto idrogeologico; le strade raggiungono - ormai - i più lontani villaggi, opere antivalanghe proteggono il territorio. La Valle d'Aosta pone la sua candidatura per le olimpiadi invernali di sci del '98. Una nuova Giunta ("tutti contro l'U.V." ) sostiene i Giochi olimpici e l'insediamento in Valle di un centro di sdoganamento della Mercedes; la Commissione Europea avvia una procedura per distorsione della concorrenza sull'affare Mercedes; sulle olimpiadi viene proposto un referendum (che ne respingerà l'attuazione). La Giunta del ribaltone cade. E, intanto, la Cogne rischia di chiudere davvero anche per effetto dei "tagli" europei.

Gli anni della transizione e del bilancio storico (1993-2000)
Dopo un breve periodo che vede alla Presidenza della Giunta Ilario Lanivi, con le elezioni del 1993 Dino Viérin diventa il nuovo Presidente della Giunta e guida una difficile transizione: gli scenari futuri sono incerti, nasce l'Unione Europea, si fanno sentire gli effetti della globalizzazione; la struttura burocratica regionale appare inadeguata; la mappa politica interna è instabile (sono spariti o si sono trasformati i partiti politici tradizionali sostituiti da nuovi schieramenti); una grave crisi economica interessa l'Italia intera che, dopo le vicende di tangentopoli, deve metter mano al risanamento dell'economia ed alla ricostruzione istituzionale. La politica della Giunta Viérin è caratterizzata dall'individuazione di un "sistema Valle d'Aosta", il tentativo - cioè - di armonizzare lo sviluppo, di gestire le aree di crisi sminuendone gli effetti negativi, di partecipare attivamente ai processi di trasformazione delle istituzioni in Italia evitando che la "seconda repubblica" e la nascita dell'Unione Europea sminuiscano i contenuti dell'Autonomia. Con il mondo del lavoro la Giunta firma un Patto per lo sviluppo, dando sostanza a quella "concertazione" che, nel resto d'Italia, viene contrastata dalle logiche liberiste del nuovo governo di centro-destra retto da Berlusconi. Alle difficoltà di una crisi economica incombente si aggiungono gravissime vicende di storia locale: la tragedia del Tunnel del Monte Bianco ed una devastante alluvione, seminano morti, disastri e crisi economica. Lo Statuto di Autonomia compie 50 anni; se ne propone la revisione in chiave europea. Anche il S.A.V.T. compie 50 anni ...

L'AZIONE DEL S.A.V.T. DAGLI ANNI 60 AI GIORNI NOSTRI .: su / haut :.

1962 - 7 ottobre, sede di Aosta: 3. Congresso Confederale del S.A.V.T.. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 20021952-1968
I primi anni di attività del S.A.V.T., come abbiamo visto, non sono affatto facili: Sylvain Bois (primo Segretario del S.A.V.T., nominato nel 1952 quando il S.A.V.T. aveva ancora un Presidente, Pierre Fosson) e Giancarlo Ravet (nominato Segretario nel 1959 e, poi, confermato, nel 1962) devono affrontare non solo le normali difficoltà organizzative di ogni nuovo organismo, ma anche quelle dovute al fatto che il S.A.V.T. rappresenta, in qualche modo, una "anomalia" nel panorama sindacale; nei primi anni di attività il S.A.V.T. è composto soprattutto da operai della Cogne, delle miniere, delle Cave, degli impianti elettrici e delle industrie della Bassa Valle, mentre la rappresentanza di altre categorie è ristretta (per i dipendenti regionali c'è già, ad esempio, Pierre Vietti, già Presidente della Société Ouvrière d'Aoste, storica associazione di mutuo soccorso dei lavoratori). Fin dall'inizio degli anni 60, però, nel Direttivo del S.A.V.T. entrano nuove categorie che nel futuro del S.A.V.T. occuperanno spazi e ruoli importanti: gli insegnanti,i pensionati (Vittorio Perron), i lavoratori dello spettacolo-SITAV, ecc. Nel 1960 si costituisce, all'interno del S.A.V.T., l'associazione "Union des Paysans Valdotains"; l'associazione degli agricoli valdostani rappresenta una delle organizzazioni che più intensamente combatte, al fine di migliorare la produttività del settore, per veder crescere l'importanza di tale attività nell'economia della regione. A tal fine si pone come obiettivi la ricomposizione delle proprietà fondiarie, la razionalizzazione e l'assestamento delle colture, la valorizzazione del territorio con opere di bonifica e di miglioramento fondiario.

Alcuni maestri del S.A.V.M.E. fine anni '60: M. Certan, V. Vuillermoz, E. Corniolo, C. Alliod. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Nello stesso anno, a febbraio, è fondato il S.A.V.M.E., Syndicat Autonome Valdôtain Maîtres d'École che diventerà in seguito S.A.V.T.-École, impegnato a lavorare per "la solution du problème de l'école valdôtaine ... de plus en plus urgente et délicate". Nel documento di costituzione si legge un appello significativo: "Nous faisons appel à tous les instituteurs soucieux de l'avenir du Pays, qui au dessus de toutes les questions politiques, s'unissent pour défendre l'intérêt de la catégorie et, en même temps, du Pays". Fino al Congresso del 1968 il S.A.V.T. vive un periodo di difficoltà: per affrontarla alla sua segreteria è designata una triade formata da Ovando Vallet (Segretario organizzativo), Attilio Désandré (Segretario tecnico) e Albert Vuillermoz (Segretario amministrativo). Al momento delle loro dimissioni viene designato un commissario nella persona di Mario Andrione, che resta al S.A.V.T. alcuni mesi, sino al momento in cui alla carica di Segretario viene designato Pierre Fosson, coadiuvato da Albert Vuillermoz come Segretario amministrativo Quando, però, si riunisce il 4. Congresso, il S.A.V.T. ancora si trova in difficoltà e in un momento di crisi, aggravata dal fatto che i diritti del S.A.V.T. non sono ancora pienamente riconosciuti. Il Congresso del '68 elegge, quindi, tre persone, Pierre Fosson, Albert Vuillermoz e François Stévenin in Segreteria, con il compito di rilanciare l'organizzazione del S.A.V.T. e la sua presenza nel mondo del lavoro.

Tra i protagonisti della storia del S.A.V.T. Pierre Fosson ha sicuramente un ruolo determinante. Così lo ricorda François Stévenin: "Pierre Fosson fut sans aucun doute avec Albert Vuillermoz l'une des chevilles ouvrières du Syndicat valdôtain et en quelque sorte un des hommes les plus représentatif du monde du travail à l'intérieur de la vie politique et administrative de la Vallée d'Aoste. Il fut Président des sections des travailleurs valdotains, membre fondateur du S.A.V.T et pendant plusieurs année Secrétaire politique. Ses discours, ses prises de position, ses articles ont contribué à promouvoir le monde du travail et tout particulièrement l'action du Syndicat valdotain. Son engagement lui a coûté cher. Dans les années 50 il a été marginalisé à l'intérieur de la Cogne où il était employé, à tel point qu'il a été transféré à Imola pour le tenir à l'écart de l'activité syndicale et politique qu'il menait à l'intérieur de la Cogne et de la Vallée d'Aoste. Conseiller régional, assesseur et enfin sénateur il a toujours été fidèle à ses principes et à l'esprit valdôtain".

Gli anni 70
Sopra: 1971 - 14 febbraio: 5. Congresso Confederale S.A.V.T. ad Aosta nel Salone Municipale di via Festaz. Sotto: 1974 - 17 novembre: Congresso Confederale del S.A.V.T. a Verrès. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002È François Stévenin a traghettare il S.A.V.T. verso un nuovo periodo storico: dalla fine degli anni 60 alla prima metà degli anni 80 sarà lui il Segretario del S.A.V.T.: raccoglie l'eredità dei primi difficili anni di lavoro e ne ammoderna la struttura e l'organizzazione; il S.A.V.T. passa dai 270 iscritti del momento di crisi in cui Stévenin vi si avvicina, ai 4000 iscritti dell'anno in cui passa il testimone al suo successore. François Stévenin ricorda di essere arrivato al S.A.V.T. per aiutare un giovane funzionario incaricato di riorganizzarne la struttura e le attività: Bruno Salvadori; e ricorda che "in quel periodo all'interno di tutti i sindacati c'era una fortissima politicizzazione; anche nel S.A.V.T. si viveva questo clima, dovuto più al fatto che il S.A.V.T. designava tre rappresentanti nel Comité Central dell'U.V. (e, quindi, poteva incidere sugli equilibri interni del movimento) che al fatto che U.V. e S.A.V.T. condividevano gli ideali di Émile Chanoux". Non va dimenticato che il quel periodo tutti i sindacati risultavano essere strutture direttamente ed organicamente collegate alle diverse forze politiche. Stévenin ricorda che "Salvadori era guardato con sospetto, quale uomo proposto, in qualche modo, da Caveri; erano gli anni in cui la Regione era governata dalla cosiddetta Giunta del Leone, la Giunta dell'U.V. e delle sinistre, una Giunta contestata dai giovani autonomisti perché all'U.V. mancava una solida organizzazione e in quella maggioranza prevalevano due elementi: la personalità di Caveri e l'organizzazione del P.C.I.; ecco perché un uomo di Caveri era guardato con sospetto da una parte del S.A.V.T. che viveva un momento di politicizzazione sì, ma in senso opposto: vi si annidavano, infatti, come qualcuno affermava, gli oppositori interni dell'U.V.".

"Quando Salvadori lasciò il S.A.V.T., io lo rimpiazzai e, senza meriti particolari, venni considerato con minori pregiudizi". I primi anni di lavoro di Stévenin nel S.A.V.T. sono molto difficili: "in conseguenza delle problematiche e delle tensioni politiche - ricorda - i tre segretari in carica, Vallet, Désandré e Vuillermoz dettero le dimissioni, una parte dei militanti lasciò il S.A.V.T. e concorse a formare la U.I.L. che in Valle d'Aosta non esisteva (facendo saltare l'accordo che il S.A.V.T. aveva sottoscritto con la segreteria nazionale della U.I.L. per quanto concerne il patronato e, complessivamente la rappresentanza a livello nazionale). La U.I.L. era sicura che mettendo in difficoltà il S.A.V.T. ne avrebbero potuto occupare lo spazio); era fortemente caratterizzata politicamente". Per sottolineare quanto la situazione fosse grave, Stévenin ricorda che "in quegli anni il S.A.V.T. aveva solo 270 iscritti, 70 dei quali raccolti nell'Union des Paysans di Thérivel; quando Thérivel andò in pensione l'U.D.P. cessò, di fatto, la sua attività". Momento di crisi che non fu superato neppure quando, alla caduta della Giunta del Leone, salì al potere il centro-sinistra. "Il S.A.V.T. - dice Stévenin - privo di un'organizzazione consolidata e delle strutture gestionali previste dallo Statuto fu commissariato a seguito delle dimissioni dei tre segretari, per alcuni mesi: Mario Andrione restò Commissario del S.A.V.T. fino al nuovo Congresso che elesse in segreteria la triade Fosson, Vuillermoz e Stévenin". Iniziò così il rilancio del S.A.V.T.: "una nuova dirigenza, l'entusiasmo del tentare di risalire la china recuperando iscritti, anzitutto fra i lavoratori politicamente vicini all'U.V., la designazione di un funzionario deciso e capace come Valentino Lexert e poi l'apertura verso tutti gli altri lavoratori, quali che fossero i loro orientamenti politici ... questi furono gli strumenti del rilancio".

1977 - François Stévenin, Segretario del S.A.V.T.. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002"La svolta positiva - ricorda ancora Stévenin - venne quando un sindacalista della C.G.I.L., Martino Borettaz, in urto con il P.C.I. e con il suo sindacato per ragioni politiche, fu licenziato dalla C.G.I.L., divenne funzionario del S.A.V.T. e ne consentì il rilancio in Bassa Valle d'Aosta; il S.A.V.T. dilagò in tutte le fabbriche; ad ogni elezione delle Commissioni Interne, la sua forza cresceva". Così mentre l'U.V. si spaccava a destra e a sinistra, il S.A.V.T. se ne affrancava, diventando il riferimento di tutti i lavoratori regionalisti e non solo questo; ricorda, infatti, Stévenin, che "fu Vuillermoz (il mio vero e proprio maestro, un uomo unico, sulla cui tomba si legge un epitaffio semplice e significativo "géomètre et syndacaliste") a rilanciare un discorso di accordo sindacale attuato, prima che in ogni altra regione, proprio in Valle d'Aosta: la costituzione della Federazione C.G.I.L.- C.I.S.L.- S.A.V.T. - U.I.L., tutti i sindacati uniti nella loro diversità, con un vertice di cui fecero parte tre sindacalisti della C.G.I.L. (Polliotti. Giuliani e Fiou), tre sindacalisti della C.I.S.L. (Beneforti, Dondeynaz e Santoro), tre sindacalisti della U.I.L. (Serra, Celestino e Mazzocchi) e tre sindacalisti del S.A.V.T. (Tamone, Lexert e Stévenin)". "Avevamo ormai superato i mille iscritti quando decidemmo di allargare l'attività del S.A.V.T. all'E.N.E.L. e - in modo più organico - al mondo della Scuola; e scegliemmo una linea di serietà: il S.A.V.T. non era ancora pienamente riconosciuto e non poteva operare in tutti i settori; scelse, così, di non fare iscritti nello Stato e nel Parastato dove erano molto numerosi i lavoratori che avrebbero voluto aderire; non potendo rappresentarli appieno, il S.A.V.T. posticipò il proprio impegno in questi settori": Stévenin racconta, così, che "con uomini come Léonard Tamone (figlio di uno dei primi militanti della Section della Cogne) ed Aldo Cottino, il S.A.V.T. poté operare in primo piano fra i metalmeccanici e nelle dinamiche dell'unità sindacale costituì sempre l'elemento di mediazione, soprattutto fra le posizioni della C.G.I.L. e della C.I.S.L. In questo S.A.V.T, così, entrarono senza remore, anche lavoratori che votavano P.C.I. e lavoratori vicini al nuovo movimento politico che aveva determinato l'elezione a Presidente della Giunta di Cesare Dujany, i D.P., Democratici Popolari".

"Al momento in cui lasciai il testimone, il S.A.V.T. aveva circa 4000 iscritti" dice Stévenin con una punta di orgoglio. Stévenin ricorda alcuni dei momenti più esaltanti della vita sindacale: le prime assemblee sui posti di lavoro grazie allo Statuto dei Lavoratori; i grandi congressi sindacali unitari a Roma ("Eur 1", "Eur 2"), tappe fondamentali dell'unità d'azione del sindacato; le grandi manifestazioni per la difesa dell'occupazione in Valle (Cogne, Montefibre, Brambilla,...). "Ricordo battaglie sindacali difficili e conquiste inaspettate, ma ancora mi rammarico per quello che ritengo sia stato un errore del sindacato: la Brambilla poteva essere riconvertita, se pur con una riduzione di personale, ma il sindacato respinse il piano di riconversione che proponeva dei tagli occupazionali; il sindacato era convinto di poter vincere il braccio di ferro e salvare il posto di lavoro a tutti, anche ai lavoratori più anziani che rischiavano di perderlo per primi ... e invece lo persero tutti...". "Ricordo 40 giorni di lotta alla Montefibre che, poi, chiuse e si spostò nel terzo mondo". "Il mio S.A.V.T. - conclude Stévenin con un tono da cui traspaiono affetto e nostalgia - è stato un sindacato molto partecipativo, impegnato nella formazione dei suoi operatori, forte dell'apporto propositivo dei suoi organismi direttivi e del profondo rispetto per le persone che ne ha costituito sempre l'aspetto più positivo".

"Quando entrai nel S.A.V.T. trovai una persona speciale, un personaggio, in verità: quel Perron con il quale parlavo solo in francese perché con il mio patois di Gaby non riuscivo a comunicare con nessuno; gli altri lavoratori parlavano ciascuno il proprio patois e si capivano, ma chi parlava il dialetto di Gaby o quello di Fénis trovava non poche difficoltà. Così parlavo in francese con Fosson, Vuillermoz e tanti altri anche nelle riunioni del Comité Directif". Stévenin ha vissuto direttamente tutto il periodo del cosiddetto "autunno caldo", il periodo che vide il mondo del lavoro italiano in subbuglio e lo scoppio del '68, la contestazione degli studenti che - in Valle d'Aosta - cercarono momenti di saldatura con le rivendicazioni dei lavoratori, andando a picchettare - come si diceva allora - la portineria Cogne. Alla fine degli anni 60 alla Cogne riprende una dura lotta; alla Morgex-Carbo si sciopera per i premi di produzione, alla Sirca-David e alla Quinzio Rossi si sciopera per gli aumenti salariali; sono in lotta anche i lavoratori della SIB, quelli che stanno lavorando alla costruzione dell'autostrada e gli operai della SOIE di Châtillon che scioperano per il premio di produzione. Momenti di grande mobilitazione dei lavoratori in Valle d'Aosta e in tutta Italia. Poi venne la strage di Piazza Fontana e la triste epoca di quella che venne definita la "strategia della tenzione", con violenze e attentati che - secondo alcuni - erano vere e proprie "stragi di Stato". "È successo troppe volte - afferma Stévenin - che in momenti di particolare tensione sociale e, soprattutto, quando si fa più forte la spinta riformista dei lavoratori, il terrorismo si faccia sentire, minaccioso". Al Congresso del 1981, nelle tesi che illustrò al Congresso affermò, per questo, che "face au problème du terrorisme et à son effrayante recrudescence, le syndicat s'interroge afin de pouvoir le combattre par des moyens appropriés et surmonter ce sentiment diffus d'impuissance ".

Stévenin ha sempre ritenuto che la risposta migliore che può essere data al terrorismo è la chiarezza dell'azione sindacale: così, a fronte della crisi che investiva l'Italia alla fine degli anni 70 osservò: "gli obiettivi della lotta all'inflazione ed alla disoccupazione e l'incremento del reddito pro-capite che comportano un miglioramento della qualità della vita dei lavoratori, vengono compressi da alcuni fattori interni ed esterni. Occorrre perciò capovolgere questa tendenza partendo dalle politiche regionali differenziate che, da sole, possono illuminare la strategia di una politica nazionale. Ma al momento le regioni non partecipano come dovrebbero al processo di formazione di una programmazione, di quella che dovrebbe essere la ripartizione delle risorse finanziarie tra i vari settori economici nazionali. Per uscire dalla crisi è indispensabile una seria conoscenza delle nostre capacità di sviluppo. Il disavanzo della bilancia dei pagamenti non è che una delle cause della crisi ... (alla quale) bisogna aggiungere la debolezza crescente del sistema produttivo e distributivo, l'uso distorto della spesa pubblica e degli interventi assistenziali, la crisi istituzionale caratterizzata da scandali, corruzione e instabilità politica". Tutti ricordano che fecero scalpore alcune provocazioni che Stévenin lanciò ad un Congresso quando, nel rivendicare il ruolo delle regioni e, quindi, della Valle d'Aosta, riaf- fermando i valori e l'importanza dell'Autonomia, chiese: "qui sont les patrons au Val d'Aoste? Les industriels de l'A.V.I.? La FIAT? Le Casino? Les Participation de l'Etat? Le Président du Gouvernement régional? Peut-être devons-nous les chercher à Rome? Ou parmi ceux qui s'activent pour liquider la Cogne? Ou parmi ceux qui ont tenté de faire échouer la répartition financière? ".

Ricorda anche di essersi posto in modo critico "il problema dell'avvenire industriale della Valle d'Aosta, il problema degli strumenti di agevolazione creditizia destinati all'impianto, alla ristrutturazione ed all'ammodernamento delle aziende, rispetto al quale si ritardava a scegliere tra i fondi di rotazione e l'attivazione di una Finanziaria regionale che, venne, infine realizzata". "Il S.A.V.T. - osserva - seppe dire chiaramente in quegli anni che la Valle d'Aosta non poteva continuare ad essere terra di rapina per le materie prime, per l'energia elettrica, il ferro, il carbone, il rame e il denaro sonante". "Una considerazione espressa in quegli anni dal S.A.V.T. - conclude - mi pare particolarmente significativa; gli appelli all'unità sindacale non venivano proposti solo perché è idealmente positivo che i lavoratori siano uniti e che nessuna questione ideologica o di parte possa dividerli: il S.A.V.T. affermò, infatti che 'l'unitè syndicale aujourd'hui ne peut pas être uniquement un amplificateur des protestations contre la crise, mais un instrument de planification de l'avenir'. Verità indiscutibile". Il richiamo alla responsabilità diretta del sindacato nel progettare e programmare il futuro fu, per certi versi, anticipatorio di un sindacalismo che si evolve paradigmaticamente passando da una fase nella quale i lavoratori vanno difesi contro il padronato ad una fase nuova, nella quale - quasi nell'ottica di una sorta di autogestione o di cogestione - essi assumono dirette responsabilità nelle fasi di superamento della crisi e nel progetto di rilancio di politiche dello sviluppo. Stévenin ricorda anche che nel periodo in cui ricoprì la carica di Segretario del S.A.V.T. si impegnò in una difficile azione di collegamento delle organizzazioni sindacali delle minoranze etniche e delle nazionalità; sottolinea inoltre che "quelli furono anni di grande tensione ed impegno culturale nei quali il S.A.V.T. fece sentire la sua voce soprattutto grazie al lavoro di Pierre Grosjacques e di Aléxis Bétemps".

Gli anni 80
1989 - Ezio Donzel, Segretario generale del S.A.V.T.. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Dalla metà degli anni 80 ai primi anni 90, alla carica di Segretario del S.A.V.T. è designato Ezio Donzel il quale ricorda, anzitutto, che il paradigma testè accennato da Stévenin, evidenzia le fasi che hanno caratterizzano il diverso modo di porsi e di essere del sindacato nei vari momenti storici che ha attraversato. "C'è stato - ricorda - il periodo nel quale il sindacato era il 'sindacato rivendicativo', quello che si batte per le libertà sindacali (ivi comprese quelle di potersi liberamente riunire), che mirava unitariamente a perequare il trattamento riservato ai lavoratori ed agli impiegati (malattia, ferie, contingenza, ecc.) che era fortemente discriminante". "Non posso dimenticare - dice Donzel in proposito - la sorpresa e lo sbalordimento che colse i lavoratori quando fu possibile tenere in fabbrica la prima assemblea, sul posto di lavoro e in orario di lavoro .... Eravamo abituati a riunirci il sabato e la domenica perché non esistevano permessi sindacali e assemblee autorizzate".

Ezio ricorda, poi, l'altro sindacato, il "sindacato riformista" quello che, esaurita la fase rivendicativa, "si impegnò sulla problematica delle riforme (della sanità, delle pensioni, della scuola, delle aziende pubbliche, ecc.)". Donzel ricorda che "in questa fase entrarono in gioco le diverse concezioni ideologiche, con l'alternativa comunista che mirava non a riformare il sistema, ma a superarlo, nella convinzione che il mondo fosse diviso in due blocchi in uno dei quali stavano i capitalisti, mentre nell'altro stava la classe operaia; con il moderato progresso delle aree laiche e cattoliche; con la riaffermazione chiara ed antesignana, da parte del S.A.V.T., della proposta federalista". In questo periodo il S.A.V.T. rilegge, così, il pensiero di Chanoux; non a caso, in una relazione congressuale di Ezio Donzel (da cui sono estrapolati alcuni passaggi riproposti in questo libro), la propugnazione del Federalismo è presentata come una concezione economica ed istituzionale diversa da tutte le altre. "La difesa dell'Autonomia - ricorda Donzel - viene vissuta non come la rivendicazione e l'affermazione di un privilegio, ma come una positiva proposta di autogoverno, rovesciando tutte le logiche dominanti in politica ed in economia per affermare la possibilità della piccola dimensione di incidere sulle scelte e, ad esempio, sulle scelte sindacali". Quello che Donzel evidenzia come un problema importante del periodo in cui egli resse la segreteria del S.A.V.T., è quello della "democrazia" che "non è più concepita come il diritto del singolo individuo di partecipare, ad esempio, con il voto, ma come opportunità e diritto di un insieme di individui che compongono una collettività, di decidere e di governarsi da se". Per Donzel "il Federalismo è una delle forme della democrazia e, nel caso specifico, è la forma della democrazia economica che presuppone, da parte della comunità una maggior assunzione diretta di responsabilizzazione e la conquista dell'autogoverno".

1977 - Manifestazione sindacale al traforo del Monte Bianco, Courmayeur. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Ciò significa, per Donzel, che "il sindacato deve prendere coscienza dell'evoluzione del mondo del lavoro, dove il capitale non è più costituito solo ed esclusivamente dai mezzi di produzione, ma anche dalle risorse intellettuali, professionali ed umane". "Si presuppone, pertanto, - precisa - non il superamento o l'emulazione del sistema capitalista, bensì l'individuazione di forme di partecipazione e di gestione che consentano ad ognuno l'espressione delle proprie competenze e professionalità e l'assunzione di nuove forme di responsabilità nella vita dell'impresa e nella gestione dell'economia. Questi aspetti non vanno confusi con l'infausto consociativismo che, a volte, ha fatto degenerare i ruoli tra economia, politica e sindacato". "Certo non è semplice - precisa Donzel - spiegare che contrapporre alla logica della compartecipazione quella della cogestione, non è una semplice operazione filosofica o ideologica, ma una scelta di campo forte, con forti conseguenze sociali ed economiche". Nel dar corpo ai ricordi Donzel passa, quindi, a parlare del "sindacato della programmazione " quello che dovette prendere atto che, poco a poco, grandi industrie come la Cogne, le Centrali, l'Egam, la Finsider e poi, a seguire, la Montefibre, la Sadea, stavano uscendo dal mercato e mettevano in atto piani nei quali i termini ristrutturazione e programmazione significavano soltanto tagli occupazionali". "La necessità, di contro, di ricollocare al lavoro mano d'opera che ne era stata espulsa, fece maturare nel sindacato la coscienza che, se un tempo aveva rappresentato preminentemente i lavoratori occupati, ora doveva occuparsi del problema del lavoro nel suo complesso, relativamente - cioè - a chi il lavoro ce l'ha, a chi non ce l'ha ancora ed a chi lo ha perduto". Donzel ricorda che nei primi anni '80 "le forze sociali, i sindacati e le istituzioni stipularono un accordo che risultò essere di avanguardia per l'Italia, teso da un lato a predisporre interventi d'ordine strutturale (in questo modo s'intendeva ovviare a carenze quali la mancanza di aree industriali, di servizi alle imprese, di servizi finanziari, ecc.) e, dall'altro, ad individuare strumenti e provvedimenti di accompagnamento e di governo del problema degli esuberi di mano d'opera prodotti dalla ristrutturazione.

Questi interventi si rivelano necessari anche ad affrontare le problematiche di disoccupazione presenti sul mercato del lavoro valdostano, superando una vecchia concezione di passività di fronte a questi fenomeni, proponendo - invece - quelle che vengono oggi definite le politiche attive del lavoro". È questo il momento in cui avanzano anche i processi di integrazione europea ed i relativi finanziamenti messi in campo per la coesione sociale. Questo innesca nuove dinamiche e nuovi problemi; il S.A.V.T. risponde a questa nuova situazione collegandosi con le Organizzazioni Sindacali di altre realtà italiane ed europee, nella logica e nella prospettiva di affrontare tutte le nuove problematiche attraverso l'organizzazione ed il coordinamento dell'azione di sindacati di ispirazione federalista; già allora, infatti, era chiaro che il nascente sistema europeo risultava molto centralizzato sia nelle politiche economiche, sia in quelle sociali. "Oggi - dice Donzel - tutti immaginano in Valle d'Aosta che la FINAOSTA sia scaturita da chissà quali premesse e da chissà quale volontà, mentre è scaturita dalle battaglie del sindacato per affrontare in modo nuovo le complesse problematiche che ho appena ricordato; prima di allora tutta la gestione degli incentivi finanziari al mondo dell'impresa e della economia era di competenza dell'Assessorato all'Industria, mentre la creazione della FINAOSTA ha innescato meccanismi del tutto nuovi. È stata frutto di una battaglia sindacale ... il Consiglio regionale non la voleva .... Ed è scaturita dal sindacato anche l'idea di creare uno strumento per la gestione delle politiche attive del lavoro che ha portato alla creazione di una Agenzia del Lavoro". S'infervora nel ricordare tutto ciò, evidenziando quanto sia importante riconoscere al sindacato la capacità di essere propositivo.

1985 - Manifestazione delle lavoratrici in cassa integrazione, Aosta. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Di singoli fatti che si produssero nel periodo in cui egli fu Segretario del S.A.V.T., Ezio Donzel preferisce non parlare; afferma soltanto: "sono fatti troppo recenti, fanno ancora parte più della attualità che della storia; infatti anche quando sembrano aver esaurito il loro effetto e poter essere, quindi, analizzati oggettivamente in prospettiva storica, in realtà sono ancora presenti nelle dinamiche odierne di cui costituiscono un riconoscibile sustrato". Tiene a ricordare, però almeno tre vicende che evidenziano il meritorio impegno del sindacato nel periodo in cui egli ricoprì la carica di Segretario del S.A.V.T.:
"1 - il riconoscimento del S.A.V.T. raggiunto attraverso un apposito Decreto legislativo (e Donzel sorride alle ironie della storia ricordando che, per dargli applicazione, venne firmato un Decreto del Presidente della Giunta regionale; Presidente in carica, all'epoca, era Gianni Bondaz, figlio di quel Bondaz che aveva avuto rapporti molto duri con il sindacato;
2 - il confronto con la Regione che vide il sindacato schierato "contro" l'aumento indiscriminato degli organici regionali, proponendo in alternativa un sistema che prevedesse l'analisi delle funzioni della organizzazione del lavoro per individuare correttamente i reali fabbisogni;
3 - il dibattito sull'indennità di bilinguismo che vide il S.A.V.T. schierato a difesa della lingua francese, ma offeso della possibilità che l'attribuzione indiscriminata dell'indennità corrispondesse ad una monetizzazione della lingua francese, al punto che il S.A.V.T. ne approvò l'attribuzione a condizione che questa fosse accompagnata da percorsi di formazione e perfezionamento che trasformassero le conoscenze linguistica in una effettiva competenza professionale".
1983 - La portineria dello stabilimento Cogne di Aosta presidiata dagli operai. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002
Donzel ricorda in un'ampia relazione congressuale di quel periodo, "la fase complessa di grandi processi di ristrutturazione che ha visto momenti di riduzione occupazione e di investimenti nella grande industria, di definizione di grandi accordi commerciali, azionari e produttivi, un periodo che si annuncia di preparazione di altri cambiamenti che si renderanno necessari in vista dell'apertura del mercato europeo. Non posso dimenticare inoltre che il sindacato si propone di realizzare, in quegli anni, insieme alla parità di orario tra pubblico e privato anche il passaggio dell'orario legale dalle 48 alle 40 ore settimanali". Ricordando ancora che nel 1985 il Sindacato raggiunge un accordo con l'Amministrazione regionale per governare propositivamente le fasi della transizione, osserva: "i risultati non sono mancati, ad esempio sul piano occupazionale e sul piano della strategia a medio periodo e della ristrutturazione aziendale".

Donzel mostra particolare attenzione in quegli anni al problema dei rapporti con le altre Organizzazioni Sindacali: oggi rilegge, quasi sorpreso, alcuni passaggi di una sua relazione nella quale affermava: "se lo Stato non è più il garante di diritti, ma l'elargitore di diritti che sono solo presunti e che sarebbe meglio definire con il vero loro nome, 'favori' ed 'interessi particolari', nella società si affermeranno sempre di più nuovi centri di potere, trasversali ai partiti, ai sindacati, alle istituzioni. Poteri semiocculti, ben più complessi di quelli della strategia del terrore, della P2, della stessa mafia, poiché insediati non con una contrapposizione di ingiustizia alla giustizia, di fascismo sulla democrazia, (ai quali sarebbe facile opporsi proprio in difesa della giustizia e della democrazia), ma con lo stravolgimento dei valori. Questi poteri occulti diventano addirittura l'espressione dei nuovi egoistici valori, acquisiscono - cioè - addirittura forme di legalità. Non è quindi un caso che queste "lobbies" trovino nel sindacato un nemico. Il sindacato con la sua pratica della democrazia, con il metro di raffronto dato dal rapporto con gli iscritti e con i lavoratori, rappresenta valori e cultura democratici. Il sindacato che rifiuta lo slogan "non disturbate il manovratore" e le richieste di delega piena, totalizzante, formulate da certa partitocrazia ai cittadini, si fa garante dei valori della democrazia". Sono affermazioni forti, queste di Ezio Donzel, che spiegano, oltre a valori e principi che il sindacato vuole difendere, tutta la preoccupazione del sindacato di essere delegittimato, in una fase che vede i COBAS, i sindacati autonomi, prendere forza e rappresentare un sindacalismo corporativo, negatore di quegli altri principi fondamentali dell'azione sindacale che Donzel considera "la forza stessa del sindacato: la solidarietà e la confederalità".

1997 - 12-13 dicembre: XII Congresso Confederale del S.A.V.T., tavolo della Presidenza, al centro Firmino Curtaz. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Gli anni 90
Firmino Curtaz è designato Segretario del S.A.V.T. nel 1993 e resta in carica fino al 2000, quando decide di lasciare l'incarico con un anno di anticipo sulla scadenza del suo mandato. La sua è una lunga dichiarazione, una riflessione complessiva sulle problematiche che hanno caratterizzato il periodo nel quale ha ricoperto la carica di Segretario del S.A.V.T.. Tutto il periodo degli anni 90 è caratterizzato da profondi mutamenti che cominciano a prodursi, in particolare, negli anni '92 -'93, con un'accelerazione ed una velocità fino ad allora sconosciute: si tratta di mutamenti storici, politici ed economici, intrinsecamente legati anche ad una profonda rivoluzione tecnologica.

Il S.A.V.T. si è trovato ad agire e ad operare in questo particolare momento con la consapevolezza che si stavano producendo fenomeni di dimensione mondiale che interessavano una parte sempre più ampia dell'umanità ed avevano una ricaduta sulla comunità valdostana e sul nostro modo di vivere e di operare quotidiano. Ha così dovuto adeguare in continuazione la propria azione per poter fronteggiare una realtà in continua evoluzione e per poter rispondere ai nuovi bisogni ed alle nuove esigenze delle persone. L'ampiezza di questi fenomeni è evidenziata dai termini che li definiscono sinteticamente e che, proprio in quegli anni, cominciano a farsi strada nel linguaggio di uso quotidiano: "mondializzazione", "globalizzazione". La loro natura ed il loro carattere "internazionale" pongono problemi di carattere economico, sociale, occupazionale che il S.A.V.T. si è proposto responsabilmente di affrontare. Oltre alle problematiche di dimensione mondiale, in questi anni si evidenzia con particolare rilevanza anche la necessità di creare un più forte sistema socio-economico europeo. Prende concreto avvio, dopo la firma del Trattato di Maastricht che fissa le regole economiche che gli Stati devono rispettare per poter partecipare al processo di integrazione, la costruzione dell'Unione Europea, processo che, se pur in modo problematico e non sempre coerente con gli interessi dei lavoratori, continua fino ai giorni nostri che hanno visto l'introduzione in tutta Europa di una moneta unica. Il S.A.V.T. ha sempre espresso, storicamente, fiducia e speranza nella costruzione dell'Europa ed in questa fase, si pone in modo critico ed insieme costruttivo rispetto a queste nuove dinamiche; lavora affinché l'Europa non sia soltanto una espressione economica, una grande area di mercato, ma sia una parte del mondo nella quale la democrazia, la pace, la libertà, la giustizia siano certe. Una parte del mondo dove trovino soluzione i grandi problemi del lavoro, del sociale, dell'ambiente, questioni purtroppo irrisolte o mal risolte all'interno dei singoli Stati che la costituiscono. Un'Europa nella quale siano riconosciute le specificità ed i diritti delle comunità particolari, come la Valle d'Aosta. Un'Europa che, forte di queste sue caratteristiche, assuma un ruolo significativo di garante dei diritti dell'uomo e dei popoli nello scacchiere mondiale.

Anche l'Italia degli 90 è in pieno fermento: la situazione interna è difficile e, per molti versi, anomala rispetto al resto d'Europa. Si vive una realtà di crisi politica, finanziaria ed economica. I problemi più gravi sono la crescita del debito pubblico, un sistema produttivo in difficoltà, l'aumento della disoccupazione e le manovre finanziare dei vari governi, manovre che si rivelano pesanti e spesso inique, vere e proprie sfide con le quali il sindacato ha dovuto fare i conti! Come se la crisi economica e finanziaria non bastasse, si aggiungono gli effetti negativi di una certa degradazione politica che rende la situazione ancor più contraddittoria e difficile da fronteggiare. Sono gli anni di "mani pulite" e di "tangentopoli" se vogliamo ricordarli con due parole che ne hanno diffusamente riassunto le problematiche. È in questo contesto che nasce il Governo Ciampi ed è in questa situazione che è sottoscritto tra il Governo e le forze sociali "l'accordo del 23 luglio 1993". Si tratta di un'intesa basata su alcuni principi chiari e di grande respiro, un accordo che rende possibile il raggiungimento di ottimi risultati ed il cui spirito ancora oggi è attuale ed indispensabile. L'accordo riguarda la politica dei redditi, del lavoro e dell'occupazione, il sostegno alle dinamiche del sistema produttivo e la definizione di nuovi assetti contrattuali. Vengono anche fissati gli obiettivi generali comuni perseguibili ed i soggetti firmatari si assumono la responsabilità di realizzarli. L'impostazione di una nuova politica dei redditi diventa una scelta indispensabile della politica economica per assicurare una maggiore equità nelle distribuzioni dei redditi, per favorire lo sviluppo economico con l'ampliamento della base produttiva ed una complessivamente maggiore competitività del sistema. L'accordo mira a contenere l'inflazione ed a ridurre il deficit pubblico dello Stato, garantendo la stabilità valutaria ed impegnando il Governo a perseguire una politica tariffaria coerente con questi obiettivi. È l'avvio di quel lungo e pesante cammino che consente all'Italia di entrare nell'Unione Europea rispettando, entro i tempi prefissati, i parametri richiesti dal Trattato di Maastricht.

1993 - Firmino Curtaz, Attilio Fassin, Paolo Cheney. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Scompare in questo periodo la scala mobile e viene introdotto un nuovo modello contrattuale caratterizzato su due livelli: un contratto collettivo nazionale, con la finalità di garantire il potere di acquisto del salario (contratto di durata quadriennale per la parte normativa e biennale per la parte economica), un livello di contrattazione aziendale o territoriale capace di cogliere i risultati positivi delle imprese, soprattutto sotto il profilo della produttività e della qualità. Il pubblico impiego è coinvolto in una fase di grandi riforme. Vengono definiti principi e criteri di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche ed i rapporti di lavoro e di impiego vengono disciplinati secondo le norme del diritto civile. Si distinguono e si dividono le funzioni, i poteri e le responsabilità degli organi di direzione politica rispetto a quelli di direzione amministrativa. L'obiettivo della riforma è contenere, razionalizzare e controllare la spesa nel settore pubblico, accrescendo l'efficacia e l'efficienza della macchina amministrativa, anche attraverso processi di semplificazione burocratica. Si vuole con ciò accrescere la capacità delle Pubbliche Amministrazioni di rispondere ai bisogni ed alle esigenze dei cittadini e delle comunità, migliorando l'utilizzo delle risorse umane, puntando sulla formazione e sullo sviluppo professionale dei dipendenti. Al perfezionamento di questo processo contribuisce una modificazione introdotta nella contrattazione: i contratti non sono più discussi direttamente con i rappresentanti dei governi (centrale o locale), ma la contrattazione viene affidata ad apposite agenzie. In Valle d'Aosta nasce, ad esempio, l'ARRS e nella contrattazione viene introdotto il nuovo concetto di salario accessorio, istituendo i premi di risultato e di produttività. Varie riforme del sistema pensionistico sono introdotte e toccano sia il settore pubblico sia quello privato, modificando pesantemente i sistemi precedentemente in vigore ed incidendo profondamente sulle aspettative dei lavoratori.

Questi aspetti nuovi hanno messo a dura prova il rapporto tra sindacato e lavoratori con momenti conflittuali forti; tuttavia i lavoratori ed il sindacato hanno dimostrato - in questa lunga e complessa fase - un alto senso di responsabilità nell'interesse comune. Il S.A.V.T. ha condiviso e vissuto, insieme alle altre Organizzazioni Sindacali della Valle d'Aosta, queste nuove situazioni emerse a livello italiano ed ha agito in Valle d'Aosta per far comprendere la necessità del cambiamento e delle riforme. In quel periodo, nasce direttamente nei luoghi di lavoro una maggiore richiesta di democrazia del sindacato. Nascono ad esempio le Rappresentanze Sindacali Unitarie, che danno ulteriore spazio e voce ai lavoratori, in un momento in cui le "vertenze sindacali" cambiano modo di prodursi, modificando anche il metodo del confronto tra lavoratori e datori di lavoro. Nascono anche nuovi bisogni. Si afferma la necessità di porre in una prospettiva rivendicativa nuova e diversa temi come: gli ambienti e la salute nei luoghi di lavoro, l'organizzazione e la dignità del lavoro. Il tema dei 'diritti' diventa centrali. Queste domande impongono una nuova e più marcata partecipazione e l'esercizio da parte del sindacato di un ruolo più complesso e attivo. Per questo c'è bisogno di rafforzare e ampliare i momenti di unità sindacale. Purtroppo questo processo si è interrotto e ai giorni nostri le difficoltà sono evidenti.

1993 - Congressisti all'XI Congresso Confederale del S.A.V.T. a Châtillon. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002En Vallée d'Aoste aussi, la situation s'avère particulièrement complexe, mais un certain nombre de problèmes sont ici moins compliqués par rapport au reste de l'Italie, grâce entre autres aux prérogatives d'autonomie prévues par le Statut. La conjoncture engendre toutefois un climat défavorable qui n'est pas seulement le fait des phénomènes économiques internationaux, mais également de la faiblesse du système de production intérieur, voire d'une fragilité généralisée du système économique. Du point de vue syndical, l'exigence se manifeste d'actualiser les contenus du protocole signé en 1985 par les syndicats et l'Administration régionale, un accord capital dans la mesure où il sanctionnait le recours à la concertation préalable et à une procédure d'examen et de solution des problèmes tout à fait innovante.

Quelles sont donc les priorités à aborder?
Face à la crise qui sévit dans des secteurs entiers (chimie, textile, métallurgie et mécanique) et qui n'a d'ailleurs pas épargné la Cogne - de nombreux travailleurs sont mis au chômage technique ou perdent carrément leur emploi -, le Pacte signé par les institutions et par les partenaires sociaux permet d'adopter des plans de politique de l'emploi triennaux, d'amorcer la reconversion de l'industrie et d'investir dans la formation et la requalification professionnelle. Les signataires sont toujours plus conscients de l'importance des valeurs dont s'inspire ce pacte: car le dialogue et la concertation ont désormais fait leurs preuves et les différents acteurs, loin de se considérer comme des parties s'opposant les unes aux autres, agissent en véritables interlocuteurs et œuvrent pour permettre au "système Vallée d'Aoste" de sortir de l'impasse. En 2000, le champ d'action de cet accord s'élargit et un nouveau "Pacte pour l'essor de la Vallée d'Aoste " engage désormais les employeurs, aux côtés de l'administration et des syndicats, à atteindre l'objectif principal: contribuer au renforcement global et durable de l'économie valdôtaine et, par là, garantir un taux d'emploi élevé et une meilleure qualité de la vie à l'ensemble de la communauté. Dans cette optique, la valorisation des ressources humaines acquiert une importance particulière, comme le prouve le projet qui aboutit à l'institution de l'Université de la Vallée d'Aoste. Par ailleurs, une réforme de l'appareil bureaucratique s'impose afin que celui-ci puisse effectivement jouer un rôle social, ce qui conduit à la mise en œuvre du statut unique de la fonction publique régionale.

Le syndicat aussi accorde une attention accrue à l'individu et à ses exigences, qui se traduit à la fois dans le renforcement des services existants et dans la création de nouveaux services à l'intention des travailleurs et des retraités. C'est ainsi que le S.A.V.T. s'organise pour ajouter aux prestations de caractère social normalement fournies par son Service d'assistance d'autres prestations - l'aide à l'établissement des déclarations des revenus, par exemple - et, partant, pour développer son rôle d'acteur social et politique. En sus du capital humain, le nouveau concept d'économie mise sur la qualité et, par là, sur la valorisation de l'ensemble des ressources locales: matières, équipement et main d'œuvre. Dans ce contexte, le développement économique de la Vallée d'Aoste est facilité par les mesures entreprises par la Région dans le secteur de l'énergie, ainsi que par les efforts que tous les acteurs déploient en vue de la reconversion et du réaménagement des sites industriels, où viennent s'installer de nouvelles activités de production, qui créent de nouveaux emplois. C'est précisément à cette fin, et aux fins de l'utilisation rationnelle de toutes les ressources disponibles, que l'Administration régionale demande à bénéficier des financements de l'Union européenne. Grâce notamment aux Fonds structuraux, la Région réalise plusieurs projets de soutien qui ne manquent pas de profiter à l'ensemble des acteurs socio-économiques valdôtains. L'usine Cogne, dernier complexe sidérurgique du Nord de l'Italie, est un exemple significatif du rôle que la concertation et l'apport technique et économique de la Région (qui a, entre autres, acheté certains sites) jouent dans le maintien en Vallée d'Aoste d'un établissement toujours aussi important, malgré la réduction des effectifs provoquée par les logiques du marché.

Pour en revenir à l'Italie, la situation empire en 1994, lorsque les rênes du gouvernement sont prises par une majorité du centre-droite qui, de par sa nature, n'accorde aucune valeur à la concertation, ni au dialogue avec les acteurs sociaux qu'elle a du mal à considérer comme des interlocuteurs; une majorité qui entend lancer des réformes qu'elle ne se préoccupe pas trop de discuter avec les partenaires sociaux, mais qu'elle veut imposer au détriment des classes les plus démunies et au profit des classes privilégiées. Cette réalité renforce inévitablement l'unité des syndicats, et ce, sans préjudice de l'identité du S.A.V.T.. C'est ainsi que le mouvement syndical organise de grandes manifestations populaires contre le gouvernement et contre ses actes offensifs vis-à-vis de ces travailleurs qui, au cours des années précédentes, ont fait d'énormes sacrifices, persuadés comme ils l'étaient de participer à un processus auquel contribuaient également les institutions et les employeurs. Les vicissitudes de la politique italienne provoquent la chute du gouvernement de centre-droite qui reconquiert cependant la majorité en 2001. La logique libériste refait surface, et force les travailleurs et les syndicats à se rallier et à s'organiser pour réaffirmer l'importance des valeurs et des droits de tous les travailleurs.

En résumé, quelles conclusions peut-on tirer de cet exposé?
Tout d'abord, il y a lieu de constater que le débat sur le Fédéralisme s'est sensiblement élargi, bien que les interprétations utilitaires - voire fausses - de cette pensée et les conversions tardives en réduisent la portée réelle. Tout le monde parle désormais de Fédéralisme, avec quelque 50 ans de retard par rapport au S.A.V.T. qui s'en inspire depuis toujours, au point d'en avoir fait le fondement de son existence. Il y a dix ans seulement, parler de principes fédéralistes tels que la subsidiarité et la décentralisation ou affirmer la valeur et l'importance de la dimension locale n'était pas courant et risquait même d'être considéré comme un attentat à l'unité de l'État. Aujourd'hui, ces sujets sont débattus au Parlement et des réformes - hélas, insuffisantes - ont été adoptées en ce sens. Et s'il est vrai que depuis l'effondrement du mur de Berlin, bien des choses ont changé et qu'il ne reste plus tellement de place pour les batailles idéologiques, il n'en est pas moins vrai qu'il faut encore lutter pour la pleine reconnaissance d'un syndicat comme le S.A.V.T., qui revendique son caractère ethnique et autonome. Voilà deux idées sur lesquelles il convient d'apporter quelques précisions pour éviter toute ambiguïté. Le S.A.V.T. œuvre depuis toujours selon le principe de " l'unité dans la diversité " et n'a jamais voulu défendre des positions privilégiées, ni des intérêts corporatistes: il a simplement et tenacement défendu son particularisme, contre toutes les tentatives d'assimilation menées à l'échelle nationale. Ainsi, le syndicat entend lutter pour contribuer aux dynamiques qui s'amorcent sur la scène tant européenne que mondiale, sans pour autant renoncer à sa diversité. Car les principes qui inspirent l'action du S.A.V.T. - et notamment l'exigence de représenter les attentes et les intérêts des travailleurs valdôtains, mais également de la communauté tout entière - n'ont jamais perdu de leur valeur, ni de leur actualité. La conscience d'appartenir à une seule communauté, unie et solidaire, fait douloureusement surface lors des deux tragédies qui frappent notre région ces dernières années: l'incendie du tunnel du Mont-Blanc et l'inondation du mois d'octobre 2000. Autant de drames qui endeuillent la Vallée d'Aoste et engendrent de lourdes conséquences pour l'économie régionale, déjà sérieusement touchée. Autant de moments où le peuple valdôtain fait preuve de sa volonté de regarder en avant.

Nel fluire del racconto Firmino Curtaz dimentica di citare un "particolare"; nel periodo in cui è Segretario, il S.A.V.T. raggiunge quasi gli 8 mila iscritti!

Gli anni 2000
Dopo il Congresso Confederale del 2001, alla Segreteria del S.A.V.T. è designato Guido Corniolo, ma di questa fase non è ancora il momento di tracciare una nota storica: siamo ancora alla attualità, una attualità resa difficile dai mutamenti in atto nella società italiana (va al governo Silvio Berlusconi che imposta una politica liberista cui il sindacato si contrappone), nell'Europa (L'Unione Europea si rafforza con la nascita della moneta unica, l'Euro), nel mondo (si affermano le logiche di un liberismo sfrenato sintetizzato dal termine "globalizzazione").

LA RAPPRESENTATIVITÀ ED I RAPPORTI DEL S.A.V.T. CON LE ALTRE OO. SS. .: su / haut :.

1954 - Manifestazione in piazza Chanoux ad Aosta. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Fin dai primi mesi del 1954 il S.A.V.T. si propone di stabilire dei contatti con una organizzazione dei lavoratori che gli consenta di fornire servizi assistenziali. La scelta cade sulla U.I.L. in considerazione del fatto che questa non è presente in Valle d'Aosta ed ha un programma sociale per molti versi affine a quello che il S.A.V.T. stesso si propone di svolgere. Pierre Fosson, a nome del S.A.V.T. prende, così, i contatti necessari con i vertici della U.I.L. e, in particolare, con il signor Viglianesi e con il senatore Carmagnola, ponendo le basi di un accordo che è stipulato il 13 dicembre 1955 a Torino e nel quale si afferma: "Il S.A.V.T. affida all'Unione Italiana del Lavoro mandato di rappresentanza per tutte le vertenze ed i problemi a carattere nazionale ed internazionale, ferma restando la più completa Autonomia sindacale ed organizzativa del S.A.V.T. medesimo. La Unione Italiana del Lavoro s'impegna a fornire assistenza tecnica e sindacale al S.A.V.T., per tutto quanto concerne la sfera della propria attività e competenza e a non interferire nelle decisioni di qualsiasi ordine e grado degli organi dirigenti ed esecutivi del S.A.V.T." Questa intesa riavvicina il S.A.V.T. anche alla C.I.S.L., che in quegli anni è alleata della U.I.L. La struttura sindacale valdostana si definisce compiutamente: C.G.I.L., S.A.V.T. e C.I.S.L. sono le organizzazioni presenti a livello locale.

I primi anni di attività per il S.A.V.T. sono difficili e culminano con il secondo congresso nel 1959. Nelle parole del direttivo uscente le motivazioni di tali difficoltà sono spiegate in questo modo: "Questo nostro involontario ritardo nel preparare il Congresso è dovuto a molteplici motivi e qualcuno di questi è di portata sostanziale. La grave crisi finanziaria nella quale si dibatteva il Sindacato, può già per se stessa giustificare questo nostro ritardo; la carenza di uomini pronti ed esperti nella vita sindacale è un altro motivo da non sottovalutare..." Viene inoltre evidenziato che "grave è la carenza in campo assistenziale, carenza che ha trovato soluzione nel 1954 grazie all'accordo raggiunto coll'Istituto I.T.A.L. Centrale; l'ufficio di patronato ed assistenza sociale inizia la sua opera facendosi nel tempo, largamente conoscere tra i lavoratori: soprattutto da quelli della categoria agricola spesso abbandonata a se stessa". Il direttivo del S.A.V.T. analizza, inoltre, i rapporti intercorsi in questi primi sette anni di vita con le altre Organizzazioni Sindacali, iniziando ad evidenziare le caratteristiche del rapporto con la U.I.L., un accordo di mutua rappresentanza. Lo scopo che il S.A.V.T. si pone con tale esperimento di collaborazione è mantenere in campo nazionale rapporti tali da assicurarsi la possibilità di sensibilizzare queste organizzazioni sui problemi e le aspirazioni dei lavoratori della Valle d'Aosta in occasione della discussioni dei contratti di lavoro, degli accordi interconfederali e delle norme legislative a carattere sociale.

1963 - Operai della Cogne: Marcel Blanchet, Lorenzini, Henry Erba, Peloso. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Diverso invece è il rapporto con la C.G.I.L. che, fin dalla nascita del S.A.V.T., è estremamente difficile e polemico. Con il famoso sciopero di 47 giorni alla Cogne la situazione si inasprisce maggiormente a causa delle divergenze di veduta. La situazione sindacale determinatasi in Italia dopo l'offensiva padronale, negli anni sessanta si fa, però, sentire in modo particolarmente pesante, obbligando a rivedere e modificare certi atteggiamenti permettendo così un riavvicinamento delle due organizzazioni. Anche con la C.I.S.L. inizialmente i rapporti sono freddi ed ispirati a reciproca diffidenza, a causa di quella che il S.A.V.T: definisce "la mancata comprensione delle nostre posizioni da parte dei loro direttivi, composti di uomini che, in taluni casi, avevano militato nella ... Séction Travailleurs, e che per questioni prettamente politiche si allontanarono da noi e divennero ... i nostri più grandi oppositori in seno alla C.I.S.L.". Con il tempo la situazione mutò fino a consentire momenti di positiva collaborazione: ne sono un esempio gli accordi relativi alla "Banca delle ore" e quelli riguardanti i miglioramenti delle condizioni lavorative all'interno della Cogne. La C.I.S.NA.L. ed altre sigle sindacali rimangono, invece, completamente escluse da qualsiasi rapporto con il S.A.V.T. Facendo un passo indietro è bene tornare ai rapporti intercorsi con la U.I.L.. L'accordo venne meno nel 1966 quando la U.I.L., convinta di poter occupare lo spazio che il S.A.V.T. si era costruito, decide di entrare direttamente nella vita sindacale valdostana troncando i rapporti di mutua rappresentanza con il S.A.V.T.. Giorgio Benvenuto, Segretario U.I.L., afferma l'impossibilità della coesistenza di quattro Organizzazioni Sindacali in Valle d'Aosta, sostenendo la necessità per il S.A.V.T. di operare una scelta confluendo all'interno della C.G.I.L., della C.I.S.L. o della U.I.L.. Il S.A.V.T. rifiuta tale idea e continua sulla sua strada con la solidarietà di altre Organizzazioni Sindacali. Ne è la prova la dichiarazione di Bruno Trentin, prestigioso dirigente della C.G.I.L. (di cui diviene in anni successivi Segretario generale), il quale in occasione del Convegno di Trieste tenutosi il 17 e18 giugno 1972 sostiene che "il S.A.V.T. non solo ha ragione, ma avrebbe torto se sostenesse una strada diversa per la sua organizzazione".

1955 - Valsavarenche, Rovenod: gli operai dell'impresa Sogno. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Purtroppo a causa del mancato avanzamento del processo unitario, si assiste ad una divisione all'interno del sindacato. Le cause sono da ricercare nel problema della rappresentatività: la legislazione corrente sovente delega la rappresentanza di Enti, Commissioni, Comitati a Organizzazioni Sindacali nazionali e talvolta a Organizzazioni presenti all'interno del C.N.E.L. e in questo modo il S.A.V.T. rischia di essere escluso. Attraverso riunioni a livello regionale con le altre Organizzazioni Sindacali, quasi sempre intervengono degli accordi, adottando il metodo della rotazione degli incarichi, ma il problema più grave risulta essere quello del collegamento con le categorie "Nazionali". Infatti, mentre per i metalmeccanici non esistono problemi di sorta, per altre categorie, come ad esempio la scuola, si pone il problema dell'informazione e della partecipazione alle diverse riunioni di categoria. Il problema si presenta anche in occasione dei vari Convegni indetti dalla Federazione C.G.I.L. - C.I.S.L. e U.I.L., per partecipare ai quali il S.A.V.T. è costretto a richiedere la "concessione" di un posto alle altre Organizzazioni Sindacali. Malgrado ciò, le Organizzazioni Sindacali in Valle d'Aosta operano quasi sempre di comune accordo, soprattutto nei posti di lavoro.

1982 - Aosta, Palazzo regionale: sciopero generale in Valle d'Aosta. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002L'8 novembre 1972 è raggiunto un grande traguardo nel mondo sindacale valdostano: si costituisce in Valle d'Aosta la "Federazione C.I.S.L.-C.G.I.L.-U.I.L.-S.A.V.T.". "I Consigli Generali della C.I.S.L., C.G.I.L., U.I.L. e del S.A.V.T. riuniti in Aosta l'8 Novembre 1972 - si legge nel documento - decidono di costituire la 'Federazione C.I.S.L.- C.G.I.L.-U.I.L.-S.A.V.T.' della Valle d'Aosta. I Consigli Generali ... ribadiscono, inoltre, la loro volontà di realizzare l'unità sindacale ... e considerano il Patto Federativo come un momento importante e significativo, ma non alternativo, ai fini del raggiungimento dell'obiettivo prioritario e inscindibile della 'unità organica' di tutti i lavoratori". Scopo essenziale della "Federazione" è realizzare politiche comuni volte all'affermazione di un nuovo modello di sviluppo economico e sociale; la Federazione, consapevole che dall'attuale situazione si esce solo con una nuova politica economica e sociale, impegnano la Federazione a mobilitare i lavoratori ed a lottare per il raggiungimento dei seguenti obiettivi: realizzare la piena attuazione dello Statuto speciale; salvaguardare ed estendere la democrazia minacciata dalle forze di destra e fasciste; difendere il diritto di sciopero; salvaguardare l'occupazione; conquistare una nuova organizzazione del lavoro e il rinnovo dei contratti; dare attuazione alle riforme per espandere l'occupazione, dare a tutti i cittadini i servizi sociali necessari; combattere la speculazione eliminando le cause dell'aumento del costo della vita.

1997 - Roma: Valdostani alla manifestazione unitaria in difesa del lavoro e delle pensioni. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Inoltre la "Federazione" promuove, attua direttamente e coordina, a tutti i livelli programmi di attività e di formazione unitaria dei quadri e dei militanti sindacali, peraltro non sostitutivi delle iniziative delle singole Confederazioni. Il S.A.V.T. riconosciuto, ormai di fatto, quale movimento sindacale di grande peso all'interno della vita socio-economica valdostana raggiunge il suo più grande traguardo nel 1989 con il riconoscimento ufficiale di sindacato maggiormente rappresentativo su base regionale, sancita dal Decreto Legislativo 28 dicembre 1989, n. 430 che riguarda "Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Valle d'Aosta in materia di previdenza e di assicurazioni sociali", in virtù del quale al S.A.V.T. sono estesi gli stessi diritti riconosciuti alle altre Organizzazioni Sindacali. Questo importante risultato è acquisito grazie all'impegno profuso dai parlamentari valdostani e, in particolare, all'attività svolta dall'on. Luciano Caveri. Il Consiglio regionale, accertato il requisito di maggior rappresentatività di cui all'art 5. D.Lg 430, tenuto conto dei principi statutari del S.A.V.T. e del fatto che esso rappresenta, con oltre 4300 iscritti in tutti i settori dell'attività produttiva valdostana, l'unica associazione sindacale di minoranza linguistica operante nella regione, visti l'art. 6 della Costituzione e gli artt. 3 e 4 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta, dichiara - in data 27 dicembre 1990 - che l'Associazione "Syndicat Autonome Valdôtain des Travailleurs - S.A.V.T. "possiede il requisito della maggior rappresentatività in sede locale. Il S.A.V.T. può ora operare ufficialmente anche negli ambiti statali, parastatali e in quelli delle ferrovie dello Stato. La sua rappresentatività è soggetta negli anni '90 ad altri interventi legislativi, che integrano, modificano e rafforzano la posizione delle Organizzazioni Sindacali delle minoranze linguistiche nell'ambito della provincia di Bolzano e della Regione Valle d'Aosta. Nel 1998 un nuovo Decreto Legislativo, quello del 31 marzo, recante il numero 80, rafforza i contenuti del Decreto 430, riconoscendo al S.A.V.T., che conta ormai quasi otto mila iscritti, pieno diritto nella funzione pubblica. Il percorso di pieno riconoscimento non è ancora compiuto, ma importanti passi in avanti sono stati fatti.

GLI OBIETTIVI DISTINTIVI DEL S.A.V.T. .: su / haut :.

1982 - Trentennale del S.A.V.T.: le delegazioni dei Sindacati delle Minoranze d'Europa e i delegati S.A.V.T.. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Gli obiettivi che hanno caratterizzato e che caratterizzano il S.A.V.T. sono i seguenti:
1 - difesa e promozione degli interessi economici, professionali, morali e culturali dei lavoratori della Valle d'Aosta e miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro;
2 - superamento e trasformazione radicale delle strutture economiche e politiche in previsione della realizzazione del Federalismo integrale;
3 - collaborazione con le Organizzazioni Sindacali delle cosiddette minoranze etniche e con quelle europee.
Per quanto riguarda il primo obiettivo, dando per acquisita la ricostruzione di tutta l'azione che il S.A.V.T. ha svolto nei suoi 50 anni di vita, è il momento di soffermarsi sull'aspetto culturale, ribadendo l'importanza della lingua come elemento caratterizzante dell'identità dei valdostani che si aggiunge agli altri elementi propri di ogni sindacato. Durante il periodo fascista la Valle è stata sottoposta ad un processo di italianizzazione che ha comportato, all'epoca, la trasformazione della denominazione delle località dal francese all'italiano. Bandita la lingua francese in quasi tutti gli ambiti, poco è mancato che anche cognomi delle famiglie valdostane scomparissero anch'essi. Per la Valle d'Aosta il bilinguismo, sancito nello Statuto di Autonomia quasi come una riparazione storica, non rappresenta solo un fatto culturale radicato nella storia della Valle d'Aosta, ma anche il presupposto su cui si basa l'Autonomia stessa.

È importante sottolineare che il S.A.V.T. ha preso una posizione netta nei riguardi del bilinguismo, approvando più volte, documenti ed affermazioni di principio che analizzano il problema da un punto di vista storico, culturale e sociale. La lingua francese è il segno distintivo di un popolo che vuole mantenere vive le sue tradizioni e non vuole rinnegare le sue radici. Secondo obiettivo caratteristico del S.A.V.T. è il Federalismo. Più volte nel corso delle occasioni congressuali il S.A.V.T. ha ribadito questa scelta, considerata come l'unica strada percorribile per la pace ed il rispetto dei diritti dei popoli. In tale ottica il S.A.V.T. è parte di un sindacalismo che si organizza e si costituisce in tutte quelle zone d'Europa dove una parte dei problemi rimane irrisolta perché non sussistono sufficienti strumenti di autogoverno, di libertà sindacale e di autodecisione a livello locale e quindi, si subiscono maggiormente gli effetti di una crisi determinata e voluta per indebolire il movimento dei lavoratori e, al tempo stesso, per frenare le alternative economiche e politiche con atti di imposizione sociali, economici e istituzionali che poggiano la loro forza sul centralismo". L'analisi economica di Chanoux vede nelle valli, piccoli organismi socialmente perfetti, il terreno più adatto in cui esperimenti sociali, anche arditi, possono aver luogo senza portare a sconvolgimenti irreversibili.

Quarantennale del S.A.V.T.: il Direttivo Confederale. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Nelle valli operai e contadini si identificano nei medesimi soggetti: qui esiste il fenomeno del doppio lavoro e la presenza di un ceto che non è proletario, ma è costituito da operai-agricoltori o da operai-proprietari, piccoli o piccolissimi. La proposta di Chanoux è quindi finalizzata a queste categorie dalle quali deve continuamente ottenere l'avallo. In questa realtà, libertà e Autonomia, non solo politica, ma anche economica, rappresentano il mezzo per la vera realizzazione del Federalismo inteso quale movimento dei lavoratori e dei popoli. Il Federalismo, quindi, è basato sull'impegno di costruire una società pacifica e democratica che consenta ad ogni popolo di affermarsi e svilupparsi pienamente, organizzandosi istituzionalmente secondo le proprie esigenze, in un contesto nel quale ogni individuo possa anch'esso svilupparsi in solidarietà con gli altri individui, in uno spirito di tolleranza: una società democratica caratterizzata da un'omogeneità storica, culturale, geografica ed economica. Il Federalismo diventa, in questo contesto, la strategia per armonizzare situazioni tanto diverse in una società nuova che concepisca i rapporti fra i popoli e l'equilibrio dei loro interessi e della loro identità sulla base della cooperazione; anche in questo il Federalismo si conferma come strumento per il superamento delle rigide divisioni in stati e per la costruzione di un'Europa dei popoli.

Il Federalismo può essere in conclusione definito quale metodologia generale dell'organizzazione sociale, e come tale si fonda su specifici "principi fondamentali": Il principio di Autonomia: si concretizza nel riconoscimento del diritto all'esistenza organizzata di ogni gruppo umano, cioè del diritto dei popoli di disporre di se stessi in tutte le forme di organizzazione sociale all'uopo necessarie. Tale principio corrisponde al diritto alla autodeterminazione, che si articola in quattro forme:
1) l'autoaffermazione, quale legittimazione di ogni progetto di associazione. Popoli, nazioni, comunità di lingua, di cultura, di fede, di interessi sono riconosciuti nell'istante stesso in cui prendono coscienza della loro identità e decidono di organizzarsi;
2) l'autodefinizione, intesa come diritto riconosciuto ad ogni collettività di porsi propri parametri territoriali;
3) l'auto/organizzazione che si concretizza nel potere di porsi propri parametri isitutuzionali al fine di organizzarsi come meglio si intende e non sulla base di un modello imposto da un potere esterno. Questo, però, sempre nel rispetto delle altre collettività;
4) l'autogestione, concepita come potere di un popolo di governarsi, di amministrarsi e di gestire liberamente i propri interessi nel contesto del suo Statuto.

1992 - Quarantennale: il parroco Louis Vuillermoz benedice la targa commemorativa. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Il principio di esatta adeguazione o di sussidiarietà. Il sistema federale è costituito da una pluralità di comunità che si integrano in un sistema più vasto e organizzato. Dal comune alla federazione mondiale, è necessario un principio di ripartizione, di distribuzione di competenze ai diversi livelli. Saranno demandate ad organizzazioni superiori solo quelle competenze che, per la loro soluzione, per la loro natura e per la loro dimensione non sono risolvibili dalla sola comunità. Il principio di partecipazione. Il principio di partecipazione è l'elemento basilare del sistema federalista. In base ad esso la collettività deve contribuire, attraverso tecniche appropriate, attivamente e formalmente alle decisioni assunte ai livelli più alti. Il principio di cooperazione. Il principio di cooperazione mette in evidenza il carattere contrattuale del Federalismo, implicando per ogni problema la possibilità di trovare una specifica soluzione in un quadro o in procedure liberamente elaborate dalle collettività interessate: ciò può riguardare sia la cooperazione tra regioni e stati federati per la gestione di risorse sia la realizzazione d'investimenti comuni diventando così cooperazione a livelli diversi ma con finalità identiche. Il principio di cooperazione è fondamentale nel Federalismo armonizzando e coordinando i diversi livelli ed introducendo un elemento di efficacia garantito dalla flessibilità e dalla elasticità dei rapporti interni alla struttura federale stessa. Il principio delle garanzie. Secondo il principio delle garanzie il più piccolo deve potersi tutelare nei confronti del più grande. A tal fine il Federalismo pone da una parte garanzie normative e dall'altra parte garanzie giurisdizionali che devono assicurare la possibilità di un ricorso sistematico all'arbitrato ed alla messa a punto di un sistema giudiziario indipendente dalle influenze esterne.

Il terzo obiettivo, la collaborazione con le Organizzazioni Sindacali europee, si è concretizzato in diverse occasioni. Nei giorni 1, 2 e 3 Maggio 1982, in occasione del trentesimo anniversario del S.A.V.T., si è tenuta l'assemblea delle Organizzazioni Sindacali e dei militanti per un sindacalismo delle comunità etniche e nazionali dello Stato italiano. Questa assemblea ha avuto lo scopo di verificare l'analogia dei problemi che si presentano nelle diverse realtà e di migliorare la collaborazione tra le Organizzazioni Sindacali delle varie minoranze etniche e linguistiche. Al termine dell'assemblea è stata creata la Consulta Sindacale delle Comunità Etniche e Nazionali dello Stato italiano la quale deve operare per mantenere ed ampliare i rapporti già esistenti tra organismi sindacali espressi dalle comunità etniche e nazionali e per collegare gli sforzi ed il lavoro di quanti operano nelle realtà etniche e nazionali attualmente prive di una struttura sindacale. Obiettivo primario della Consulta è stato chiarire una linea corretta per quanto riguarda il problema delle minoranze linguistiche cui si riferisce l'art. 6 della Costituzione. In un apposito documento la Consulta ha così affermato:

"1) la tutela dei singoli individui deve avvenire attraverso la comunità cui essi appartengono: il che significa che è necessario prevedere norme di diritto collettivo e non semplicemente personale; infatti l'individuo parla una lingua in quanto appartiene ad una comunità di parlanti quella lingua, e questa è non solo un mezzo di comunicazione ma anche di autoidentificazione del gruppo;
2) un diritto collettivo applicato a delle "minoranze linguistiche" le riguarda per ciò che le rende tali; così che risulta fondamentale per la loro individuazione e per la tutela l'aspetto territoriale; le comunità in questione si sono formate storicamente su un dato territorio (friulani, ladini, occitani, e...) oppure hanno stabilito da secoli col territorio rapporti di stabilità (albanesi, croati); per i rom, nomadi per eccellenza, il territorio è la comunità stessa;
3) ai fini della individuazione dei referenti dell'articolo 6 della Costituzione:
a - tratto fondamentale è la lingua (sottinteso: differente da quella italiana), e a questo proposito è necessario considerare come lingua l'insieme delle varianti geografiche e sociolinguistiche che nel loro complesso formano il codice ed il sistema differente dall'italiano, indipendentemente che per esse ci sia o non ci sia al momento una lingua comune o Koinè istituzionalizzata e riconosciuta;
b - le comunità con lingua diversa dall'italiano sono minoritarie, e cioè per la loro consistenza numerica sono gruppi relativamente più piccoli rispetto ad una maggioranza all'interno dello Stato.

Sono identificate quali comunità minoritarie, con lingua differente dall'italiano e minoritarie, quelle: slovene, friulane, tedesche, ladine, franco provenzali, occitane, catalane, sarde, greche, albanesi, croate, rom, francesi". Contestualmente è creato anche il CPSN (Coordinamento Permanente dei Sindacati Nazionalitari) che afferma l'intento di stringere i rapporti tra le organizzazioni del sindacalismo nazionalitario, le cui organizzazioni sono impegnate nel duplice fronte della difesa dei diritti e degli interessi dei lavoratori ed in quello della costruzione di una Europa dei Popoli nella quale tali diritti siano ancor maggiormente tutelati, grazie al rispetto ed alla valorizzazione delle diverse identità: baschi, catalani, corsi, galleghi, bretoni, scozzesi, ecc., hanno partecipato direttamente alla fase costitutiva del Coordinamento, mentre altri vi hanno aderito successivamente. Nella seconda metà degli anni 90 il S.A.V.T., inoltre, ha iniziato a collaborare con le Organizzazioni Sindacali transfrontaliere collegate nei Consigli Sindacali Interregionali, all'interno dei quali il S.A.V.T. gode dello statuto di osservatore; i Consigli raggruppano le Organizzazioni Sindacali regionali, le confederazioni nazionali affiliate alla C.E.S. e quelle delle regioni frontaliere. Non sarebbe possibile comprendere la qualità dell'approfondimento di cui il S.A.V.T. si è mostrato capace, senza riportare l'analisi che François Stévenin illustrò nel Congresso Confederale del 1981 quando, affrontando i problemi della integrazione europea, ebbe modo di anticipare molte delle problematiche con le quali ancor oggi facciamo i conti: l'integrazione europea, gli squilibri "regionali" in Europa e in Italia, i diritti dei popoli, gli interessi del capitale, i primi passi della globalizzazione (il documento è riportato nei capitoli dedicati all'impulso ideale).

FELICE ROUX .: su / haut :.

2001 - 14-15 dicembre, Gressan: 13. Congresso Confederale S.A.V.T., tavolo della presidenza, al podio Felice Roux. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Attorno al tavolo ci sono alcuni dirigenti delle OO.SS. della Valle d'Aosta; due esperti sono arrivati appositamente da Roma per una di quelle iniziative di formazione rivolte ai cosiddetti "quadri" sindacali che rappresentano un indispensabile momento di crescita del sindacato. La materia è complessa, ma i due tecnici sono davvero in gamba trovano gli esempi giusti per spiegare in modo facilmente comprensibile i complessi meccanismi di un calcolo fiscale. Quando sembra che tutto sia stato chiarito, Felice chiede la parola, dice che non è convinto, afferma di aver letto "da qualche parte" che c'è stato un provvedimento successivo a quelli citati dai due esperti e che questo modificherebbe ciò che questi hanno affermato. I due sono affabili e gentili, tentano di replicare, ma Felice è impietoso: tira fuori di tasca il portafogli, estrae un foglietto spiegazzato, lo apre e lo riapre più volte e, finalmente, può leggerne il contenuto: è la notizia del provvedimento di cui aveva parlato. I due tecnici si guardano sorpresi e si chiedono chi sia quell'uomo dall'aspetto burbero ed i baffi prominenti che tiene ripiegati nel portafogli fogli e foglietti con chissà quali notizie; si accertano con una telefonata a Roma di come stiano effettivamente le cose e poi si scusano: "quel signore con i baffi ha ragione; a proposito, come si chiama?" "Roux, Felice Roux" risponde il nostro. Felice è entrato nel S.A.V.T. nei primi anni 70 quando era giovane; in quegli anni operava come sindacalista in fabbrica ed aveva modo di confrontarsi giornalmente, sulle tematiche sindacali, con François Stévenin, Valentino Lexert e Aldo Cottino. Felice è l'uomo dalle molte risorse, il personaggio che più di ogni altro incarna l'impegno, la solidarietà e la serietà del lavoro che il S.A.V.T. si propone di rappresentare. Non c'è vecchia foto, documento, contratto, legge e norma di cui quasi nessuno si ricorda più che Felice non sia in grado di reperire e di mettere a disposizione rapidamente. E senza ausili informatici, tutto alla vecchia maniera.

Non c'è dettaglio che gli sfugga nelle questioni amministrative del S.A.V.T. di cui egli è responsabile; non c'è vecchio iscritto o dirigente di cui Felice non ricordi un aneddoto o un particolare. Questo ed altro perché "i miei ricordi - dice Felice - non sono legati solo al S.A.V.T., ma - almeno per quanto concerne la fabbrica, la Cogne - a tantissimi compagni di lavoro, alcuni dei quali non più in vita, indipendentemente dal sindacato di cui facevano parte. Voglio ricordare un nome per tutti: Sergio Graziola". Per questo mentre di altri esponenti del S.A.V.T. questo libro ricorda l'apporto operativo e l'elaborazione intellettuale in occasione di Congressi o pubblicazioni, rinviando ad altra occasione la sottolineatura delle date e delle qualità umane, per Felice doti umane e lavoro sono assolutamente inscindibili. Come quando racconta ai più giovani funzionari del S.A.V.T. di oggi, o ricorda agli altri, gli anni nei quali la lotta del sindacato rese possibile l'approvazione dello Statuto dei Lavoratori, lasciando trasparire nel racconto più che il senso pratico della conquista, quello morale: "i lavoratori - dice - recuperarono la loro dignità in fabbrica".

"Per capire perché oggi è così importante difendere lo Statuto dei Lavoratori ed i suoi principi - dice spesso - bisogna ricordare in che clima i lavoratori si trovavano a svolgere le loro faticose otto ore di lavoro in Cogne; non c'era il tempo di una pausa per mangiare; era sconsigliato non solo leggere, ma perfino anche solo portare in tasca un giornale sindacale o politico". "Allora - e si infervora - non c'erano i portieri, ma i guardiani ... il nome la dice lunga; dovevano cioè avere certe ... caratteristiche ed erano incaricati, tra l'altro, di perquisire i lavoratori perché il padrone sospettava gli venissero sottratti attrezzi da lavoro; dovevano dar la caccia ai lavoratori di cui il padrone sospettava qualche eccesso di riposo sul posto di lavoro; dovevano visitare a casa (loro, non i medici...) i lavoratori che restavano in malattia...". Quando racconta queste cose Felice si emoziona ancora nell'affermare che "il lavoratore fuori dalla fabbrica era un cittadino con dei diritti e dei doveri, ma dentro alla fabbrica era solo un numero, una macchina dentro ad una tuta, uno dei tanti meccanismi e degli strumenti del lavoro, privo di libertà, di diritti e di dignità". Oggi che è in pensione, Felice ricorda ancora che "certi lavori erano massacranti e il lavoratore, quando era avanti con gli anni non riusciva più ad eseguirli e veniva declassato, ci rimetteva soldi in busta paga e dignità". Felice non è mai stato un "nemico" degli impiegati, ma certo non ha dimenticato quando in fabbrica "sussistevano ingiustizie e disparità di trattamento tra operai ed impiegati, ingiustizie espresse da vecchi concetti padronali".

Mentre racconta queste cose Felice ripensa alle interminabili chiacchierate con Pietro Bioley, Albert Vuillermoz, Victor Perron ed altri che sono stati la sua scuola: "Non c'erano permessi sindacali per riunirsi e discutere; non c'erano diritti; però c'era tanta voglia di cambiare e c'era tanta vera solidarietà tra i lavoratori". Per questa ragione afferma spesso: "non posso accettare la messa in discussione dello Statuto dei Lavoratori che restituì ai lavoratori non migliorie economiche, ma dignità e diritti". "Oggi - osserva ancora - ci sono le 150 ore per l'istruzione e la cultura dei lavoratori; c'è il diritto alla salute; c'è il tempo per andare in mensa ...tutte cose che sembrano normali, ma che è stato necessario conquistare". Felice ricorda i tempi in cui "i lavoratori eleggevano direttamente i loro rappresentanti scegliendoli nei singoli reparti, indipendentemente dal Sindacato di cui facevano parte ... ecc.". Il foglio degli appunti su cui trascriviamo il fiume di informazioni che Felice ci propone è fitto: "dovremmo ancora ricordare che ... " incalza, ma lo interrompiamo, perché su ogni vicenda ci farebbe riempire un notes e dovremmo probabilmente scrivere un altro libro. "Fatemi spendere almeno alcune parole sulla Cogne - insiste - perché è impensabile parlare del S.A.V.T. senza fare un continuo collegamento con questa fabbrica". Al di là del fatto storico (il primo nucleo della Section des Travailleurs si costituì proprio all'interno della Cogne), l'intera storia dell'azienda si intreccia, infatti, con quella del S.A.V.T.. "Le prime iscrizioni, i primi militanti, i primi quadri dirigenti del S.A.V.T. - ricorda Felice - sono nati in fabbrica. E il ricordo delle innumerevoli lotte, portate avanti dal S.A.V.T. con gli altri sindacati, in fabbrica e fuori, sono ancora vivi. Lotte per la difesa dei posti di lavoro, contro la chiusura indiscriminata degli impianti, contro la messa in liquidazione, a sostegno delle giuste rivendicazioni salariali e normative degli operai e degli impiegati; lotte per il risanamento ambiente dell'azienda e per la tutela della salute dei lavoratori".

"In particolare - ricorda ancora Felice - sono state dure e continue le lotte sindacali portate avanti negli anni 80 e 90 per evitare lo smantellamento della Cogne e la sua svendita alla FIAT/Teksid.; la mobilitazione dei lavoratori ha creato le condizioni per evitare il degrado dell'azienda e per mantenere in efficienza gli impianti, garantendo l'occupazione e la produzione di acciai speciali di qualità". Felice Roux è convinto che "il continuo confronto a tre, condotto da Sindacati, IRI e Regione Autonoma Valle d'Aosta (oggi questo tipo di confronto viene chiamato "concertazione") è stato determinante e attraverso di esso si sono poste le basi per rendere competitivo lo stabilimento Cogne mediante un piano concreto di investimenti per la sua ristrutturazione e razionalizzazione". "Nel 1994 - afferma ancora - questa situazione ha contribuito a far sì che la Cogne fosse acquisita da un gruppo privato, mantenendo oltre all'occupazione ed alla produzione, anche la qualità del prodotto; ora, quasi otto anni dopo che questo assetto societario si è stabilizzato, lo stabilimento ha oltre 1100 dipendenti, è uno dei pochi stabilimenti di questo genere e di queste dimensioni rimasti in Italia e produce acciai speciali di alta qualità; ha un buon mercato, anche estero; la tutela della salute dei lavoratori ed il miglioramento delle condizioni ambientali sono soddisfacenti; l'azienda ha, inoltre, un ritorno economico di non poco conto. Possiamo dire che è stata la responsabile azione sindacale, sostenuta da un impegno concreto delle istituzioni, a rendere possibile il raggiungimento di questi positivi risultati".

DA SEMPRE NEL S.A.V.T.: RINALDO ZUBLENA, LEONARD TAMONE, LUIGINO IMPÉRIAL .: su / haut :.

Non sono più molte le persone che possono vantare 50 anni di iscrizione al S.A.V.T.; tra i fondatori ed i primi dirigenti abbiamo potuto ascoltare la testimonianza diretta di Sylvain Bois e di Ernesto Breuvé; tra quanti ancora oggi sono impegnati negli vari organismi direttivi del S.A.V.T., restano anche alcuni militanti della prima ora., tra i quali abbiamo potuto ascoltare - senza voler far torto ad altri - Rinaldo Zublena, oggi Segretario del S.A.V.T.- Retraités. Rinaldo Zublena ricorda che "fare il sindacalista all'inizio degli anni 50 non era una scelta facile; significava, in particolar modo, mettersi sicuramente in cattiva luce agli occhi dei datori di lavoro e le conseguenze potevano anche essere gravi. Quando lavoravo alla Quinzio e Rossi di Verrès operavo nella C.G.I.L., ma in quegli anni la battaglia sindacale mi sembrava troppo legata a scelte partitiche e ad estremismi che non condividevo e non condivido. Ricordo che alla nascita del S.A.V.T. mi toccò fare qualche discussione animata con colleghi di lavoro che, pur essendo valdostani e pur facendosi passare addirittura per unionisti, non credevano nel S.A.V.T.. Io ci ho creduto subito, proprio per l'Autonomia che il S.A.V.T. ha sempre avuto dai partiti, anche dall'U.V., per la sua equidistanza dai sindacati che non vedevano, secondo me, in modo chiaro gli interessi dei lavoratori valdostani e della Valle d'Aosta.

Di quegli anni ricordo, in particolare, alcuni personaggi di cui forse la storia ufficiale non farà mai il nome, ma che sono ugualmente importanti: ricordo l'amico Bertschy di Hône-Bard, con i suoi lunghi ed accorati interventi in francese. Ricordo che contro il S.A.V.T. ci furono molte polemiche, come se mirasse a mandare via dalla Valle d'Aosta i lavoratori che non erano di origine valdostana; quante volte ho sentito dire stupidaggini di questo genere e, quante volte, non le hanno dette solo gli avversari per criticare il nostro sindacato, ma anche gli stessi compagni di lavoro iscritti al S.A.V.T. ... tutti amici miei; per questo né io, né tanti altri lavoratori valdostani di adozione ci abbiamo mai creduto, e non ci credevano neppure quelli che quelle cose le dicevano. C'è stato un momento particolare di lotta sindacale che qui voglio ricordare e che non posso dimenticare: la nascita della F.L.M., Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici". Altri personaggi possono vantare di essere "da sempre nel S.A.V.T." trovandosi, ancora oggi, a far parte dei suoi organismi dirigenti, anche se - essendo più giovani di coloro che vissero da vicino gli anni della fondazione - non possono vantare 50 anni di iscrizione.

Leonardo Tamone racconta: "travailleur de la Cogne, à la moitié des années 60 je décide d'adhérer à un syndicat et je choisis le S.A.V.T.. Je participe activement à la vie du syndicat et je me porte candidat aux dernières élections de la Commissione Interna: l'ami Pierre Bioley est le premier des élus, je suis le deuxième, sur la liste du S.A.V.T. bien entendu. À ce moment-là l'Occident est en plein dans la période des révoltes estudiantines et à la Cogne, comme un peu partout en Italie dans le monde du travail, il se passe un grand nombre de choses: de la réglementation des assemblées du personnel aux élections du Consiglio di Fabbrica, à l'élimination du cottimo, les batailles avec l'Intersind sont multiples et virulentes. En dépit des problèmes d'ordre économique et financier qui freinent en partie notre action, nous travaillons d'une manière intense au sein de notre syndicat. Les rapports avec les syndicats italiens sont plutôt compliqués, surtout parce que l'unification syndicale qui était alors à la mode, avait pour but d'effacer toutes les sigles. Nous nous sommes toujours opposés à cette idée et constatons avec satisfaction que si l'unité d'action existe toujours, l'unification, elle, semble bien être tombée dans l'oubli. J'évoque le souvenir de ces années-là avec tendresse et émotion, surtout parce que nous croyions - et quand je dis nous je pense en particulier à Albert, à François, à Valentino, à M. Perron et à tous les autres que je ne cite pas de peur d'en oublier trop - nous croyions, disais-je, oeuvrer non seulement pour l'épanouissement des travailleurs de la Vallée d'Aoste, mais aussi pour l'épanouissement du peuple valdôtain tout entier".

Luigino Impérial è iscritto al S.A.V.T. dal 1963, anno in cui dopo aver frequentato la scuola di fabbrica entrò a lavorare alla Cogne. Dal 1970 al 1994, anno in cui lasciò il lavoro, è stato sempre eletto membro del Consiglio di Fabbrica e in tutti questi anni, a brevi periodi alterni, è stato distaccato al S.A.V.T., dove è ancora attivissimo. Ricorda, in particolare, "la battaglia dura per l'abolizione dei cottimi, portata avanti dai lavoratori negli anni 70 e le lotte contro la chiusura delle miniere e degli altiforni che trasformarono il modo di produrre in fabbrica e lasciarono a casa circa 200 lavoratori". Ricorda, anche quanto fossero rigidi ed inaccettabili le condizioni cui erano costretti i lavoratori prima della approvazione dello Statuto dei Lavoratori: "i guardiani erano dei veri e propri sorveglianti che, tra l'altro, effettuavano controlli rigorosi; in portineria, all'uscita dal turno potevamo essere perquisiti; e se - per caso - timbravamo il cartellino prima di esserci cambiati ed aver indossato gli abiti da lavoro, potevamo essere multati. Il lavoro era duro e in certi reparti lo era sicuramente più di quanto io stesso abbia potuto sperimentare personalmente; so, però, che ai lavoratori pesava, più di tutto, non la fatica, ma la mancanza di rispetto per la loro dignità. Per questo quando oggi, anno 2002, ci ritroviamo a discutere sull'articolo 18 e sullo Statuto dei Lavoratori, io dico che dobbiamo difendere quelle conquiste a tutti i costi, perché furono conquiste che restituirono non solo giustizia, garanzie o migliori condizioni di lavoro, ma dignità ai lavoratori".

Luigino ricorda inoltre "le manifestazioni che i lavoratori fecero nel decennio 1975-1985, quando fu necessario lottare per evitare che la Cogne venisse smobilitata, fallisse e venisse svenduta alla FIAT: ci furono manifestazioni di ogni genere, scioperi, assemblee davanti alla portineria Cogne, blocchi pacifici del traffico stradale; l'intero esecutivo del Consiglio di Fabbrica di cui facevo parte insieme a Bruno Albertinelli, ad Alessandro Bortot, a Bortolo Busa, a Romolo Cavallini, a Paolino Cottino, a Giorgio Migliorini, a Secondo Petrocco, a Zanon Gianfranco, a Félix Roux e a Piero Ferraris - oggi assessore regionale - fu denunciato per blocco stradale e per i danni che la fabbrica lamentò di aver subito perché, bloccando l'uscita delle merci, sembra che non poté partire addirittura una nave che a Genova aspettava un carico dalla Cogne per portarlo oltremare". "Nel corso di una di queste manifestazioni - ricorda ancora Luigino - avvenne un fatto emblematico: ci furono dei tafferugli con dei camionisti che cercarono di forzare il blocco della strada nei pressi dei cavalcavia di Aosta; alcuni manifestanti furono identificati e denunciati all'autorità giudiziaria e - allora - la stragrande maggioranza dei lavoratori della Cogne si autodenunciò per solidarietà e per condividere le stesse difficoltà dei compagni di lavoro. Sono vicende, queste, che non si possono dimenticare...".

BATTISTA MONTROSSET .: su / haut :.

I ricordi di Battista Montrosset sono i ricordi di una ragazzino che, figlio di operai-contadini, entra in fabbrica, alla Cogne quando il perdurare del secondo conflitto mondiale rischiava di determinarne la chiusura: "se fosse successo chissà se mai avrebbe potuto riprendere ...". È una storia dura, la sua, perché "con la paga di una quindicina mio padre" - ricorda Battista - "riuscì a comprare solo un chilo di sale al mercato nero". Uno storia dura perché quel ragazzino visse le costrizioni della vita in fabbrica con "un magone, ma un magone..." che può ben essere capito, pensando al fatto che la sua vita vissuta nei campi era tutt'altra cosa:... "la fabbrica era proprio una angoscia" precisa. Battista ricorda che dopo la guerra si diede da fare nel sindacato C.I.S.L. perché "bisognava fare qualcosa per migliorare le condizioni di lavoro" e perché "all'interno della C.G.I.L. c'era un clima troppo duro"; "quelli pensavano alla rivoluzione" - dice - sorridendo al pensiero che molti suoi amici si ritrovavano su quelle posizioni e, comunque, l'amicizia non venne meno, né venne meno la solidarietà che sempre esiste tra lavoratori che condividono pene e fatiche. "Alla nascita del S.A.V.T., io che avevo già fatto parte delle Sections, vi aderii immediatamente" dice ancora.

Ci fermiamo di fronte alla vecchia fotografia che ritrae i fondatori del S.A.V.T. e me li indica, cercando nella memoria nomi e cognomi e muovendo appena la testa nel dirmi che "pochi di questi sono ancora vivi"; e così parla di Albino Duclos, di Amos Dagnes, di Provino Montrosset e poi racconta di scioperi, di Congressi, e di quelle battaglie che soprattutto la C.G.I.L. voleva portare avanti ogni volta che in fabbrica veniva installata una nuova macchina: "le macchine portano via il lavoro all'uomo, dicevano, ed in parte poteva anche essere vero; la verità è che quando, ad esempio, vennero installate alcune macchine di fabbricazione americana ed il forno Truman (così chiamato perché allora Presidente degli Stati Uniti era proprio Truman), la C.G.I.L. dimostrava che il mondo era davvero diviso in due e loro stavano da una parte...". Il S.A.V.T. che Battista ricorda è un S.A.V.T. dove si parla patois, dove i valdostani di adozione erano chiamati "giaponeis" o in un altro modo, "cisse de ba per lè"; e anche se, in risposta, ai valdostani veniva affibbiato un nomignolo apparentemente offensivo, Battista osserva che "non ci fu nel sindacato e sul lavoro nessuna forma di razzismo". C'è un personaggio che Battista ricorda con particolare rispetto: Ravet, Segretario del S.A.V.T., "uomo di grande qualità che ha saputo far crescere nei lavoratori la coscienza dell'importanza del lavoro e dell'uomo sul posto di lavoro". E cita un aneddoto che dà la dimensione umana di Ravet: "nei primi anni 50... non ricordo bene... arrivò ad Aosta un Ministro della Repubblica ... mi pare fosse Sullo o Pella; Ravet fu chiamato a sostenere un contraddittorio con questo Ministro, ma costui era così imponente, alto e grosso, che prima di riuscire a dirgli in faccia quel che a nostro avviso si meritava, Ravet ebbe un momento di panico ... si riprese quasi subito, ma in quell'attimo ci accorgemmo che per trovare la forza di andare avanti, dovette cercarla non solo nelle sue capacità, ma nel fatto che aveva con se tutti i suoi amici, compagni e lavoratori, che questi si aspettavano molto da lui... questo è il S.A.V.T., ci sono gli uomini, i dirigenti, i segretari ... e con loro ci sono i lavoratori".

Ci sono stati momenti ed episodi di cui Battista ha conservato un ricordo più vivido: "quando le Brigate Rosse uccisero Moro - ricorda ad esempio - le Confederazioni Sindacali nazionali chiesero a tutte le strutture periferiche dei sindacati di approvare un documento di condanna; in Valle d'Aosta il documento non fu firmato all'unanimità perché alcuni sindacalisti, con accalorati interventi, convinsero una parte di lavoratori che i veri responsabili della morte di Moro erano quelli che non avevano voluto trattare la sua liberazione e che, standosene al governo, mal digerivano la svolta politica che sembrava Moro fosse pronto ad imprimere al paese". Ma ricorda anche episodi ameni e personaggi, a loro modo simpatici, come il lavoratore napoletano Cassone, il quale diceva: "bisogna fare sciopero, ma io non lo faccio perché il padrone non mi paga la giornata di sciopero...". Per chi, come Battista, al sindacato ci ha davvero creduto, ci sono state anche delle delusioni cocenti: "purtroppo il sindacato ha perduto delle grandi occasioni per poter dimostrare di esser capace non solo di protestare, ma anche di gestire: la vicenda della COINOP, ad esempio, mi ha ferito profondamente; era una cooperativa che poteva funzionare, doveva funzionare nell'interesse dei lavoratori, per spingere il mondo del commercio a praticare prezzi giusti, senza aumentarli a piacimento e senza ragione; ma quell'esperienza finì male ...".

"Nel mio piccolo ho fatto quello che potevo per il Sindacato, ma quando mi chiedo che cosa mi ha dato il S.A.V.T. in questi suoi 50 anni, devo concludere che mi ha dato davvero molto. Quando sono entrato in fabbrica ero un ragazzo che veniva da un paese agricolo, vi ero nato e cresciuto, lavorando come tutta la famiglia in agricoltura; trovai molte difficoltà ad inserirmi nella fabbrica. Nella mia educazione e nella mia cultura contadina, il lavoro è al primo posto, la volontà di fare qualcosa con le proprie mani e con la propria fatica è un insegnamento imprescindibile; purtroppo, però, il mondo del lavoro è anche il mondo dei furbi, di quelli che sanno presentarsi bene, che fanno di tutto per rendersi graditi ai superiori; chi invece affronta il mondo del lavoro in modo ingenuo, cercando soltanto di svolgere nel modo migliore il proprio lavoro, trova difficoltà ed incomprensioni che rendono più difficile la sua vita nella fabbrica. Io ho trovato queste difficoltà ed è stato il sindacato, è stato il S.A.V.T. a farmi sentire che nei posti di lavoro il lavoratore è, prima di tutto, una persona e che fra i lavoratori è indispensabile la solidarietà". E mentre ripieghiamo i fogli con gli appunti sulle sue dichiarazioni, ancora deve dirci una cosa:"credo che una cosa sia da ricordare: ciò che il sindacato ha fatto nel campo dell'infortunistica; la sicurezza sui posti di lavoro è importante, io ho visto tanti lavoratori coinvolti in drammatici incidenti sul lavoro e, per fortuna, poco a poco, le norme per evitarli sono state rese sempre più efficaci, grazie al sindacato".

DONNE NEL S.A.V.T. .: su / haut :.

1985 - Manifestazione delle lavoratrici in cassa integrazione ad Aosta. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Se c'è un ambito storico nel quale le donne hanno fatto fatica ad affermarsi, questo è il sindacato italiano. Il "perché" è fin troppo chiaro: il percorso di emancipazione della donna è stato lungo e difficile e non è ancora del tutto compiuto, tant'è che esiste un Ministero per le Pari Opportunità costituito proprio perché questo percorso sia più agevole. In uno studio sul problema delle donne nel sindacato è stato evidenziato che "le donne non solo chiedono più salario, ma con maggiore determinazione degli uomini chiedono migliori condizioni di lavoro, servizi sociali e norme a favore della maternità, orari più umani e posti di lavoro più salubri e sicuri: cioè qualità del lavoro prima della qualità del salario". Anche nella storia del S.A.V.T. le donne hanno vissuto questi stessi problemi, queste stesse situazioni. Del resto anche nella vita politica, in quella sociale, in quella culturale, lo spazio conquistato dalle donne - in prima persona - è sempre stato ed è ancora limitato. Le donne di cui nel S.A.V.T. si ha, così, una prima memoria storica, sono le mogli, le compagne di vita degli uomini che nel S.A.V.T. hanno operato. Ciò dimostra che l'apporto femminile anche in questa sola dimensione non è di secondaria importanza. Dietro ad ognuno degli uomini del S.A.V.T., quindi, c'è questa grande realtà: donne "anonime" che non possono, tuttavia, essere dimenticate. E le donne più attivamente e direttamente impegnate nel sindacato? Dobbiamo tener conto del fatto che i meriti e le capacità forse bastano agli uomini, ma non bastano alle donne lavoratrici per assumere visibilità. Questo è vero almeno per i primi anni del dopoguerra e negli anni 50, nei quali la donna nel sindacato è una lavoratrice da tutelare, ma raramente assume cariche ed incarichi nel sindacato. Carla Varetti ricorda gli anni prima felici e poi drammatici della Bassa Valle, dove l'industria, dopo aver dato lavoro a tante persone, è entrata in crisi ed afferma: "c'è un sindacalista del S.A.V.T. che stimo molto, Ivo Guerraz, cui toccò l'ingrato compito di gestire le diverse situazioni di crisi". "Non ho mai vissuto la mia condizione di donna lavoratrice come se questo fosse un problema in un mondo del lavoro nel quale la presenza maggioritaria è maschile; i miei problemi erano lavorare e crescere i figli; e poi devo dire che alla Brambilla di Verrès, insieme ad altre 15 donne e ad un solo uomo (che non resistette a lungo ...) feci per anni il turno di notte: 16 donne senza bisogno di un capoturno, volontarie, impegnate in un turno che era duro, ma che consentiva loro di occuparsi durante il giorno, della famiglia e dei figli". Gli anni di cui Carla Varetti parla sono duri e non nasconde la rabbia che prova ancora oggi, per certe inspiegabili crisi, come quella vissuta dalla Feletti, una impresa che avrebbe potuto essere un fiore all'occhiello per l'intera Valle d'Aosta e che, invece, fallì. "Il sindacalista del S.A.V.T. Riccardo Borbey - ricorda Carla Varetti - è al corrente più di chiunque altro di questa brutta esperienza, inspiegabile, che fu una vera doccia fredda per i lavoratori: era fiorente e prestigiosa, ma fu mal gestita ..." e qui viene fuori la donna che non si fa problemi con il lavoro e con la fatica (tant'è che si sottopone a turni stressanti), non si preoccupa solo di sè, tiene a cuore le sorti della fabbrica in cui lavora e da donna, forse prima ancora che da sindacalista, sa che una buona gestione è alla base di tutto. "Tra le donne di cui mi ricordo in particolare c'è Mariuccia Bruna, ma se faccio qualche nome soltanto, ne dimentico altri e potrei offendere delle persone che mi sono amiche....: abbiamo lottato insieme, la mia voce - allora - è anche la loro". Man mano che il S.A.V.T. si organizza meglio e giunge ad esser presente in quasi tutti i settori del mondo del lavoro, la presenza femminile al suo interno si fa - ovviamente - più forte e diretta. Nel settore della Scuola e nel Pubblico Impiego le donne assumono, così, dirette responsabilità e ricoprono incarichi dirigenziali. Nel 1971 le donne elette nel Direttivo del S.A.V.T. sono solo due, nel '74 sono tre; sono tre anche nel '77 (ed Eralda Bancod è designata tra i Revisori dei Conti), mentre nel 1981 diventano otto. La presenza femminile nel Direttivo scende a sei unità nel 1985, ma raddoppia nel 1989, quando Daniela Sarteur entra a far parte della Segreteria; nel '93 le donne nel Direttivo sono 10 e Renata Perret è eletta in Segreteria; nel '97 diventano sedici con Carla Varetti eletta tra i Prud'- hommes e Renata Perret confermata in Segreteria. All'ultimo Congresso, tenutosi nel dicembre 2001, ben 19 donne sono elette nel Direttivo del S.A.V.T.. Tutti ricordano, in particolare, l'apporto dato alla gestione della segreteria generale del S.A.V.T. da Viviana Berthod per oltre otto anni. In questo lungo periodo tutti hanno avuto modo di apprezzare oltre al suo carattere gioviale, la sua competenza e disponibilità. Negli ultimi anni anche nel Comitato di redazione dell'organo d'informazione del S.A.V.T., "Le Réveil Social", c'è una donna, Dina Quendoz che da lungo tempo contribuisce con professionalità e spirito di partecipazione alla stesura del nostro organo d'informazione, oltre a gestire i corsi di aggiornamento e formazione linguistica che il Sindacato propone ai lavoratori. Ed è ancora oggi attiva nel S.A.V.T. Rosina Rosset che condivise, nel passato, le difficili battaglie sostenute dal S.A.V.T.-École quando Segretario di categoria era Dino Viérin ed insieme a Rosina lavorava Nadia Savoini. È in piena attività anche Gabriella Brunet che a coronamento della sua "militanza" nel S.A.V.T., è stata eletta a presiedere i lavori del'ultimo Congresso Confederale. Poiché il S.A.V.T. vive anche di attività volontaristica, è sicuramente da ricordare la collaborazione che Isabella Crétier assicurò negli anni 90. La più conosciuta fra le figure femminili che hanno lavorato e lavorano al S.A.V.T. non è una "sindacalista", ma l'impiegata, la segretaria, "Carletta", Carla Crétier. Si aggira nervosamente e rapidamente per gli uffici, sempre indaffarata e sempre disponibile con tutti; la sua semplicità ha reso il suo apporto davvero prezioso e le ha assicurato un giusto posto nel racconto della "storia" del S.A.V.T.. Elida Montrosset è la funzionaria del Patronato, punto di riferimento in particolare degli anziani che la trovano sempre disponibile ed affabile nell'assicurare che le pratica di assistenza pensionista e di carattere assistenziale in genere, trovino rapida soluzione: è lei a fare in modo che quanti si rivolgono al sindacato non vi trovino uno sportello anonimo che divide lavoratore e operatore, ma un posto dove rivolgersi, magari in patois, ad una persona amica.

MARTINO BORETTAZ .: su / haut :.

"Il S.A.V.T. era piuttosto debole, soprattutto in Bassa Valle; alle elezioni che si tenevano in fabbrica veniva eletto un solo suo rappresentante, Giuseppe Soudaz. E io ero nella C.G.I.L. ...", così comincia il racconto di Martino Borettaz che ricorda di esser stato inviato dalla C.G.I.L. a Grottaferrata, vicino a Roma, per seguire un corso di formazioni sindacale che durò due mesi: "Ci andai in Lambretta - ricorda - e ci misi un bel po' a far capire agli altri partecipanti che la C.G.I.L. mi aveva mandato a frequentare il corso, ma che io non ero un compagno. E invece tutti a chiamarmi compagno qui, compagno là ...". Racconta anche che dovette spiegare da dove veniva e perché mai la targa della sua Lambretta avesse il simbolo del leone.

"Ero iscritto alla C.G.I.L. fin da quando era il solo sindacato dei lavoratori e m'interessavano poco le questioni politiche; anche se ad Aosta molti amici sindacalisti continuavano a chiedermi quando mi sarei iscritto al P.C.I., tutti sapevano bene che quelle non erano le mie idee e che per me il sindacato era il sindacato e basta, la politica non doveva centrare". "E, invece - prosegue a raccontare con amarezza - la politica finì col centrare parecchio nella mia vicenda personale; avevo in mano il patronato della C.G.I.L. ed ero tenuto in considerazione nelle diverse fabbriche in tutta la Bassa Valle quando decisi di presentarmi candidato alle elezioni regionali. I dirigenti regionali della C.G.I.L. mi presero da parte perché, secondo loro, la mia candidatura non era accettabile, era incompatibile con il mio ruolo nel sindacato; ma come replicavo io, a Roma ci sono senatori e deputati che provengono dalla C.G.I.L. e per loro non c'è nessuna incompatibilità...!?

Il problema era chiaro, l'incompatibilità c'era perché io avevo deciso di presentarmi alle lezioni regionali ... nelle liste dell'U.V. Ebbi un bel sostenere le mie ragioni e ricordare quante volte la C.G.I.L. si era fatta bella nei discorsi propagandistici, dicendo che anche gente vicina all'U.V. si trovava bene nella C.G.I.L. e facendo riferimento a me; ma non ci fu solo un'opposizione formale nei miei confronti: venni così allontanato dalla C.G.I.L..... Fu veramente una brutta esperienza. Molti di quelli che ritenevo degli amici mi voltarono le spalle e tra i comunisti il solo Strazza si comportò correttamente con me. Fatto sta che in quattro e quattro otto venni messo alla porta e con altrettanta velocità restituii il colpo: venni contattato da François Stévenin e misi la mia esperienza e le mie conoscenze al servizio del S.A.V.T. che, in poco tempo, divenne il sindacato più forte in Bassa Valle, in tutte le fabbriche".

Martino fece una scelta secondo il suo stile: fare le cose per il meglio, continuare ad occuparsi degli altri più che del proprio interesse e, certamente, dal punto di vista economico ci rimise parecchio. Ma ebbe la grande soddisfazione morale di constatare quante persone continuarono a rivolgersi a lui ed aderirono al S.A.V.T. forse non solo per una scelta ideologica, ma perché si fidavano di lui. Non c'è risentimento, tuttavia, nelle parole di Martino, ma quasi un senso di ironia nel raccontare, col senno di poi, che i suoi vecchi amici della C.G.I.L. non avevano proprio capito che con la gente bisogna avere un rapporto vero, che le ideologie sono importanti, ma è più importante il rapporto diretto che si stabilisce tra gli uomini. Martino ricorda anche quante volte agì da mediatore tra un datore di lavoro ed un lavoratore, magari al di fuori degli schemi della contrattazione vera e propria, ma sicuramente preoccupandosi davvero dei problemi umani di ciascuno: ad un operaio calabrese che lasciò la Valle dopo un periodo di lavoro, Martino assicurò che avrebbe inviato una certa somma che il datore di lavoro gli doveva, ma non era davvero in grado di liquidargli subito; quel lavoratore probabilmente non credeva che avrebbe avuto i suoi soldi e, invece, Martino, poco a poco, riuscì a farglieli avere, vincendo una singolare vertenza con un imprenditore che allora non era nessuno, ma che di lì a poco sarebbe diventato uno dei più importanti operatori economici della Valle d'Aosta.

È alla scuola di Martino che si formano prima Piero Priod e poi Gino Agnesod, ma è di Alfredo Uglione, Luigi Bertschy ed Alfonso Vallino, suoi compagni di lavoro, che Martino si ricorda in modo particolare. Borettaz può permettersi di tirare simbolicamente le orecchie ad alcuni sindacalisti che - dice - da troppo tempo non gli telefonano o non si fanno vedere, "forse perché sono diventati importanti",... e cita, in particolare, Stévenin (che - di contro - ricorda sempre con affetto la 'scuola' di Martino Borettaz) e Gino Agnesod. Quando gli facciamo leggere il passaggio scritto di questa stessa "storia" del S.A.V.T. in cui Stévenin lo cita, negli occhi di Martino c'è un guizzo ... "quando Stévenin mi chiamò, il S.A.V.T. era davvero debole e François era un giovanotto, poi sono cresciuti, il S.A.V.T. e il giovanotto, ma almeno una cartolina potrebbe anche mandarmela ogni tanto...".

POUR UNE ÉCOLE VALDÔTAINE .: su / haut :.

1957 - Vigio Vuillermoz, Eugenio Corniolo, XX, Albert Vuillermoz. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Comment s'explique-t-il, un Syndicat Autonome des instituteurs valdôtains? Quelles raisons idéologiques, sociales et économiques ont amené à cette décision? Depuis longtemps les instituteurs d'âme et d'esprit valdôtain, soucieux du malaise qui tracassait et qui tracasse encore l'École Valdôtaine dès 1946 - inquiétés par la particulière situation juridique, économique et didactique qui surgit à la suite des dispositions de loi de 1946 et par le Statut autonomiste de 1948 - envisageaient la nécessité de se grouper en association syndicale, afin que les problèmes de la catégorie eussent une solution profitable et logique pour tous. Les esprits étaient, et sont encore à l'heure présente, assez troublés: d'un côté on vise au déclin de la langue maternelle et même parmi les paysans, qui jusqu'ici étaient le fond naturel de notre ethnie, on constate un affaiblissement du sentiment valdôtain. D'autre part on était au courant des positions ouvertement négatives et nationalistes des Syndicats de l'École, atteints et entraînés par des éléments décisément antivaldôtains, antiautonomistes. Enfin il y avait la question juridique et économique à résoudre.

Voilà pourquoi on a retenu nécessaire la construction d'un syndicat des maîtres d'école valdôtains et voilà les raisons pour lesquelles ils ont jugé nécessaire de s'appuyer au S.A.V.T, le seul organisme syndical qui pouvait donner garantie de liberté politique et d'esprit valdôtain. Il va sans dire que les instituteurs du Syndicat Valdôtain ne renoncent, à priori, à aucun droit qu'ils ont acquis, ni aux revendications juridiques, économiques, qui se posent sur le plan national. Les instituteurs du S.A.V.M.E. désirent que la situation juridique et économique du personnel de l'école valdôtaine ait la solution aussi profitable qu'équitable, soit pour l'intérêt du Pays qu'ils aiment, soit logiquement pour la catégorie. La question fondamentale est à savoir si le personnel de l'école valdôtaine, par les lois que nous avons rappelées, est encadré comme personnel civil de l'Etat, ou s'il dépend directement de la Région. Nous remarquons - et, comme rapporteur je vais me servir de la première personne du pluriel - que le problème devait se résoudre en ces derniers temps, à la suite d'un règlement de loi, préparé par l'Assessorat à l'Instruction Publique, règlement auquel notre Syndicat avait porté ses observations et propositions, qui auraient à la foi réglé la position et les légitimes revendications des instituteurs et les droits aussi légitimes de la Région; mais ce projet de loi, repoussé par les autres organisations syndicales nationalistes (le SIN.A.SC.EL. - C.I.S.L. - S.NA.S.E. - S.N.S.M. etc..) n'a pas encore été examiné par l'opposition de certains soi-disant autonomistes qui participent au gouvernement de la Vallée.

Le programme de notre organisation se résume par les points suivants de qualification, de raisons idéologique:
Défense du principe ethnique, linguistique, culturel du peuple valdôtain et de l'âme valdôtaine. Ce principe se réalise par l'œuvre éducative de la famille et de l'instituteur. Le S.A.V.M.E. proteste son autonomie pour toutes décisions et s'opposera à toutes intimidations ou influences politiques. Le S.A.V.M.E. développera son action syndicale pour la défense opiniâtre des droits acquis par la catégorie, surtout pour les problèmes concernant la situation juridique acquise comme employé civil de l'Etat. Dès sa constitution le Syndicat a déployé une activité très importante. Dans la dure période de grève des ouvriers de la Cogne, pendant le mois d'octobre 1960, les instituteurs du S.A.V.M.E. ont donné leur adhésion morale et ont participé aux grèves et aux manifestations; enfin ils ont offert leur oblation d'une journée de travail. C'est par l'activité et les vives requêtes présentées aux administrateurs régionaux, que le 17 du mois de décembre 1959 le Conseil régional délibéra l'augmentation de l'appointement aux instituteurs des écoles des hameaux. L'élévation du traitement fut assez considérable, de 9 à 16.000 lires par mois, mais elle n'est pas encore suffisante par rapport à la dignité et au service moral et social que l'instituteur de nos villages doit desservir. Comme nous avons rappelé auparavant, notre organisation syndicale a apporté sa contribution pour la préparation des projets de loi sur la situation juridique de l'École valdôtaine présentés par l'Assesseur à l'Instruction Publique. Ce fut le seul organisme syndical qui collabora à cette tâche. Les contre-déductions, les variations aux propositions faites par l'Assessorat, furent démocratiquement discutées par tous les inscrits pendant plusieurs réunions. Elles touchaient les questions: - de l'indemnité de langue française, son assimilation dans l'appointement mensuel par rapport de l'idemnité de liquidation et l'appointement de retraite; - la garantie par une loi de l'Etat de la situation juridique acquise et le développement de carrière; - garantie d'un collège judiciaire administratif en cas de divergences et d'oppositions; - raccourcissement de la carrière. Toutes ces propositions ont été prises en considération par l'Assessorat à l'Instruction Publique. Malheureusement l'esprit tordu de nos adversaires, soit par les syndicalistes nationaux, soit par certains milieux politiques, ont empêché que ce projet, qui aurait finalement résolu la situation de l'École Valdôtaine, fusse examiné par les autorités du Ministère à Rome. Encore dernièrement ce fut notre Syndicat qui s'occupa de l'augmentation de l'indemnité de langue française par rapport aux nouveaux "coefficienti" établis par la loi de l'Etat du mois de juillet 1961. Les nouveaux états de dépense, délibérés par le Conseil régional au mois de juin dernier, régalient d'une façon satisfaisante les nouveaux appointements selon les requêtes présentées par notre Syndicat sur une moyenne mensuelle du 30% d'augmentation. Encore, pour finir, nous remarquons avec amertume que le nouveau projet de loi pour l'élection du Conseil régional reduit les instituteurs au degré de citoyens de deuxième classe. À ce propos nous nous réservons de présenter nos plaintes et nos observations.

Eugène Corniolo (Compte-rendu du Secrétariat du S.A.V. "MAITRES D'ECOLE" 1962)

NOUS SAVONS LE CHEMIN .: su / haut :.

Pierre Grosjacques. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Nel 1975 il S.A.V.T. pubblica il volumetto: "Nous savons le chemin", scritto da Pierre Grosjacques, esponente di prestigio della cultura e membro del direttivo del S.A.V.T.-École; il testo costituisce le tesi del 6 Congresso del S.A.V.T., i cui lavori si erano svolti l'anno prima. Ne riproduciamo, qui di seguito, un'ampia sintesi, a riprova della attualità di questo documento che risultò particolarmente incisivo e rappresenta ancora una pietra miliare nel dibattito sulla identità del popolo valdostano.

La situation valdôtaine
1) La "région" Vallée d'Aoste dans la "nation" Italie
Pendant longtemps, notre syndicat ... a considéré les problèmes du monde du travail en Vallée d'Aoste comme un secteur ... du monde du travail italien et semble avoir vu dans la solution des problèmes de ce dernier, la solution des problèmes des travailleurs valdôtains. En effet il a été de tout temps question de problèmes "nationaux" italiens, dans le contexte desquels s'inséraient les problèmes "régionaux" valdôtains, la solution des uns entraînant ...la solution des autres; ... cette façon de procéder paraissait la seule possible. Bien sûr le "particularisme" valdôtain a toujours été rappelé ... mais toujours en fonction de notre adaptation aux exigeances italiennes, même si le S.A.V.T. a contribué à réduire les conséquences négatives de cette adaptation. Enfin notre situation actuelle vis-à-vis de l'état italien a été considérée comme acquise et définitive, et même ceux qui ne s'y accommodaient guère de bon cœur n'arrivèrent plus à voir - si non à concevoir - de perspectives valdôtaines en dehors et audelà de la réalité italienne actuelle. Donc, comme... il est toujours difficile de renier sciemment et consciemment sa propre nationalité, on a du se dire que l'"autonomie", telle que les italiens nous l'ont octroyée, était la reconquête de nos franchises séculaires et on s'est réduits, bon gré mal gré, non seulement à s'en contenter, mais très souvent à se poser comme but ultime sa pleine réalisation.

2) L'autonomie mise en cause
On s'est - finalement! - posé la question que René Cuaz se pose dans son livre "le Naufrage du Val d'Aoste Francophone" ...: "Comment ...être et demeurer Valdôtains sous le joug d'une constitution étrangère, dans une légalité statutaire codifiée et imposée par l'étranger?". Cette question nous amène à nous en poser deux autres: 1) la constitution dont nous subissons le joug est-elle vraiment une constitution étrangère? 2) d'être et de demeurer valdôtain est-ce un simple désir sentimental ou bien un avantage concret? La réponse à la première question est claire, nette, précise et vite exprimée; elle se compose d'un mot: "oui". ... les italiens eux-mêmes reconnaissent cela: en effet ils déclarent nous considérer une "minorité ethnique" et nous octroient, en tant que "minorité ethnique ", un Statut Spécial inséré dans leur constitution. Que veut dire, aux faits, "minorité ethnique "? Cela veut dire peuple appartenant à une autre nationalité ...que l'ethnie majoritaire. Ainsi, dans l'état italien, seule la nation italienne a le droit de se donner sa propre constitution, ... la nation valdôtaine, la nation tyrolienne, la nation frioulane, la nation slovène, etc. n'ont pas ce droit. Ces nations minoritaires, loin de pouvoir établir elles-mêmes leur constitution, tout comme les italiens, en reçoivent une toute faite, spéciale, rédigée par ces derniers.Voilà donc comment notre Statut Spécial est à juste titre considéré une constitution étrangère.

3) Les moyens de l'émancipation
La réponse à la deuxième question est aussi nette...: d'être et de demeurer valdôtains n'est pas seulement un désir lié aux sentiments, mais un avantage réel et concret; dirons-nous, plus clairement, que c'est la condition indispensable à une émancipation réelle des travailleurs valdôtains. En effet il n'y a qu'un moyen de s'opposer, avec quelques chances de succès, à une force économique écrasante, telle qu'elle est celle des capitalistes italiens face au peuple valdôtain: par des instruments politiques, à condition, bien sûr, d'en avoir. L'exemple de nos frères suisses, lesquels, sans avoir plus de ressources naturelles que nous en avons, ont trouvé le moyen de s'accommoder du jeu des intérêts capitalistes, non seulement avec infiniment moins de dommages que nous, mais même avec quelques avantages, nous montre ... que d'avoir gardé leur indépendance politique vis-à-vis des grands centres du capitalisme européen, leur a permis d'en conditionner la pénétration dans leur Pays et de l'adapter à leurs exigences. Il est pour autant évident ... que le fait d'être la région de la Vallée d'Aoste dans l'état italien, plutôt que l'état du Val d'Aoste dans la fédération italienne - ainsi que Chanoine l'avait peut-être imaginé - ou, encore, que l'état des Alpes francophones dans la fédération européenne, est le premier et le plus grave de nos conditionnements. Notre passé récent avec l'assujettissement progressif de notre système économique au système économique italien, faute d'institutions politiques telles à nous permettre quelque résistance, est là pour le prouver... Ce n'est pas pour rien que le S.A.V.T. se propose d'intéresser directement le travailleur à la vie et au sort de l'entreprise, de se faire promoteur de la création des institutions qui permettent à celui-ci de participer graduellement à la gestion de l'unité productive... alors qu'il n'en est pas question chez les syndicats italiens. Cependant, afin que cette participation puisse être effective et non seulement apparente, il est indispensable que les travailleurs valdôtains, de même, par exemple, que leurs frères suisses romands, disposent d'instruments politiques adéquats. Ce n'est pas le cas dans la situation présente. C'est donc ceci que nous voulons dire en parlant d'oppression nationale et d'oppression sociale interdépendantes.

4) Le Fédéralisme
Notre analyse... s'inspire plutôt du Fédéralisme, qui s'applique aussi bien au domaine social qu'au domaine ethnique. Fédéralisme vient du latin "foedus", pacte. Deux ou plusieurs hommes libres, qui établissent un pacte en vue d'une nécessité ou d'un intérêt commun, se fédèrent, c'est-à-dire qu'ils forment une communauté, laquelle a le but de satisfaire à cette nécessité ou à cet intérêt. De deux ou plusieurs communautés libres qui établiraient cette même sorte de pacte, on dit également qu'elles se fédèrent. La base du Fédéralisme est donc l'homme libre, la réalisation du Fédéralisme un exercice de liberté et la finalité du Fédéralisme est toujours, à ses différents niveaux, une finalité communautaire. Voilà donc que ce pacte, ce "foedus", n'est pas le "marché" du libéralisme, ni la dictature d'une classe prônée par le socialisme. En effet son but n'est guère l'avantage d'un seul homme ou d'une seule catégorie d'hommes, ainsi que celui du "marché" des libéraux, mais l'intérêt de la communauté. En même temps il ne s'agit pas d'hommes qui existeraient en fonction de la communauté, comme dans le socialisme, mais de celle-ci qui se justifie en fonction des hommes: autrement dit, il n'y a pas de "masses" dans le Fédéralisme. Voilà pourquoi le Fédéralisme ne nie pas la propriété du moment qu'elle entre naturellement dans la dimension humaine. Voilà également pourquoi, selon le Fédéralisme, la propriété ne doit pas dépasser cette dimension: en effet, au moment où la propriété individuelle dépasse la dimension de la personne, cela se fait nécessairement par l'exploitation d'autres personnes. Aux faits, nous avons des siècles d'histoire qui nous montrent comment, bien avant le capitalisme, la révolution industrielle et les solutions que Saint-Simon, Marx et Engels ont proposées de ses tragiques problèmes, les hommes de notre peuple, sans renoncer à leur individualité ni à leur propriété, ont reconnu juste, nécessaire et possible de concevoir celle-ci, lorsqu'elle dépassait le niveau de la personne, en fonction sociale, et de l'organiser en conséquence.

La stratégie syndicale
1) La libération, premier objectif
En partant de la situation actuelle d'oppression sociale et nationale, puisque notre analyse nous indique la libération nationale comme le premier moyen de notre émancipation sociale, notre but est l'obtention de cette llbération, faute de quoi nous ne pouvons espérer de progrès réel dans le domaine social. L'organisation de l'action visant à atteindre ce but fait l'objet par conséquent de la stratégie syndicale. Nous sommes conscients de prêter ici le flanc à une objection: "parler de libération" - va-t-on nous dire - "et d'émancipation, c'est de la rhétorique de rêveurs et de l'enfantillage politique. Il faut s'en tenir au concret, à ce qui est possible". Nous hasarderons, à notre tour, une remarque: ces propos ont servi, sans cesse pendant trente ans, de justification incontestable à l'acceptation, souvent complice, de toute sorte de supercherie politique, culturelle, économique et sociale de la part des capitalistes italiens et de leurs supports d'état, tellement que la "minorité ethnique" à qui les Italiens ont bien voulu accorder une personnalité juridique est à la veille de sombrer définitivement. Le Statut Spécial aura, dès lors, touché à son but.

2) La libération, propos concret
Mais nous avons l'intentíon d'aller plus loin: nous voulons démontrer que parler de libération, encore que par degrés, n'est pas de la rhétorique,. mais le seul discours réellement concret. D'abord que veut dire libération? Autant être clairs à ce sujet, vu que beaucoup d'équivoques sont nés et existent toujours à l'égard de celle que nous avons eue il y a trente ans. Libération veut dire possibilité réelle pour notre peuple de disposer d'institutions politiques adéquates, telles à lui permettre de faire face au capitalisme international en tant que communauté organisée, pourvue de pouvoirs de décision. Ceci est tellement concret et tellement peu du domaine de la fantaisie que les fondateurs du S.A.V.T. l'avaient prévu dès la création du syndicat... Parler de libération, ne fut-ce que dans le but de franchir une étape, sur la voie de sa réalisation, implique bien entendu des modifications dans nos rapports actuels avec l'état italien. Ceci encore est dans le domaine du possible et du réalisable, à condition, bien sûr, de le vouloir. Une autre nation minoritaire, à l'intérieur de l'état italien, le Tyrol du Sud, a réalisé cela: c'est vrai qu'il y a eu, là bas, quelques manifestations, autres que pacifiques, mais nous ne voulons pas faire le tort aux italiens de penser que seules les actions violentes sont susceptibles d'obtenir de leur part des réponses positives. Nous ne voyons donc pas pourquoi ce qui a été possible à d'autres serait impossible pour nous. La seule raison qui sanctionnerait cette impossibilité, ce serait que nous n'existions plus en tant que peuple.

3) La prise de conscience
Voilà pourquoi la première, la plus urgente, la plus indispensable des tâches du syndicat valdôtain est d'œuvrer dans tous les domaines, d'éveiller une prise de conscience ethnique, sans laquelle notre action, s'avèrerait non seulement vouée à l'échec, mais inutile... Comment livrer une telle bataille dans la situation actuelle et avec quelles armes? ... nous pouvons, partout où nous sommes présents, marquer notre présence de cet esprit de renouveau, lequel, après tout, n'est que l'"esprit de victoire" d'Émile Chanoux. Dans la pratique, par notre presse, par l'institution auprès de nos sections de comités de propagande, par notre action dans les organes collégiaux de l'école, par l'instauration de rapports réguliers et de liens de collaboration avec les organisations de travailleurs des autres nations minoritaires à l'intérieur et à l'extérieur de l'état italien, nous devons provoquer la prise de conscience de notre peuple. Nous devons lui rappeler son histoire ..., le ramener progressivement à l'emploi de sa langue et lui montrer comment sa libération est la seule chance de survie qui lui reste.

4) Problèmes immédiats et problèmes importants Les problèmes contingents, les questions de détail, dont il serait bête de sous-estimer l'importance, nous nous proposons de les envisager, justement, en tant que contingents et de détail, non pas d'en faire le seul, ni le premier, objectif de notre action. Laquelle, répétons-le encore, vise à la llibération nationale des travailleurs valdôtains afin de leur assurer une réelle émancipation sociale. À défaut de quoi il y aurait sans doute encore des travailleurs dans notre Pays, mais il n'y aurait bientôt plus de valdôtains. Dans ce cas-là on aurait quelques difficultés, entre autres, à justifier l'existence même d'un syndicat valdôtain... Les capitalistes ont trop souvent profité du fait que les travailleurs sont fatalement portés à considérer le principal problème celui qui se pose premier dans le temps: ceci est dû à la condition des travailleurs qui ne le leur permet pas d'envisager les problèmes et de se livrer aux analyses d'une façon aussi détachée que les patrons peuvent le faire. Comme ils sont conscients de ce fait, les capitalistes n'ont qu'à avoir soin de fournir à leurs exploités des problèmes immédiats à résoudre, et ces derniers trouveront le moyen, en essayant justement de résoudre ces problèmes-là, de se dépenser, de dépasser leurs frustrations et, surtout, - ce qui est le but des patrons - d'oublier le problème le principal, qui est celui de leur émancipation. En d'autres termes, s'il est dans l'intérêt des patrons que leurs travailleurs soient partiellement satisfaits, il est d'importance capitale pour eux que les travailleurs puissent voir en continuation la possibilité de réaliser une petite amélioration: la lutte pour cette amélioration, habituellement immédiate, d'abord assouvit leur combativité; ensuite, ce qui est le plus important, les pousse à considérer des objectifs moins immédiats (mais beaucoup plus redoutés par les patrons) comme quelque chose d'abstrait, d'irréalisable, donc d'inutile. Ainsi le plus important, pour les valdôtains, n'est pas d'arriver à un peu moíns de bâtons et à un peu plus de carottes.. mais de se débarrasser de l'un et de l'autre en cessant pour autant de jouer le rôle des ânes.

5) Et les travailleurs italiens en Vallée d'Aoste?
...émancipation des travailleurs valdôtains veut dire émancipation de tous ceux qui travaillent dans notre Pays. Nous avons en effet parlé de libération nationale (= détachement progressif des conditionnements posés - en ce qui nous concerne - par l'état italien) en fonction d'émancipation sociale. Joseph-César Perrin, dans un excellent article ... "À propos de Nation Valdôtaine" nous dit: "...une économie dans les mains d'autochtones qui continuent l'actuelle politique ne serait pas plus favorable au complet épanouissement de l'ethnie valdôtaine que celle menée par l'actuel colonialisme intérieur. Si la spéculation foncière, si l'industrialisation indiscriminée, si la mainmise sur le tourisme que la Vallée d'Aoste connaît de nos jours étaient poursuivies par le capital valdôtain, elles ne seraient pas moins nuisibles à notre ethnie que la spéculation, l'industrialisation et la mainmise opérées par le capitalisme étranger ".

Donc la liberté ne serait pas telle, si elle n'était pas gérée par les travailleurs. Par conséquent nous n'arrivons guère à voir quel préjudice serait porté aux travailleurs italiens le jour où les leviers de notre économie seraient soustraits aux capitalistes italiens et seraient finalement dans les mains des travailleurs valdôtains. Nous considérons, bien que la libération des valdôtains est la seule chance qu'un travailleur italien. en Vallée d'Aoste a de devenir un homme qui compte dans une libre communauté, où il serait, finalement et concrètement, sujet de droit et il ne serait plus, ainsi qu'à présent, surtout objet d'exploitation. Nous sommes loin d'être d'accord avec ceux de nos compatriotes qui disent "nous ", lors qu'ils parlent d'italiens du nord-ouest et disent "eux" quand ils parlent d'italiens de l'est ou du midi. Nous sommes également loin d'attribuer la faute de notre dénationalisation aux vénitiens ou aux méridionaux de l'Italie: ceux-ci n'en sont que l'un des instruments, victimes, comme nous les sommes, de structures qui les dépassent. Il est dès lors grand temps que nous déclarions que nous n'avons absolument rien contre les calabrais ou les vénitiens, pas plus que contre les italiens en général. Nous nous inspirons des principes du Fédéralisme: or nous avons du mal à voir quelle atteinte à leur liberté, quel empêchement à leur véritable autonomie, quel préjudice à leurs intérêts seraient portés, par exemple, aux calabrais le jour où la Calabre serait un état adhérant librement et: consciemment à la fédération italienne, ou, mieux encore, à la fédération européenne, plutôt que de demeurer une région annexée. Ainsi nous ne voyons guère pourquoi ni comment nous devrions considérer nos ennemis - pour en rester à notre exemple - des calabrais, ou être considérés des. ennemis par eux. Nous voyons par contre assez clairement pourquoi et comment cela arrive et nous n'avons aucune difficulté à en indiquer les raisons dans les structures de l'état italien.

Ces structures n'ont pas germé spontanément et encore moins elles dérivent d'une entente entre communautés qui se sont unies en vue de l'utilité réciproque, mais elles sont issues de l'intérêt et des nécessités d'une seule classe d'italiens, dont l'emplacement, soit dans le domaine social que dans celui de la géographie, présente des limites assez facilement identifiables. Ce sont ces italiens-là ceux que nous n'aimons pas: ceux qui nous ont imposé et nous imposent leur état, tel qu'une armée l'a conquis ou plus souvent - rendu en fief, et tel qu'une classe, la haute bourgeoisie, l'a taillé à sa mesure et d'après ses exigences. Donc, si les grands bourgeois ítaliens, ainsi que l'organisation d'état dont ils disposent, craignent ne pas jouir de nos faveurs, leur crainte est pleinement justifiée... Nous estimons cependant peu probable que, parmi les travailleurs italiens qui travaillent en notre pays, il y en ait qui se classeraient dans la haute bourgeoisie. C'est pourquoi, s'ils croient, comme nous le croyons, que chaque homme, tout comme chaque peuple... a le droit et le devoir de vivre en liberté, les travailleurs italiens ne peuvent se ranger qu'avec nous. Nous exprimons notre confiance que les valdôtains sauront se reconnaître et que toutes les forces qui se disent sociales seront avec nous dans notre lutte pour être des hommes libres dans une société moins injuste que l'actuelle.

Pierre Grosjacques (extraits des thèses du 6e Congrès Conféderal - Verrès - 17 novembre 1974)

LA CRISI IN EUROPA .: su / haut :.

François Stévenin. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002La teoria multinazionale della crisi
"Secondo gran parte della teoria regionale non vi dovrebbe essere alcun problema regionale. Le premesse di tale teoria assumono un autoaggiustamento armonioso in un sistema capitalistico idealizzato. Esse sostengono che se i mezzi finanziari, le innovazioni e gli adattamenti alle variazioni della domanda fossero egualmente disponibili a tutti, o se le aziende portassero le loro attività dove vi è maggior disponibilità di lavoro ed anche i lavoratori emigrassero verso le zone dove i posti di lavoro sono già disponibili, il sistema nel suo complesso si equilibrerebbe in modo tale che le disparità nei profili, nei salari e nella occupazione tra regioni differenti sarebbero puramente funzionali. La società che ne risulterebbe potrebbe ancora essere soggetta alle divisioni in classi, tra capitalisti organizzati e lavoratori organizzati, ma le divisioni tra le classi sociali non sarebbero aggravate da differenziali regionali nell'occupazione e nel reddito".

Così un economista statunitense, Stuart Holland, schematizza nel suo libro "Le regioni e lo sviluppo economico europeo" (1977) il pensiero capitalista contemporaneo. È una teoria risultante dalla prassi storicamente ed economicamente realizzata di due scuole di pensiero; la prima sostiene che lo sviluppo ineguale tra le regioni è elemento essenziale per la crescita dinamica di un sistema capitalistico: per questa scuola il tentativo di assicurare una maggior uguaglianza regionale di occupazione e di reddito, attraverso politiche redistributive statali ridurrebbe il livello globale dei reddito da redistribuire; l'altra scuola sostiene, invece, che le aziende capitalistiche sono razionali nelle loro decisioni di localizzazione (quando lo Stato consente ad esse di decidere in maniera autonoma) mentre i lavoratori non lo sono. "In altre parole - scrive Holland - le imprese si localizzano dove i ricavi e i profitti sono massimi mentre i lavoratori che preferiscono non emigrare massimizzano, in tal modo, vantaggi non economici". Questa seconda scuola sostiene insomma che "i lavoratori che si oppongono alla chiusura di impianti nelle regioni in difficoltà, agiscono contro il proprio interesse, giacché riducono il livello globale del reddito dell'economia".

Lo squilibrio e le tensioni etniche
L'Europa ha avuto una crescita economica piena di squilibri: le regioni che oggi vi si individuano, più che delimitate dai tradizionali confini geografici, sono segnate da diversi ritmi di sviluppo. Ciò è avvenuto perché non è stato possibile imbrigliare il processo di accumulazione capitalistica ed il potere delle multinazionali. Questi squilibri, teorizzati, come dicevo, ma purtroppo anche concretizzati, hanno fatto nascere nuove teorie. Scrive ancora Holland: "se il governo non riesce a portare nuovi posti di lavoro, esso non si dovrà sorprendere se gli abitanti delle regioni si persuadono che la loro migliore speranza di affrontare efficacemente i loro problemi è costituita dalla autodeterminazione politica e se sorgono movimenti separatisti organizzati, come quelli del tipo osservato in Bretagna, in Scozia e nel Galles; nè si dovrebbe sorprendere del ricorso alla violenza tra fiamminghi e valloni (ove le differenze culturali sono rafforzate da disparità economiche) o nell'Irlanda del Nord, la regione di gran lunga più povera e da più lungo tempo, del Regno Unito".

Fin dal suo nascere il capitalismo ha trovato sostegno e spazio in un certo tipo di Stato istituzionale. Non è un caso che quelle chiamate da Holland regioni, cioè quelle nazioni cui la storia ha negato la possibilità di costituirsi in Stato, siano state oggetto di particolare attenzione. Nel piano teorico, è stato ad esempio Lerroux a teorizzare l'alienazione e la denazionalizzazione attraverso il ricorso all'immigrazione di forza lavoro, i cui diritti, la cui fame fisica non è stata e non sono stati minori di quelli delle realtà stanziali. La Valle d'Aosta non è stata ignorata in questo piano e l'italianizzazione è avvenuta proprio sfruttando come elemento colonizzatore l'immigrato che non era partecipe nè cosciente, nè interessato a svolgere una tale funzione, ma cercava soltanto lavoro. Quello di cui, secondo Holland - il governo non dovrebbe sorprendersi - non è tanto il prodursi dello scontro di classe, che si risolve nelle vertenze e negli accordi che vengono definiti accontentando le parti, ma le modificazioni di questo confronto, non controllabili e potenzialmente portatrici di trasformazioni economiche sostanziali.

Il problema della integrazione economica europea Pare significativo, quindi, che il fallimento progressivo della teoria dello "sviluppo ineguale" abbia portato all'affermazione dell'altra teoria, quella della "integrazione economica", nel nostro caso "europea". Si dice, così, che per capire la crisi che travaglia l'Europa bisogna guardare con molta serietà al mancato processo di integrazione dell'economia europea, al lentissimo evolversi della sua unità politica ed alla debolezza contrattuale che caratterizza il Parlamento Europeo nei rapporti est-ovest; questa analisi vuol dire due cose opposte: 1 - che lo stato di malessere dell'Europa appartiene ad una crisi strutturale sia nell'ambito istituzionale (con chiaro riferimento all'impotenza del Parlamento Europeo), sia in quello propriamente economico (con le alterne vicende del sistema monetario, con il gap tecnologico nei confronti degli Stati Uniti d'America, con la dipendenza paralizzante dagli alti tassi di interesse praticati nei confronti del dollaro e, infine, con la permanenza di una crisi energetica che è il vero nodo scorsoio e con gli investimenti in conto capitale praticabili a livello statale).

C'è da dire anche che la mancanza di materie prime non è stata, per la verità alleggerita dalle fonti alternative, con la conclusione che qualsiasi direttiva economica è condizionata dal costo in dollari del greggio dettato dall'OPEC; 2 - che la soluzione positiva di queste problematiche significa l'affermazione reale e concreta della teoria che segnalavo parlando di "capitalismo idealizzato". Lo squilibrio tra le varie componenti regionali è, per ora, ancora in aumento: il confronto Nord - Sud vede oggi nascere in Europa una centrale degli Stati e delle regioni ricche che soffocano un "Sud" che non è più soltanto quello geografico. Prima della integrazione economica europea. il sistema si preoccupa di incidere sul tessuto sociale compromettendo attraverso la spaccatura della coesione economica, l'unità culturale e politica di quelle etnie fino ad oggi divise dai confini di stato, ma in un progetto di integrazione europea pericolosamente per lui, ricomposte. La concorrenza tra Catalogna "francese" e Catalogna "spagnola" (in analogia con la realtà basca, ecc.), il persistere di spaccature nell'Irlanda, la crisi del Belgio francofono, la disoccupazione in Alsazia Lorena, sono tanti tasselli di un'unica strategia.

Le alternative economiche
Non ci sfugge evidentemente, il fatto che la crisi interessa anche e sovente di più, realtà che non hanno definizione etnica particolare: ma il nostro ruolo di sindacato "nazionalitario" ci spinge a non nascondere i rischi di una pretesa integrazione europea che nasce da politiche di presunta armonizzazíone regionalistica. I problemi europei sono stati discussi, 15 giorni or sono, in un convegno tenutosi a Saint- Vincent; i rappresentanti delle comunità etniche europee, al di là delle strategie politiche che ciascuno adatta alla propria situazione hanno concordato su alcuni punti che mi pare opportuno sintetizzare. "À niveau européen on essaie aujourd'hui de faire passer une politique régionaliste... et la référence continue d'être celle des régions constituées à l'intérieur des Etats. Cela transforme l'Europe dans une sorte d'Etat dont le comportement n'est pas très différent de celui des Etats actuels face aux communautés ethniques. La décentralisation n'est donc qu'une exigence bureaucratique qui concerne une économie multinationale. Le problème est et reste celui du déséquilibre Nord-Sud, un Nord avec des Etats et des Régions riches, un Sud (comme celui occitan de la guerre du vín, ou comme celui situé au Nord géographique, la Galice appauvrie) à qui on refuse l'autodétermination. Nous envisageons le Sud comme les nationalités réduites à n' être que des régions. Le contexte européen exige donc un bouleversement et les ethnies minoritaires songent à une Europe contre la course aux armes, au dehors des blocs, à la limite hors de la Nato et contre Varsovie. C'est un risque, dit-on, voilà la raison pour laquelle notre contribution à la naissance de l'Europe est limitée forcément par cette hypothèse d'une Europe qui naisse des états, et. ensuite. se décentralise, mais ce qu'elle ne veut pas décentraliser ce sont l'économie et la politique mondiale.

L'industrie européenne veut continuer sa typologie de productions (même si elle a engendré la crise énergétique) pour pouvoir imposer ce même type de société aux pays du Tiers Monde: aucune contestation sur ce point ne serait admise, au risque que le Tiers Monde, lui aussi, dépasse, après le colonialisme, l'oppression "démocratique" du néocolonialisme. Une fois de plus les mots cachent des jeux économiques. Le régionalisme comme le bilinguisme peuvent paraître une conquête: en réalité ils marquent le passage du colonialisme au néocolonialisme. Ce n'est pas le cas de fédérer les états actuels, ni de lier régions et nationalités. C'est que les nationalités doivent reprendre leur rôle international à part entière avec les états, les autres états. On fera ensuite une politique de régionalisation mais seulement alors, après que les communautés seront égales. les régions elles-mêmes pourront l'être". Una posizione massimalista, questa, che non possiamo non condividere nei principi, anche perchè, solo su questa premessa ci pare ancora possibile tentare di operare un mutamento profondo non solo nelle istituzioni politiche, ma anche e, direi soprattutto, nell'economia. Sulla base di questa coscienza l'analisi della crisi ci offre un'ipotesi di lettura del tutto diversa da quella a doppia significazione, ambigua e alienante che citavo parlando di mancata integrazione europea.

François Stévenin (estratti dalle tesi dell'8 Congresso Confederale del S.A.V.T. - Saint-Pierrre 12-13 dicembre 1981)

LA VALLÉE D'AOSTE E IL PROBLEMA DEL LAVORO .: su / haut :.

Firmino Curtaz. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002La Vallée d'Aoste
La Vallée d'Aoste est notre Pays. Nous pensons que nous pouvons l'aimer, que nous devons l'aimer. Nous estimons qu'il nous faut réfléchir sur ce sentiment qui fut, avec un certain nombre d'autres raisons nobles et valables, à la base de la naissance du S.A.V.T.. Nous croyons qu'il est nécessaire de réaffirmer ce sentiment. Trop souvent, au sein de notre communauté, nous percevons une négativité profonde, qui vise à détruire plus qu'à construire. Trop souvent, l'attitude que nous adoptons à l'égard des problèmes est négative et aprioriste. Nombreux sont ceux qui, à l'extérieur de la Vallée d'Aoste, contestent notre particularisme. Si, même chez nous, certains ne comprennent pas ou refusent de comprendre que tout particularisme doit être respecté, en Vallée d'Aoste et ailleurs, cela ne fait qu'apporter de l'eau au moulin de ceux qui n'aiment pas notre Pays.

Nous devons être très attentifs à cette division au sein de notre communauté, puisque la situation générale qui se dessine en Italie, et même en Europe, n'est sûrement pas favorable à la Vallée d'Aoste et à ceux qui, comme nous, veulent affirmer, tout simplement, leur propre droit à l'existence. Par la démocratie, la solidarité, l'action, le dialogue, la négociation, nous désirons réaffirmer que nous n'acceptons aucune forme d'uniformisation, que nous en refusons l'idée même. Nous revendiquons le droit de tenter de transformer et de dépasser les structures économiques et politiques actuelles, dans le but de réaliser le Fédéralisme intégral. Nous insistons sur la clairvoyance de la doctrine fédéraliste appliquée à la politique qui, par exemple, fit dire à Kant que seule une fédération mondiale est susceptible de garantir la paix et d'assurer le progrès. Nous aspirons à la création d'un état fédéral - valdôtain, italien, européen et mondial - susceptible de reconnaître et de sauvegarder chaque identité, historique, culturelle, linguistique, politique et administrative.

La Vallée d'Aoste, ainsi que tout autre Pays, connaît aujourd'hui de nombreux problèmes, plus ou moins graves. Inutile de les nier. Il faut plutôt les affronter avec optimisme et passion. Nous sommes à la veille du 50e anniversaire du Statut Spécial de la Vallée d'Aoste et personne, même pas nos détracteurs les plus obstinés, ne peut contester le fait que notre région a connu une très grande croissance au cours de ces 50 dernières années. Il me semble utile de rappeler aux plus jeunes ce que nos aïeux ont vu et vécu. De leur dire combien étaient graves les conditions sociales et économiques dans lesquelles se trouvait notre communauté en 1945. De leur expliquer que l'autonomie qu'on nous a octroyée est le fruit des efforts et de l'engagement solidaire du peuple valdôtain tout entier. Et que cette autonomie, avec le désir des Valdôtains de progresser et de s'épanouir, a permis le développement social, économique, structurel et culturel que nous connaissons aujourd'hui. Il faut que nous soyons conscients de ce qui a été fait. Certes, il y a eu des contradictions, parfois importantes, des choix malheureux, des imperfections, des fautes. On aurait peut-être pu faire mieux, et plus.

Toutefois, ce qui surprend de nos jours est ce sens latent d'autoflagellation qui semble être de plus en plus présent dans notre communauté. Ce qui inquiète est notre incapacité de mesurer l'importance de ce que nous possédons et de ce que nous sommes. Nous assistons et nous participons à de grands débats sur le Fédéralisme, la décentralisation, l'autogouvernement. En même temps, nous ne savons pas toujours apprécier ce qui a été réalisé chez nous, en si peu de temps, grâce à l'autonomie. Une autonomie qui, bien que minime, imparfaite, limitée et critiquée, nous a permis de sortir de la détresse et de la misère. Une autonomie qui nous permet aujourd'hui encore - les indicateurs économiques nous le montrent - de vivre une situation de croissance relative par rapport à d'autres régions de l'état italien. Voilà des considérations que nous nous devons de faire. Le syndicat a vécu, plus que d'autres, les luttes pour l'emploi et le progrès social et économique des travailleurs. Je crois qu'il peut, en s'appuyant sur les faits, porter un jugement serein sur l'histoire récente de la Vallée d'Aoste.

Il lavoro
Proporre teorie sul lavoro ci sembra fuorviante. Cercheremo quindi di capire le modificazioni e le dinamiche in atto nel variegato mondo del lavoro. I vecchi iscritti ricorderanno che in altri Congressi abbiamo dato all'argomento ampio spazio. Pagine e pagine dedicate al pensiero di Chanoux per evidenziarne l'innovativa visione economica e, soprattutto, per riscoprire quanto fosse precursore dei tempi quest'uomo, che 50 anni fa, aveva analizzato e compreso i mutamenti del rapporto dell'uomo con il lavoro, con l'organizzazione stessa del lavoro. L'uomo è il fulcro centrale e l'elemento attivo della vita della comunità e, poiché la crescita della comunità è legata alla partecipazione di tutti ì soggetti interessati, la mancanza del lavoro, elemento di solidarietà sociale attiva, equivale automaticamente all'esclusione dell'uomo non lavoratore, dalla partecipazione per la crescita della comunità di appartenenza. Oggi la partecipazione del lavoratore al governo dell'economia e della società si esprime anche attraverso il sindacato. Quanto più spazio il sindacato ottiene nella concertazione, nella individuazione di regole, nella decisione, nella redistribuzione e decentralizzazione dei poteri, tanto più il suo operato va nella direzione di trovare risposte per l'uomo e per il lavoro stesso. Il sindacato deve contrastare le ragioni e gli interessi del capitalismo più sfrenato che, in Europa, vorrebbe attuarsi con una unica modalità, quella che vede l'assoluta e totale mobilità della forza lavoro pronta a spostarsi là dove il capitale mostri di aver più interesse ad insediare attività produttive. Dobbiamo al contrario difendere lo sviluppo autocentrato, in modo che siano le comunità locali a mettere un freno alle leggi del mercato liberista e a far coesistere i valori non monetizzabili del lavoro con l'identità, la difesa della comunità e del territorio. Carlo Marx chiamò plusvalore la quantità di ricchezza prodotta dai lavoratori e sottratta loro dal capitalismo. Noi pensiamo che esistano altri valori quali la quantità di ricchezza linguistica, storica, sociale e culturale prodotta dalle comunità e sottratta loro dal sistema centralistico (la teoria del minus valore, ndc).

E in questo contesto c'è una particolare visione economica, c'è una cultura del lavoro che nessuna moda, nessuno sviluppo effimero possono cancellare: è la visione del lavoro come possibilità di identificazione di una comunità e di crescita sociale e partecipativa. È stato anche scritto che questo secolo (il XX secolo ndc), iniziato come il secolo della produzione, si sta concludendo come il secolo dei consumi e che, così come siamo passati da una società agropastorale ad una società industriale, poi post-industriale, così pure passeremo da quella dei consumi ad un nuovo modo di vivere. L'evoluzione è necessaria, la trasformazione obbligatoria, perché è l'inevitabile rottura degli equilibri che porta al progresso. Speriamo che ciò avvenga migliorando le condizioni di lavoro in tutto il mondo, sanando la piaga della fame e mitigando gli effetti della guerra tra i ceti più poveri che il neoliberismo sfrenato di questo fine millennio non mancherà di innescare. Guardiamo, quindi, con disincanto ma con speranza al futuro, sapendo oggi di dover operare in modo differente ma con gli stessi obiettivi concreti:
- per la salvaguardia del lavoro
- per offrire lavoro ai disoccupati e agli inoccupati
- per far emergere il lavoro sommerso
- per ridistribuire il lavoro tra chi ne ha troppo e chi non ne ha affatto
- per dar spazio alle donne e ai giovani
- per impedire l'emarginazione sociale
- per una riduzione contrattata degli orari senza l'illusione che si crei automaticamente nuova occupazione
- per l'individuazione di nuovi spazi di lavoro, dal cosiddetto "no profit" ai vari settori della comunicazione
- per una società nella quale i pensionati non siano degli esclusi o dei poveri
- per una valorizzazione della tipicità e della specificità delle produzioni di ogni comunità, le quali non immetteranno - forse - sul mercato prodotti di largo consumo, ma recupereranno nicchie di mercato, sufficienti ad un loro sviluppo e basate sulla qualità dei prodotti e sulla loro "unicità".

Firmino Curtaz (estratti dalle tesi del 12 Congresso Confederale - Quart 12-13 dicembre 1997)


Il libro 'AKARA-OGUN E LA RAGAZZA DI BENIN CITY', 2002Vedi anche di Claudio Magnabosco:
"Sono nessuno o sono una nazione", su evolutionbook.com, versione .rtf zip 55KB
Akara-Ogun e la ragazza di Benin City
La ragazza di Benin City
Decine di africane sono state assassinate in Italia. Le altre Amina: ogni giorno le africane sono "lapidate" in Italia
Identità nazionale e minoranze nello Stato italiano
Indipendentismo sostenibile, Nazione inclusiva, moltiplicatore. Tre teorie tra storia del federalismo e attualità del dibattito sul micronazionalismo
Celtismo, New Age, Sindacalismo: Tre problematiche a confronto con l'idea di nazione e con il rischio di fascistizzazione delle nazionalità
Nazioni senza Stato e diritti collettivi
Per una storia della Valle d'Aosta dal 1945 al 2000

Ultimo agg.: 7.1.2004 | Copyright | Motore di ricerca | URL: www.gfbv.it/3dossier/vda/savt/savt3.html | XHTML 1.0 / CSS | WEBdesign, Info: M. di Vieste
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