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Alto Reno toscano

Le parlate dell'Alto Reno: Lingua o dialetto?

Di Andrea Signorini

Bolzano, 5 Settembre 2003

Quando ci si appresta ad affrontare problemi di natura linguistica relativamente ad un'area ben definita come quella dell'Alta Val del Reno, nell'Appennino Tosco - Emiliano fra le province di Bologna e Pistoia, è utile fare alcune premesse e un breve "excursus" storico della zona. Questi preliminari si rendono necessari proprio perché i dialetti, come le lingue, sono il risultato delle diverse civiltà che si sono succedute in una determinata regione.

Dobbiamo così premettere che, in linea di massima, questa piccola porzione dell'appennino risulta linguiticamente ben differenziata tra un settore settentrionale, maggiormente influenzato dal bolognese (in particolare i dialetti parlati a Porretta Terme e Gaggio Montano sembrano, se ascoltati superficialmente, molto simili al bolognese della media montagna), e una zona meridionale (le frazioni di Posola, Lagacci, San Pellegrino nel Comune di Sambuca Pistoiese) che risente maggiormente degli apporti del vernacolo pistoiese.

Altre località dell'Alto Reno (Pracchia, Orsigna (Comune di Pistoia), Fossato per la provincia di Prato), pur avendo subito degli influssi di matrice galloromanza attestati da alcuni prestiti lessicali (ad esempio il pracchiese "raggia" per rovo ha il suo corrispondente nel bolognese "raaza"), devono essere considerate varianti della varietà definita dagli studiosi di dialettologia "toscano - occidentale".

Un caso particolare è poi rappresentato dal treppiese (il dialetto che era parlato fino alla metà degli anni '70 del ventesimo secolo nella località di Treppio in comune di Sambuca Pistoiese), considerato da molti studiosi una varietà del dialetto garfagnino. L'importanza di questi dialetti, tuttavia, trascende lo stretto ambito locale dato che rappresentano una sorta di "cerniera", o di "cuscinetto", fra il Nord e il Sud della penisola italiana, dando un'idea di come avviene in queste zone il progressivo passaggio dalla cultura linguistica emiliana a quella toscana.

Altri dialetti del crinale appenninico (e in particolare il dialetto di Fiumalbo parlato anche in alcune località del Comune di Abetone) risultano essere assai simili ai dialetti altorenani, tanto simili da indurre Francesco Guccini a parlare di una "famiglia dialettale" che corre lungo l'intera Linea La Spezia - Rimini.

AREA GEOGRAFICA
I dialetti di cui intendiamo occuparci sono parlati nelle seguenti località:
- Comune di Sambuca Pistoiese (Pistoia)
- Comune di Granaglione (Bologna)
- Comune di Lizzano in Belvedere (Bologna)
- Comune di Castel di Casio (Bologna)
- Comune di Porretta Terme (Bologna)
- Comune di Gaggio Montano (Bologna)

Tutte le località sono ubicate lungo la cosiddetta Linea La Spezia - Rimini, un fascio di isoglosse, che separa i dialetti settentrionali dalle altre varietà dialettali della penisola italiana. Lo stato attuale di questi dialetti è tuttavia disperato e disperante: il treppiese (una peculiare varietà dialettale parlata nel Comune di Sambuca Pistoiese) si è estinto alla fine degli anni '70, mentre altri dialetti sono parlati solo da persone molto anziane (spesso ultra ottantenni) e si prevede che entro i prossimi dieci o, al massimo, vent'anni non ci sarà più alcun parlante.

CENNI STORICI
Abbiamo in precedenza accennato al fatto che questi Comuni si trovano lungo la cosiddetta Linea La Spezia - Rimini che, secondo la più parte degli studiosi, dividerebbe in maniera particolare l'Italia. Per Gherard Rohlfs, ad esempio,"quest'ultima linea ha una importanza eccezionale per la struttura linguistica dell'Italia. Si può dire che rappresenta il limite più marcato nel sistema dialettale dell'Italia. Moltissimi fenomeni glottologici trovano qui una barriera insormontabile. Nel campo della fonetica si arrestano qui i cosiddetti fenomeni gallo - italici" (G. Rohlfs, citato da F. Guccini nel suo "Dizionario del dialetto di Pavana" (p. 10)).

Sappiamo che già in epoca classica il latino parlato nei territori padani risultava diverso da quello usato nei territori toscani in cui la popolazione romana si era mescolata con gli etruschi (cfr. Ibid. pp. 10 - 11). E sappiamo, ancora, che tale divisione linguistica viene ad accentuarsi con la riforma dell'imperatore Diocleziano (cfr. Ibid. p. 11 e G. DEVOTO - G. GIACOMELLI, "I dialetti delle regioni d'Italia", Bompiani, Milano, 2002, p. 56), raggiungendo il suo apice con la contrapposizione fra longobardi e bizantini:

"Più tardi ancora il dialogo che si stabilisce fra Bizantini e Longobardi costituisce un nuovo motivo di antitesi geografica e dialettale: La Romagna come retroterra immediato di Ravenna e dell'Esarcato è straniera e spesso nemica rispetto alla Toscana, gravitante intorno al Ducato longobardo di Lucca. Quando, dissolte le vecchie potenze, l'età comunale apre la porta a commerci e scambi più attivi, le due opposte tradizioni dialettali si sono consolidate" (G. DEVOTO - G. GIACOMELLI, Op. cit, p. 56),

Questo passo del libro del Devoto - Giacomelli è importantissimo per chi voglia comprendere l'origine dei dialetti gallo - toscani (almeno dalle nostre parti), infatti tutti i territori che vanno da Castiglion dei Pepoli fino all'Alto Reno appartennero per lunghi secoli alla dominazione longobarda prima e pistoiese poi:

"I Bizantini, che non avevano forze disponibili per contrastare in campo aperto l'esercito nemico, si ritirarono sull'Alto Appennino lungo una linea assai arretrata, difesa da una serie di fortificazioni fisse. Si realizzò così un nuovo limes a difesa della base strategica di Bologna, che dal Mugello raggiungeva il Frignano, attraverso le valli del Sambro, della Setta e la media Valle del Reno.

Per fronteggiare questa linea fortificata, i Longobardi fecero avanzare i loro gruppi armati di exercitales (o arimanni) in una fascia di territorio montano che sul versante tirrenico interessava l'alta valle del Bisenzio e sul versante adriatico le tre vallate della Limentra. Si costituì così una linea avanzata longobarda, alla distanza di una ventina di chilometri dai castelli del limes bizantino. La base logistica di questo schieramento longobardo era la città di Pistoia, nella quale era installato un gastaldo, così che anche i territori poste oltre il crinale furono compresi di fatto nella iudicaria pistoiese, sebbene mai, in precedenza, fossero stati soggetti a Pistoia...

I gruppi arimannici stanziati nelle valli della Limentra svolsero il ruolo di scolte armate per oltre un secolo, fino a quando, sotto il regno di Liutprando, il fronte bizantino fu travolto ed attorno al 727 fu conquistata Bologna. Nell'alto Appennino i Bizantini dovettero allora abbandonare i castelli del limes per ripiegare su una linea più arretrata, mentre i Longobardi poterono avanzare ulteriormente, occupando quella sorta di terra di nessuno che per oltre un secolo aveva diviso i due schieramenti contrapposti. Anche in questi nuovi territori, compresi grosso modo fra il Sambro e la Limentra, furono stanziati nuovi gruppi arimannici, mentre la iudicaria pistoiese si estese di fatto all'intera zona compresa tra questi due corsi d'acqua.

... In particolare, l'espansione in queste zone transappenniniche del territorio soggetto al gastaldo di Pistoia è confermata da numerosi documenti notarili dei secoli XI e XII, nei quali molte località tra il Sambro e la Limentra sono definite ancora "in iudicaria Pistoriensi", o più precisamente "in territorio Bononiense, iudicaria Pistoriensi". La punta più avanzata verso nord - est arriva addirittura al villaggio di Brigola, oggi in prossimità del casello autostradale di Rioveggio" (N. RAUTY, "Sambuca dalle origini all'età comunale", Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 1990, pp. 4 - 6).

E ancora:
"Elemento di grande importanza per la storia del territorio fu, fra il VI ed il VII secolo, l'invasione dei Longobardi provenienti, per la montagna bolognese, probabilmente da sud dalle città di Lucca, Pistoia e Fiesole che furono da essi occupate già alla fine del VI secolo. La presenza di questo popolo di origine germanica modificò profondamente l'assetto territoriale, perché le alte valli bolognesi divennero zona di frontiera fra la Longobardia pistoiese e la Romania bolognese - ravennate, arretrata più a nord della linea Castelnuovo - Montovolo - Castel dell'Alpi... L'influenza pistoiese e la dominazione dei signori di Stagno nella cosiddetta terra Stagnese continuò fino all'inzio del duecento quando il Comune di Bologna condusse a termine il progetto di nuova occupazione delle alti valli, al fine di corrispondere il proprio distretto al territorio soggetto al vescovo cittadino" (R. Zagnoni, "Note storiche sul comune di Granaglione" in AA.VV. "Dizionario Toponomastico del Comune di Granaglione", Gruppo Studi Alta Val del Reno, Porretta Terme, 2001, pp. 24 - 25)

E' da segnalare come alcune testimonianza storiche di grande rilievo (quella del poeta e giurista Cino da Pistoia in primo luogo) asseriscono che la giurisdizione ecclesiastica pistoiese giungesse fino a Casio e Savignano (C.da PISTOIA, Lectura in codicem, f. 348).

FONETICA
Per affrontare questo argomento occorre partire da un altro confine, quello fra Emilia e Romagna. Secondo Dante i confini della Romagna sono descritti "fra il Po, il monte, la marina e il Reno", ma secondo lo scrittore Antonio Baldini questo confine è dettato dal liquido che viene offerto ai viandanti:

finché vi daranno dell'acqua siamo ancora in Emilia, quando vi offriranno vino, allora, siamo in Romagna.

Per quanto riguarda il confine linguistico fra Emilia e Toscana ci troviamo di fronte a una situazione simile a quella descritta dal Baldini: il confine è tracciato da isoglosse, cioè da una serie di fenomeni linguistici che separano il Nord dal Centro Italia. Queste isoglosse si concentrano in una stretta fascia geografica che abbiamo visto essere chiamata "linea La Spezia - Rimini".

A partire dagli studi di Rohlfs si è ritenuto che i principali elementi che separano i dialetti toscani da quelli settentrionali sono la sonorizzazione di -s- intervocalica e delle consonanti intervocaliche occlusive (es: ortiga anziché ortica), nonché lo scempiamento delle consonanti doppie (es: gata anziché gatta). A questi elementi il Rohlfs aggiunge la palatizzazione di "a" davanti a "l" (es: elto anziché alto), la trasformazione di "e aperta" in "e chiusa" (es: il sambucano "cego"), la trasformazione di "uo" in "o chiusa", etc.

L'esito di questa interpretazione porta a spingere verso sud il confine dei dialetti settentrionali, offrendo della Linea La Spezia - Rimini una visione unilaterale. A nostro avviso, quindi, occorre ribaltare il modo in cui i dialetti dell'Alto Reno sono considerati all'interno della linea di separazione La Spezia - Rimini.

Passando da nord a sud di questa linea, infatti, si affievoliscono fino a scomparire del tutto alcuni elementi che caratterizzano i dialetti emiliani e / o settentrionali, ovvero (il che è lo stesso) si manifestano caratteristiche dei dialetti toscani, ad esempio:

1) caduta del fenomeno delle vocali lunghe: è incredibile che nessuno si sia accorto che ben all'interno del confine emiliano (porrettano aldam oppure badese bur) avviene lo scempiamento delle vocali geminate (bolognese aldaam e buur), questo fenomeno si oppone a quello dello scempiamento consonantico osservato da Rohlfs;
2) trasformazione della forma emiliana di "o aperta" nella forma toscana di "o chiusa" in parole come il porrettano "codga" e dell'emiliano "e chiusa" nel toscano "e aperta" in parole come il porrettano "perdga";
3) mantenimento in molti dialetti dell'Alto Reno bolognese delle vocali "a", "e", "i" postoniche di parola proparossitona (es: il badese "cendere") che nei dialetti settentrionali tendono a cadere;
4) mantenimento in buona parte dell'Alto Reno delle "e" e "o" finali se non precedute da "n" (es: il lizzanese "brocciolo"), fenomeno sconosciuto nei dialetti emiliani che tendono sistematicamente a eliminare le "e" ed "o" finali;
5) lambdacizzazione della geminata "rr" in "ll" in parole come il badese "ramallo", fenomeno sconosciuto nei dialetti settentrionali, ma ben noto in realtà come Pistoia (pistoiese "ramallo" per "ramarro");
6) sonorizzazione in "c" della "z" in parole come il porrettano "sdac" (setaccio) a fronte della forma emiliana "sdaaz";
7) il passaggio di "m" postonica di parola proparossitona > "mb" (es: il treppiese "cocombero") che lo stesso Rohlfs assicura essere del toscano ("Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti - Fonetica", Einaudi, Torino, 1999, p. 334);
8) caduta delle vocali d'uso emiliane, o settentrionali in genere, e sostituzione con vocali di tipo toscano (es: il pavanese "grostin" al posto del bolognese "grusten");
9) diversamente da quanto avviene nel settentrione mantenimento (vedi Pavana, Granaglione, Lizzano) delle consonanti doppie, tranne nel caso che la parola non abbia più di due sillabe con la doppia consonante che precede la vocale accentata (es: pavanese "gallo" e bolognese "gal");
10) assenza generale (es: pavanese, lagaccese, badese, lustrolese) di metafonia (caratteristica esclusiva del toscano)

A queste dieci caratteristiche dobbiamo, inoltre, aggiungere lo sviluppo dei nessi latini 'gl' e 'cl' nelle forme toscane 'ch' e 'gh', nonché la particolare realizzazione dei plurali maschili in -i anziché in -s o in metafonia.

Come si vede, focalizzando diversamente gli oggetti della ricerca, si ottiene che la linea La Spezia - Rimini non risulta più la punta massima di espansione a sud dei fenomeni linguistici settentrionali, ma rappresenta la punta massima di espansione a nord dei fenomeni linguistici toscani. In altre parole la Linea La Spezia - Rimini non è una linea a senso unico di penetrazione (nord - sud), ma una linea a doppio senso di penetrazione (nord - sud / sud - nord).

Restando nel campo della fonetica vale, infine, la pena segnalare la presenza in Alto Reno di un suono del tutto peculiare definito dagli studiosi di linguistica "fricativa prepalatale sonora". Questo suono compare quando ce, ci, ge, gi non iniziali vengono mutati in sibilanti molto simili alla "j" francese di jardin. Avremo così paje > pace, bajio > bacio, cilesjia > ciliegia. E' probabile che la fricativa prepalatale sonora dell'Alto Reno sia una evoluzione, in chiave settentrionale, di due esiti fonetici toscani: la particolare g presente nel toscano "stagione" e il gruppo toscano "sc" (fricativa prepalatale sorda) presente in parole come "fascioli".

MORFOLOGIA
Data la complessità e la frammentazione dei dialetti altorenani non è possibile costruire una morfologia standard; ci limiteremo, così, a riportare tre esempi peculiari di forme toscane presenti nei dialetti altorenani
1) in primo luogo l'uso, come forma proclitica, dell'antico toscano "i" ancora oggi usato qua e là in Toscana, per esempio a Montale "i' vo' parlare con seco";
2) l'uso, come pronome indefinito, del tipo "covelle" (dal latino "quod velles" > qualsiasi cosa) considerato dai celebri linguisti Meyer Lubke e Rohlfs "arcaico e toscano";
3) l'uso di una desinenza plurale derivata dai neutri della seconda declinazione latina (cfr. G. Rohlfs, "Grammatica Storica della lingua italiana e dei suoi dialetti - Morfologia", Torino, Einaudi, 1998, pp. 39 -41) che sopravvive oggi in alcuni toponimi locali (ad esempio Campori presso Torri).

La realizzazione però di questi elementi morfologici può essere tuttavia di tipo emiliano. Il caso più importante è offerto dallo scadimento del pronome soggetto. In buona parte dell'Alto Reno, infatti, il pronome soggetto nelle forme toniche (io, tu, egli) viene sostituito dalle forme obbligate (ad esempio il pavanese mì, ti) a cui si affianca l'emento "i" in luogo del bolognese "a". Avremo così il bolognese "mé a dégg" e il pavanese "mì i diggo".

LA NEGAZIONE
I dialetti dell'Alto Reno trattano diversamente la negazione a seconda che il dialetto sia di tipo settentrionale o meridionale. La negazione nei dialetti più settentrionali (lizzanese, porrettano, gaggese) di solito è ridondante come in bolognese: an al so brisa > non lo so (bolognese "an al so briisa"). I dialetti più meridionali presentano una forma più consona al modello toscano omettendo il "brisa" (vedi il lagaccese "an al so").

LESSICO
Come osservato dalla studiosa pistoiese Barbara Beneforti, per l'area di Suviana, la collocazione dell'Alto Reno rende molto difficile verificare in che misura il lessico dei dialetti parlati in questa zona sia più emiliano o più toscano, ovvero sia invece da collocare in una zona intermedia. Il lessico tradizionale comprende molte voci di tipo settentrionale, molte delle quali legate al sistema lessicale emiliano o emiliano - romagnolo.

Per l'area di Suviana (Stagno, Badi e Bargi) la Beneforti, ad esempio, ricorda: mlon > melone (toscano popone), ca' > casa, fioppa > pioppo, culora > nocciola (toscano avellana), rusco > spazzatura, braghe pantaloni.

Ma anche la componente lessicale di tipo toscana è notevolissima:
Sempre per l'area di Suviana possiamo citare: barba > radice, saltabecco > cavalletta, sito > puzzo, ramallo > ramarro (bolognese liguur), cencio > straccio, etc.

Accanto a questa compresenza di tipi lessicali caratteristici di due aree diverse è possibile riscontrare anche alcuni particolarismi lessicali che trovano riscontro solamente in altre località dell'Alto Reno o della Linea La Spezia - Rimini: arcopedagno > arcobaleno, musarangola > talpa, goge > scoiattolo, etc. La parola goge, vista la sua peculiare distribuzione geografica (è usato in Canton Ticino, nell'Appennino Pistoiese e Bolognese, nel Piemonte e nella Lombardia settentrionale, ma non in Emilia), potrebbe essere un relitto ligure.

NUMERI
Come per il lessico anche per i numeri è difficile verificare in che misura si tratti di prestiti dall'emiliano o dal toscano. Il dialetto di Lustrola ci può offrire un valido esempio di cosa vogliamo dire:
1 = Una (italiano "uno" bolognese "on")
2 = Do' (italiano "due" bolognese "duu")
3 = Tre (italiano "tre" bolognese "trii")
4 = Quattro (italiano "quattro" bolognese "quaater")
5 = Cinque (italiano "cinque" bolognese "zenc")
6 = Sei (italiano "sei" bolognese "sii")
7 = Sette (italiano "sette" bolognese "set")
8 = Otto (italiano "otto" bolognese "ot")
9 = Nove (italiano "nove" bolognese "nov")
10 = Desge (italiano "dieci" bolognese "diis")
11 = Unge (italiano "undici" bolognese "ong")
12 = Dogge (italiano "dodici" bolognese "dogg")
13 = Tregge (italiano "tredici" bolognese "tregg")
14 = Quatorgge (italiano "quattordici" bolognese "quatoorg")
15 = Quingge (italiano "quindici" bolognese "queng")
16 = Segge (italiano "sedici" bolognese "sagg")
17 = Desgdette (italiano "diciasette" bolognese "darset")
18 = Desgdotto (italiano "diciotto" bolognese "dsott")
19 = Desgnove (italiano "diciannove" bolognese "dsnov")
20 = Venti (italiano "venti" bolognese "vent")
21 = Ventuna (italiano "ventuno" bolognese "vention")

ESEMPIO DIALETTALE
Filastrocca raccolta a Badi

"dirindina còrpo sòdo/ èrano in sètt a bere un òvo/ e 'na vecchia d6ppo al'uscio/ stav'a dir bùttami il guscio/ dirindina pan gratà/ portam'a lètto che san malà/ e pp6 màzzame na galinna/ na galinna l'è 'n p6 pòca/ mazzarén il collo a un'òca/ un'òca l'è 'n p6 tròppa/ dà del òssa a cla patòzza"

I DIALETTI DI AREA SAMBUCANA
Tra tutte le località dell'Alto Reno la più interessante ci pare rappresentata dal Comune di Sambuca Pistoiese. Il Comune di Sambuca Pistoiese è un quadrilatero di circa 77 Kmq che si estende per 8' di latitudine a nord del 44° parallelo e per 8' di longitudine ad est del meridiano di 10°.

Peculiarità di questo Comune è l'appartenenre da innumerevoli secoli alla provincia di Pistoia nonostante l'intero comune sia a nord dello spartiacque appenninico e, quindi, tributario del Mare Adriatico. La particolare situazione del comune ha comportato, così, che nelle varie frazioni che lo compongono si parlino dialetti debitori sia del toscano che dell'emiliano.

In ragione della loro maggiore, o minore, toscanità essi possono essere suddivisi in tre aree ben distinte, più una quarta area con roprie particolarità linguistico - fonetiche:
1) Pavana;
2) L'area sambucana (Lagacci, Posola, Campeda, Taviano, etc.);
3) L'area meridionale (Frassignoni, Torri, Monachino, etc.);
4) Treppio.

L'area linguistica pavanese è quella che risente di più degli influssi emiliani, anche se complessivamente può essere ascritta ai dialetti di tipo toscano (ad esempio mentre negli altri dialetti sambucani il participio passato è in -ato, -ado (mangiato a Frassignoni, mangiado a Sambuca), a Pavana la forma è apocopata (manghià). E' da osservare, al contrario, che l'infinito presente a Sambuca e Pavana è sempre in -are (manghiare), mentre a Pistoia e a Treppio può presentarsi con il troncamento (mangiare - mangia'). A livello popolare la linea di confine tra il dialetto pavanese e gli altri dialetti sambucani è attribuita al Fosso di Camarcione).

L'area linguistica sambucana risente già in maniera minore degli influssi emiliani, mentre minimo risulta essere il contributo dei dialetti emiliani per le zone più meridionali del comune. Il gruppo dei dialetti d'area sambucana non è comunque un gruppo omogeneo; mentre Campeda sembra subire gli influssi del dialetto pavanese, si può dire che Posola e Lagacci risentano maggiormente del "parlar toscano".

Il dialetto parlato a Treppio, oltre a presentare i particolari suoni cacuminali (-ll- > -d- e L- > D), si caratterizza per la sua peculiare caratteristica di dialetto ponte fra le forme sambucane e quelle dei dialetti d'area 'toscana' (a Treppio, ad esempio, le parole che in italiano iniziano con "ri" mantengono questa caratteristica, mentre alla Sambuca seguono la tendenza emiliana a trasformarle in "ar" (esempio: treppiese "ricotta", sambucano "arcotta").

Per quanto attiene l'area meridionale del Comune si osserva che la parlata è spiccatamente toscana, con poche varianti fonetiche: rare cadute della consonante geminata ("Cereta" per "Cerreta") e qualche alterazione consonantica (Acereda per Acereta). Nella zona attorno a Torri, inoltre, si avverte la presenza di quel singolare fenomeno di aspirazione consonantica noto col nome di "gorgia toscana": ad esempio "buha" per "buca". Una certa vitalità, tuttavia, continua a mostrare anche in questa zona la forma apocopata di "Ca'" per "Casa" tipica dei dialetti emiliani (il "Dizionario Toponomastico del Comune di Sambuca Pistoiese" registra quattro "Ca'" per la zona di Torri).

L'area sambucana, come abbiamo già ricordato, si pone come cuscinetto fra quella meridionale e quella pavanese. All'area dei fenomeni linguistici emiliani si può ascrivere la sonorizzazione delle consonanti occlusive sorde in posizione intervocalica (es: "ortiga" anziché ortica) o l'esito della e breve tonica in "e chiusa" anziché nel dittongo "ie" (es: il Lagaccese "méle" anziché miele, oppure il sambucano "tévvedo" anziché "tiepido"). All'area dei fenomeni linguistici toscani appartengono, invece, altre caratteristiche quali, ad esempio, il mantenimento delle vocali a fine parola (fenomeno ignoto ai dialetti emiliani con esclusione di "a") o la conservazione delle vocali "a", "e", "i" postoniche di parola proparossitona (es: il sambucano "coddega" per cotica).

E' bene, comunque, sottolineare che tutte le forme dialettali parlate nel territorio del comune della Sambuca Pistoiese vanno annoverate alla famiglia dei dialetti toscani, dato che lo stesso dialetto avanese è più toscano che emiliano:
"Pavana parla un dialetto di tipo toscano ma profondamente segnato da caratteristiche emiliane" (F. GUCCINI, " Dizionario del dialetto di Pavana", Pro Loco Pavana - Gruppo Studi Alta Val del Reno, Pavana Pistoiese, 1998, p. 9).

L'IMPORTANZA DEI DIALETTI DELL'ALTO RENO
Abbiamo detto che i dialetti dell'Alto Reno, come gli altri dialetti parlati lungo la linea La Spezia - Rimini, costituiscono una sorta di cerniera fra il Nord e il Sud della penisola italiana, ma per comprenderne fino in fondo l'importanza di questi dialetti occorre tenere presente la seguente cronologia:
Nel 1873 il glottologo Graziadio Isaia Ascoli individua un nuovo gruppo linguistico definendolo col termine "francoprovenzale". Questo gruppo linguistico presenta alcune caratteristiche fonetiche della lingua occitana (provenzale) ed alcune caratteristiche fonetiche del francese.
Nel 1937 Gerhard Rohlfs individua nella pensiola italiana due confini linguistici meglio conosciuti come Linea La Spezia - Rimini e Linea Roma - Ancona.
Nel 1969 l'accademica delle Scienze dell'URSS M.A. Borodina pubblica un libro sulla lingua ladina (una delle lingue neolatine parlate in alcune zone del Nord Italia e della Svizzera). Secondo la studiosa russa il ladino costituisce la lingua di transizione fra la Ròmania Occidentale (Francia, Spagna, Portogallo) e la Ròmania Orientale (Italia, Romania). Tale teoria viene condivisa dal celebre studioso tedesco Gerhard Rohlfs.
Nel 1969 viene pubblicata, però, anche una monumentale opera sulle lingue romanze scritta dall'altrettanto celebre studioso Heinrich Lausberg. Secondo il Lausberg la Ròmania Orientale e la Ròmania Occidentale sono separate dalla Linea La Spezia - Rimini. I cosiddetti "dialetti" del Nord Italia sarebbero così più simili alla lingua francese che non all'italiano.
La tesi del Lausberg fu elaborata autonomamente anche dallo studioso tedesco Walter von Wartburg nel 1950 ed è oggi sostanzialmente condivisa da tutti gli studiosi di linguistica (cfr. C. MARCATO, "Dialetto, dialetti e italiano", Il Mulino, Bologna 2002, p. 187)
Nel 1982 lo studioso australiano G. Hull individua una unità linguistica tra i territori del Nord Italia e i territori ladini. Per definire questa macroarea linguistica lo stesso Hull usa il termine 'Padania' (da intendersi, ovviamente, come realtà linguistica e non politica). Intanto lo "UNESCO RED BOOK ON ENDANGERED LANGUAGES: EUROPE" riconosce la lingua emiliana come distinta e separata dall'Italiano (toscano).

Appare così evidente che il confine tra Emilia e Toscana rappresenta non solo il confine fra due lingue regionali ma fra una Ròmania Orientale e una Ròmania Occidentale. Alla luce di questa considerazione dobbiamo, perciò, concludere che quelli che abbiamo definito fino adesso "dialetti" non sono affatto un dialetti (da un punto di vista strettamente linguistico la divisione lingua - dialetto è comunque sempre artificiosa), ma un vero e proprio sistema linguistico che, collegando i due grandi blocchi linguistici neolatini, esercita la funzione di "lingua ponte" erroneamente attribuita al ladino dalla Borodina.

Agli esiti della Ròmania Occidentale possiamo attribuire:
1) la sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche p, t, k (esito p > v, t > d, k > g). La sonorizzazione di p risulta assente nelle parlate più meridionali dell'Alto Reno (es: lagaccese apa);
2) un certo dileguo vocalico (es: badese mlon). Il dileguo vocalico si presenta tuttavia in grado minore rispetto a tutto il resto della Ròmania Occidentale.

Agli esiti della Ròmania Orientale, invece, possiamo attribuire:
1) la realizzazione dei plurali maschili in -i (es: porrettano "necci") anziché per metafonia o in -s come avviene nella Ròmania Occidentale;
2) la realizzazione dei nessi latini 'cl' e 'gl' attraverso 'ch' e 'gh' come avviene in Italiano e in Romeno;
3) la presenza in passato del possessivo enclitico (ancora testimoniato nel dialetto parlato fino a pochi decenni or sono a Treppio) che rappresenta un caso di posposizione dell'aggettivo tipico della Ròmania Orientale (cfr il romeno "copìi mei" per "bimbi miei").
4) diversamente dalle lingue romanze del gruppo occidentale i dialetti altorenani non presentano la tendenza a far emergere l'emento velare nelle labiovelari latine: francese cinq, castigliano cinco, occitano sinc, ecc. contro i nostri cinq (Gaggio Montano - Porretta), cinque (Lagacci, Lustrola).

A conclusione di questo breve lavoro possiamo così citare le parole di un grande filologo italiano: "Come si riconosce la fisionomia di 'lingua' al catalano, al francoprovenzale e al sardo, così non v'è ragione di non riconscere i caratteri di 'lingua' al ladino ..." (G. BERTONI, citato in Rohlfs "Studi e ricerche su lingua e dialetti d'Italia", Sansoni, Firenze, 1997, p. 131)

E, aggiungiamo noi, non c'è ragione per negare il carattere di lingua anche alle parlate gallotoscane dell'Alto Reno.

Andrea Signorini, laureato in filosofia all'Università di Bologna Curatore del sito "Alto Reno Toscano" ( http://it.geocities.com/kenoms3/altorenotoscano/altorenotoscano.htm).

BIBLIOGRAFIA
AA.VV. "Dizionario Toponomastico del Comune di Sambuca Pistoiese", Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia 1993
AA.VV, "Dizionario Toponomastico del Comune di Granaglione", Gruppo Studi Alta Val del Reno, Porretta Terme, 2001
L. BONZI, "Piccolo dizionario del dialetto di Treppio", Nuèter ricerche n. 16, Porretta Terme s.d.
B. BENEFORTI, "Piccolo dizionario dei dialetti di Badi, Bargi e Stagno", Nuèter ricerche n. 13, Porretta Terme, s.d.
B. BENEFORTI, "Il confine linguistico: I dialetti 'alti' dell'area appenninica", relazione tenuta a Capugnano il 09/09/2000
G. DEVOTO - G. GIACOMELLI, "I dialetti delle regioni d'Italia", Bompiani, Milano, 2002
F. D'OVIDIO - M. MEYER LUBKE, "Grammatica storica delle lingua e dei dialetti italiani, Hoepli, Milano, 2000
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RIFERIMENTI NEL WEB
ALTO RENO TOSCANO: http://it.geocities.com/kenoms3/altorenotoscano/altorenotoscano.htm
F. GUAZZELLI, "Principi e metodi di dialettologia italiana", Italian culture on the web
http://www.lustrola.it/page/Dizionario.html
http://www.helsinki.fi/~tasalmin/europe_index.html


Vedi anche:
* www.gfbv.it: www.gfbv.it/3dossier/linkgfbv.html#Italia

* www: www.eblul.org | www.ifj.org


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