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Valle d'Aosta

NOUS SAVIONS LE CHEMIN / Conoscevamo la strada

di Claudio Magnabosco

Aosta, 11 maggio 2006

INDICE

NOUS SAVIONS LE CHEMIN / Conoscevamo la strada | SE POTESSI PARLARE AI VALDOSTANI ... | U.V. ... LA SFIDA ALL'OK CORRAL NON SI FARA' | TURISMO TRA COMUNICAZIONE E CULTURA | COMIZIO ESTEMPORANEO E NON AUTORIZZATO | IL DISAGIO VIENE DA LONTANO | CARO LUCIANO. Lettera aperta al Presidente della Regione, Luciano Caveri

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Che succede in Valle d'Aosta?

Il movimento/partito storico Union Valdotaine si è presentato alla ultime elezioni politiche fortemente diviso, meglio dire lacerato, tanto che una frangia unionista, in alleanza con i D.S., ha eletto il deputato e senatore che spettano alla Valle d'Aosta (entrambi schierati con Prodi), mentre l'U.V., pur avendo rilanciato il progetto dell'unità di tutti i movimenti autonomisti, è stata sconfitta. Nulla di strano se si considera che le elezioni si vincono e si perdono, ma certo singolare il fatto che nell'U.V. molti credano, al tempo stesso, di averle vinte e di averle perdute. La cosa difficilmente comprensibile ad un lettore esterno è che questo sia successo ad una U.V. che nel Consiglio regionale della Valle d'Aosta ha ottenuto alle elezioni del 2003, la maggioranza dei seggi, per la prima volta nella storia: 18 seggi su 35!

Impossibile spiegare questa situazione a persone che non siano valdostane o non siano dentro alle vicende politiche valdostane. La sostanza, è, però, molto semplice: è in corso una lotta di potere e uno dei contendenti è un leader carismatico un po' troppo peronista, accentratore e poco propenso ad ascoltare le ragioni della minoranza interna, tanto che questa si è ribellata e gli ha dimostrato che a non esser maggioranza questa volta è lui. Si potrebbe trattare di una banale lotta interna, comune a tutti i partiti, se non fosse che è combattuta da oltre venti anni e che, per combatterla, l'U.V. si è allontanata sempre più dai propri principi e valori ispiratori, diventando, da movimento che era, un partito di raccolta e pensando più al potere che al proprio ruolo storico.

Se a lottare, poi, sono solo i politici e tacciono gli intellettuali, ci possiamo aspettare solo le solite mezze verità della politica, mentre la verità vera è più dura: l'U.V. si è persa per strada e diversamente da quanto un intellettuale poteva scrivere 30 anni or sono, affermando che conosciamo la strada per difendere i diritti della Valle d'Aosta, quei diritti oggi non li conosciamo più: da qui il titolo di questo saggio, "Nous savions le chemin", conoscevano la strada, ma non la conosciamo più, che i miei lettori riconosceranno poiché lo utilizzai come sottotitolo di un altro precedente studio che dedicai alla Valle d'Aosta. Per comprendere meglio la ricostruzione storica che propongano, si leggano comunque gli altri studi che ho dedicato all'U.V. ed alla Valle d'Aosta, potendo, in questo modo, prender confidenza con i personaggi dei quali parlo in questo saggio.

La verità è semplice, meno semplice ammetterla: l'U.V. è divisa da quando Mario Andrione, Presidente della Giunta, riparò a Nizza per evitare l'arresto ed il suo delfino, Augusto Rollandin, lo sostituì. Il problema, quindi, è nato 20 anni or sono e da allora si è trascinato penosamente. Molti da allora hanno tentato di evidenziarlo, senza avere - però - l'attenzione di quella parte di unionisti che solo oggi contesta Rollandin, fingendo che i problemi siano scoppiati nel 2003, quando l'U.V. conseguì la maggioranza dei seggi in Consiglio regionale e Rollandin cominciò a spadroneggiare. In questi ultimi 20 anni, invece, c'è tutta la vera storia del malaise degli unionisti.

Ci sono la questione morale posta da Emile Chanoux junior, la sua uscita dell'U.V., il suo movimento alternativo all'U.V:, il suo suicidio; c'è l'uscita di Tamone, Danna e altri, c'è la nascita di gruppi e movimenti che hanno tentato di tenere alta l'attenzione agli ideali dimenticati dall'U.V. E ci sono strappi interni di non irrilevante peso: presidenze e assessorati mal distribuiti, incarichi e dirigenze spartiti, errori amministrativi e contraddizioni elettorali, sul filo di un equilibrio che non c'era e di ideali - appunto - dimenticati. Chi oggi contesta Rollandin, è stato dentro a questa U.V., ha ricoperto ruoli, ha avuto incarichi, presidenze ed assessorati compresi, consulenze e dirigenze; di conseguenza costoro contestano sì, ma cercano di salvare la loro immagine: per tutti la semplificazione della questione è fingere che i problemi risalgano al 2003, quando Rollandin non volle Caveri alla Presidenza della Giunta, gli preferì Perrin, ecc. ecc.

I fatti più recenti assumono, in questo modo, i toni della farsa: tutti ci divertiamo con le farse dello Charaban, ma lo Charaban non deve governare, come invece devono fare gli uomini dell'U.V. Quali le soluzioni? Non certo un embrassons-nous, né un ripartenza congressuale, né la nascita di un movimento alternativo, né la confluenza dei dissidenti nel movimento alternativo già creato da Louvin. La soluzione è la verità, dichiarare ed analizzare la verità: l'U.V. è divisa da quando Rollandin sostituì Andrione; strada facendo le divisioni si sono accentuate, rese più gravi dal fatto che dopo tre legislature i consiglieri regionali eletti nell'U.V. non possono ripresentare la loro candidatura e che neanche occupando tutti i posti di potere, l'U.V. può soddisfare le ambizioni di tutti.

Vergognosi appetiti? No. Gestendo un potere troppo clientelare è inevitabile dar spazio a persone che non hanno altro merito che assecondare chi detiene il potere, spesso non possedendo capacità specifiche e lasciando intendere che per ricoprire incarichi di responsabilità, non siano indispensabili le competenze e le capacità, ma solo il possesso di un gruzzolo di consensi da spendere al mercato dei voti. E gli ideali? Già, questo è il problema: oggi lo scontro li riporta a galla e tutti tentano di farsene difensori. Peccato che tutti li abbiano dimenticati per 20 anni. C'è, inoltre, un fatto gravissimo del quale nessuno sembra avvedersi: per molti unionisti l'U.V. è una seconda pelle, di più una seconda anima; essere unionisti è un sentimento che va oltre gli enunciati e la razionalità, quasi che - in realtà - l'U.V. incarni una Valle d'Aosta che si sogna esista, non avendo la capacità di farla esistere nella realtà quotidiana. Per costoro non votare U.V., uscirne, contestarla, significa vivere personalmente una grave crisi morale.

Questo è il peggior male che potesse esser fatto agli unionisti sinceri e questo spiega perché molti abbiano taciuto tanto a lungo o abbiano difeso a spada tratta i leader che si trovavano nei guai con la giustizia. L'U.V. ed i suoi esponenti politici, avevano il compito storico di traghettare la Valle d'Aosta e gli unionisti in un futuro nel quale la consapevolezza identitaria doveva tradursi in coerenza politica: sognatori, i valdostani stanno scoprendo che i sogni si sono trasformati in incubi.

SE POTESSI PARLARE AI VALDOSTANI ... [ su ]

In Valle d'Aosta viviamo un periodo di grave crisi. Crisi culturale, evidenziata dal fatto che non esistono in Valle d'Aosta momenti di aggregazione culturale volti a approfondire, elaborare e proporre, ma solo una molteplicità di occasioni per rileggere acriticamente il passato e per celebrarlo, oltre ad una lista infinita di opportunità per fruire passivamente di eventi culturali. Viviamo una crisi economica a fronte della quale il governo regionale si sta buttando nel vicolo cieco dei provvedimenti tampone che risolvono l'oggi, ma aggravano il domani, poiché ritardano la presa di coscienza delle reali motivazioni della crisi stessa.

La percezione della gravità della crisi e del peso che sta assumendo nella vita delle persone è alterata: gli amministratori non si avvedono dell'impoverimento della popolazione, poiché hanno aumentato gli interventi economici, i provvedimenti, i contributi a sostegno delle situazioni di disagio vecchie e nuove; in questo modo, però, non si fa altro che posticipare l'esplosione delle negatività. Crisi politica, poiché l'U.V., movimento di maggioranza relativa, con 18 consiglieri su 35 in Consiglio regionale, si sta frantumando, dando vita ad almeno due o tre movimenti, ormai in sempre più evidente contrapposizione tra loro: quel che è grave non sono le divisioni che in politica sono del tutto normali, ma il fatto che queste si producono senza che i protagonisti siano portatori di un progetto di uscita dalla crisi immanente, ma litighino sulle posizioni di potere, occupando le quali possono al massimo gestire la quotidianità.

La loro diventa una ammissione di impotenza: sembra quasi che la crisi e le difficoltà siano inevitabili e questa rassegnazione ha una gravita "storica": i politici valdostani, infatti; non dovrebbero ragionare come gli amministratori di un grande condominio, ma come gli statisti di un piccolo Stato. Le divisioni consentono alla classe politica di fornire all'opinione pubblica una spiegazione fasulla del perché i problemi non possano essere risolti e le soluzioni non possano essere programmate: l'instabilità consente di scaricare su altri, su quelli che hanno governato in anni precedenti, su quelli che hanno governato male a fronte di quelli che si propongono di governare bene, responsabilità che- invece - sono di tutti degli uomini dell'U.V., il partito/movimento di maggioranza relativa.

In Valle d'Aosta, in verità, l'instabilità è un fatto del tutto recente: per decenni, infatti, la Valle d'Aosta è stabilmente governata da maggioranze formate dall'U.V. stessa e dai D.S. (ex P.C.I. che in Valle d'Aosta si chiamano Gauche Valdotaine). L'instabilità, quindi, non è interna, ma esterna: possiamo cioè lamentare che in Europa e in Italia non c'è la stabilità necessaria ad assicurare interventi politico-economici adeguati; e quando un po' di stabilità si produce a quei livelli, allora in Valle d'Aosta se ne evidenziano gli aspetti centralistici. La Valle d'Aosta, cioè, non è mai responsabile di nulla. Credo però che, tutto sommato, in Valle d'Aosta siamo tutti più intelligenti di quel che dimostriamo di essere: vediamo la realtà dei problemi e le difficoltà di fronte alle quali la Valle d'Aosta si trova, ma non sappiamo trovare il coraggio di dire la verità, perché questa frantumerebbe il difficile equilibrio sociale, economico, culturale e politico che abbiamo subito e contribuito a costruire ... su basi errate.

La verità è che questo sistema istituzionale italiano è sbagliato, ma per certi versi funziona e prima di far funzionare adeguatamente un sistema diverso, quantunque più corretto, dovremmo cambiare molte cose ed affrontare non pochi sacrifici. Questo ci spaventa e ci porta a preferire una dorata dipendenza (ma questo oro si sta rivelando falso...) ad una problematica libertà. Se siamo in crisi ed in difficoltà, così, il responsabile dei responsabili è individuato fuori dalla Valle d'Aosta: responsabili della crisi diventano la mondializzazione, l'Europa, il centralismo dello Stato...e, invece, i veri responsabili sono tutti in Valle d'Aosta, in un movimento che è diventato troppo forte per le proprie capacità di gestione democratica dei successi, in una amministrazione che cancella le intelligenze che la metterebbero in crisi, indicando la necessità di adottare scelte più coerenti.

Ancora ci basiamo ancora e sempre in Valle d'Aosta, sull'insegnamento di Chanoux, insegnamento che per certi versi è invecchiato, pur conservando assolutamente integra la valenza etica, e che dovrebbe chiarirci una cosa: Chanoux guardava al futuro della Valle d'Aosta, programmandone la crescita e lo sviluppo indicando di quali strumenti politici, culturali, sociali ed economici ci fosse bisogno. Noi non stiamo più guardando al futuro, perché siamo incapaci di prefigurarlo e perché anche solo il tentativo di farlo, ci porrebbe nella situazione di dover cambiare i nostri comportamenti di oggi: meno attaccamento al potere per il potere, più lucidità nell'analizzare la crisi!

E più onestà nel riconoscersene responsabili. Per decenni abbiamo alimentato la sopravvivenza di industrie decotte che sono arrivate ad insediarsi in Valle d'Aosta perché allettate da favori di ogni tipo: hanno avuto a disposizione strutture e finanziamenti agevolati, hanno avuto forniture energetiche, hanno contato su una pace sociale gestita con il coinvolgimento dei sindacati. Che si sia trattato di una impostazione di politica industriale assolutamente sbagliata (e, per assurdo, gestita per moltissimi anni, continuativamente, dai D.S., con assessori di dichiarata storia sindacale e comunista!) lo testimoniano scelte anche antecedenti agli ultimi anni, la più clamorosa ed incredibile delle quali fu insediare una fabbrica di rubinetti a Cogne, una sola strada di accesso, una località alpina che meglio si presta - ovviamente - allo sci che ...ai rubinetti.

Una marea di pseudo-industriali è giunta in Valle d'Aosta, ha rapinato la comunità valdostana e se ne è andata con la stessa fretta con la quale era arrivata. La necessità di mantenere un accettabile livello occupazionale nel settore industriale, ha spinto a scelte sbagliate. Ma l'errore degli errori è stato non riflettere mai abbastanza chiaramente sul vero significato dell'industrializzazione della Valle d'Aosta che è stato quello di succhiare risorse (carbone, ferro, acqua) determinando un falso sviluppo utile solo ad italianizzare la Valle d'Aosta, facendovi arrivare migliaia di immigrati. La Valle d'Aosta afferma di avere una vocazione turistica, ma continua ad essere una delle regioni alpine turisticamente meno organizzate e più care; la stagione del turismo valdostano dura pochi mesi invernali ed estivi, mentre tutti gli altri periodi sono assolutamente trascurati e non si è mai fatta una politica turistica che valorizzasse le diverse stagioni e consentisse ad albergatori e a lavoratori del settore, di lavorare in modo meno frammentario e precario.

Il numero dei turisti sembra aumentare, ma gli alberghi ed i residence lamentano di essere sempre in crisi ed in difficoltà. Incredibile ... Ecc. ecc. ecc. I valdostani dovrebbero riflettere e dovrebbero riflettere soprattutto quelli che militano nel S.A.V.T., il sindacato nazionalitario; se non altro per competenza diretta, non possono non avvedersi del peso reale della crisi che incombe sui lavoratori e sulla popolazione. Se i politici possono avere ragioni diverse per fingere che la realtà sia un'altra, e conservano i loro posti anche attraverso il populismo, i contributi o il carisma personale, i rappresentanti dei lavoratori hanno il dovere di dire tutta la verità, sempre. In Valle d'Aosta, inoltre, il ruolo del S.A.V.T. è sempre stato quello di essere una delle componenti di maggior rilevanza nella soluzione della cosiddetta "question valdotaine", quell'insieme di diritti che non sono compresi in nessuno Statuto, in nessuna carta istituzionale, ma nella coscienza dei valdostani: i valdostani che sanno di essere un popolo, fanno della loro terra una nazione alla quale competono ruolo e diritti che non possono essere gli stessi paternalisticamente concessi a semplici regioni o a semplici minoranze.

Parte di questo movimento, il S.A.V.T. si è trovato in momenti di crisi e di difficoltà, superati grazie al fatto che fu l'U.V. ad intervenire organicamente per risollevarlo: in uno di questi momenti di crisi l'U.V. sostenne la segreteria sindacale impegnandovi un giovane e dinamico Bruno Salvatori, poi sostituito da François Stévenin che in 17 anni fece del S.A.V.T. un sindacato forte ed autonomo anche dalla stessa U.V. E quando l'U.V. si trovò in difficoltà, anche sul piano economico, fu all'appoggio del S.A.V.T. a consentire il superamento di quelle difficoltà. Del movimento che sostiene la question valdotaine fa parte anche il mondo della cultura: allora, come dimenticare l'apporto al S.A.V.T. assicurato da esponenti dell'U.V. come Alexis Bétemps, che è giusto considerare come il principale studioso della civilisation, come Pierre Grosjacques autore di quel testo fondamentale che è "Nous savons le chemin", come l'attuale segretario Guido Corniolo, già animatore di quella E.A.C. attiva per più di trenta anni in dinamica europea.

Se, allora, ammettiamo, che la question valdotaine è il problema storico della Valle d'Aosta contemporanea, non ci sarà difficile pensare alle sue diverse componenti come ad un tutt'uno che non può sfilacciarsi, neppure in nome di un presunta autonomia del sindacato rispetto alla politica o della cultura rispetto alle istituzioni. La question valdotaine interessa tutti i valdostani e quelli che desiderano continuare a considerarsi tali, hanno sempre ritenuto opportuno stare nell'U.V., nel S.A.V.T. e in organizzazioni culturali, considerandosi sempre coerenti con l'unica finalità che conta davvero: l'épanouissement della Valle d'Aosta. Se, allora, questo è assodato, deve essere assodato anche il fatto che le difficoltà di una delle componenti, sono le difficoltà di tutte.

Oggi è in crisi la politica, è in crisi l'U.V., ebbene è il momento che il sindacato, il S.A.V.T., intervenga. Ci avvediamo che bisognerebbe cambiare e sappiamo anche come, ma ci ostiniamo a restare nell'errore, perché è più comodo e richiede meno impegno. E allora ci rifugiamo dietro una presunta inevitabilità storica di ciò che sta avvenendo, per spiegare la nostra incapacità ed impotenza: c'è la globalizzazione, c'è l'Europa, ecc... Se essere detentori di un'identità e di una specifica ragion d'essere storica, fossero davvero la nostra prima preoccupazione - e lo diciamo in ogni occasione, lo scriviamo nei documenti base dei nostri Congressi - dovremo partire dalla considerazione che, come Sindacato, ancora non abbiamo tutti i diritti degli altri sindacati.

Questo dovrebbe portarci ad approfondire il nostro ragionamento iniziale complessivo sui limiti istituzionali del nostro agire, portandoci a trarre una conclusione: siamo all'interno di un sistema nel quale le forme di autonomia che pur vantiamo, appartengono allo stesso sistema che ci soffoca. Siamo, cioè, legati a doppia corda al sistema che ci soffoca, per la sola ragione che ci siamo accontentati di quel che ci permette amministrativamente, economicamente, socialmente, culturalmente e politicamente. Dovremmo, allora, recuperare appieno il senso profondo dei diritti che derivano dalla nostra identità e rivendicarli. Questo ci permetterebbe, immediatamente, di recuperare il senso di provvisorietà e di precarietà di tutto il resto: se riteniamo di aver diritto ad esercitare l'autodeterminazione, qualsiasi altra conquista o concessione, compresa l'autonomia, non sarà altro che un compromesso provvisorio con la storia e con il potere centrale.

L'autonomia di cui gode la Valle d'Aosta non è altro che un compromesso provvisorio con la storia e con il potere centrale, compromesso che ci offre soltanto alcune piccole "conquiste" e "concessioni" che noi erroneamente consideriamo vittorie storiche. Ogni volta che queste stesse piccole conquiste e concessioni saranno messe in discussione, noi potremo e dovremo ricordare che ben altro è il diritto e che non ci abbiamo mai rinunciato. Possiamo, cioè, stare al gioco del sistema solo se questo non frena il nostro vero sviluppo e soltanto se non condiziona o non cancella la nostra identità.

Come mai, ad esempio, quelli che sono Diritti Costituzionali, come l'intera Carta Statutaria, possono essere bipassati dalle logiche europee? Noi abbiamo firmato una sorta di patto con lo Stato e lo Stato si permette di gestire la nostra legittima quota di sovranità e di autonomia con un istituto "superiore", l'Europa, negando tutto quel che nel patto con noi è sacrosantamente descritto. Se la costruzione dell'Europa nei tempi e nei modi che abbiamo conosciuto fosse stata davvero inevitabile, allora da parte dello Stato (e del Governo) avrebbe dovuto essere espresso e formulato almeno il diritto dei valdostani ad avere un loro rappresentante nel Parlamento Europeo,:invece questo non è avvenuto. Le caratteristiche storiche, geografiche, culturali e linguistiche dalla Valle d'Aosta non hanno riconoscimento alcuno in Europa, perché lo Stato ha dimenticato di sottoscrivere i patti europei, salvaguardando i patti che aveva già sottoscritto al proprio interno.

E' indispensabile, cioè, che in Europa la Valle d'Aosta resti una Regione a Statuto Speciale e non una delle tante regioni europee, chiamate a gestire da colonizzate i loro spazi in un Comitato delle Regioni nel quale le specialità sono morte, soffocate e negate e il resto è mera burocrazia. Questo è un discorso politico? No, questo è un discorso che mira a far salve le ragioni d'essere da un lato dell'U.V. e del S.A.V.T. e dall'altro della Regione Autonoma Valle d'Aosta. Sì, perché tutti in Valle d'Aosta possono dirsi autonomisti, ma pochi lo sono nel confronto con lo Stato, in quanto tutti sono parte organica delle strutture e degli istituti (compresi i partiti e i sindacati) attraverso i quali lo Stato si regge.

Per questo in passato il S.A.V.T. e l'U.V. sono stati, reciprocamente, la stampella l'uno dell'altra, mentre erroneamente a questo rapporto si faceva riferimento quando si parlava di "cinghie di trasmissione" accusando il S.A.V.T. di essere la cinghia dell'U.V. come se l'esistenza di questo stretto rapporto fosse un male. Sbagliato: S.A.V.T. e U.V. erano, dovrebbero essere. lo strumento attraverso il quale il popolo valdostano porta avanti la question valdotaine all'interno dei sistemi e delle istituzioni esistenti. Ora è più che probabile che l'U.V. si sia dimenticata questo suo ruolo storico, ma non altrettanto evidente è che lo abbia fatto anche il S.A.V.T o che lo debba fare. Se vediamo che l'autonomia non è applicata, se constatiamo che il S.A.V.T. non è pienamente riconosciuto, se osserviamo che alla Valle d'Aosta è negato il diritto ad avere un proprio rappresentante nel Parlamento Europeo, ecc. ecc., non facciamo altro che constatare che il sistema ci nega.

Ritrovare le proprie radici storiche non vuol dire solo proclamarle, ma anche assumere specifiche responsabilità per riaffermarle. La Valle d'Aosta è una Nazione senza Stato: sarebbe del tutto normale, allora, che dovendosi limitare ad esser considerata soltanto una Regione, in Italia fosse almeno davvero tale, poiché alla base del sistema regionalista è stata posta l'identità regionale. Ne discenderebbe, ad esempio, il fatto che tutte le aree alpine dove sono diffusi il francoprovenzale ed il francese, potrebbero e dovrebbero costituire un'unica entità regionale all'interno dello Stato "regionalista", nel senso che afferma di voler funzionare attraverso il decentramento regionalista. E se l'esercizio della sovranità è delegato, ormai, all'Europa, allora dovremmo costruire quella sorta di Romandie che tenga insieme tutte le regioni di lingua e tradizione franco e francoprovenzale, ponendo alla base di un pur limitata autonomia, proprio quello specifico identitario che ne giustificherebbe ben altra connotazione.

Benché questo non sia un tema squisitamente sindacale, lo diventa poiché il quadro di riferimento della nostra azione, muta proprio in considerazione della specificità che rappresentiamo nel mondo del lavoro: se il S.A.V.T. non è pienamente riconosciuto è perché rappresenta lavoratori di una Regione che è - appunto - solo una Regione, allora è evidente che non potremo mai, dico mai, tutelare davvero i lavoratori valdostani, poiché buona parte delle decisioni che riguardano il sistema economico sono assunte fuori dalla Valle d'Aosta e in Valle sono semplicemente e automaticamente applicate. Tutto ciò che riguarda il cosiddetto sviluppo industriale e la sua crisi, oggi quanto mai attuale, è la dimostrazione che la Valle d'Aosta non possiede neppure un briciolo di reale sovranità, ma solo forme di autonomia utili a gestire le decisioni prese da altri: il che non è molto diverso dal colonialismo e dal neocolonialismo.

Proporre queste considerazioni teoriche ad una organizzazione sindacale che quotidianamente gestisce i problemi dei lavoratori e di quelli che un lavoro non ce l'hanno o lo stanno perdendo, può sembrare ozioso esercizio intellettuale. Invece non è così: noi abbiamo bisogno di mutare totalmente l'ottica della nostra azione sindacale. Se ragionassimo davvero come una Nazione senza Stato, allora dovremmo affermare immediatamente che non è più tollerabile dover lottare per essere un sindacato come gli altri, poiché questo lo siamo nei fatti. E poiché anche solo restando in Italia, in altre realtà questi stessi problemi sussistono, ad esempio in Sardegna, allora è venuto il momento di fare un investimento storico: creare in Italia una federazione di Sindacati come il S.A.V.T. ed agire sul piano italiano insieme ai sardi e ai sudtirolesi, spingendo perché altre organizzazioni sindacali nascano là dove i diritti delle Nazioni senza Stato sono negati, costruendo un sindacato con gli stessi diritti degli altri sindacati: in sostanza si tratta di prendersi i diritti che non ci sono riconosciuti.

Quali rapporti mantenere o stabilire con le organizzazioni sindacali italiane? Quelli che sarà possibile e necessario intrattenere, certo non sacrificando all'altare di una unità sindacale fittizia, raggiunta in Valle d'Aosta con C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L., addirittura lo stesso diritto ad esistere e ad immaginare e proporre uno sviluppo economico e sociale diverso da quello che ci lega e ci vincola ad interessi esterni. La globalizzazione, l'Europa sono tutte balle che ci sono imposte solo perché non siamo capaci di pensare ad altro e perché, in questo modo, tutte le scelte sbagliate che dobbiamo subire sembrano dettate da un interesse superiore e legittimo. Ma come, ancora non abbiamo capito la lezione? Mezzo secolo di scelte sbagliate se ne è andato proprio perché gran parte delle decisioni economiche sono state assunte in nome dell'interesse nazionale italiano, poi quell'interesse è andato a scatafascio perché a nessuno stava davvero a cuore e a noi sono rimaste le briciole e le situazioni di crisi.

Noi continuiamo, allora, a formulare il concetto della unità nella diversità e quella che gli studiosi continuano a definire lotta tra le dimensioni globale e locale non può non imporci opportune riflessioni. Banali, perché stiamo difendendo un sistema economico che, per affermarsi, affama il mondo, porta guerre e disastri, arricchisce pochi ed impoverisce i più... Noi stiamo sostanzialmente inseguendo il sogno di essere compartecipi della ricchezza, comunque conquistata, e non ci avvediamo, invece, di essere solo delle pedine in un panorama economico che ci sta cancellando.

I contratti, le vertenze, l'organizzazione sociale, i servizi non possono essere la sola dimensione del lavoro del S.A.V.T.: il lavoro del S.A.V.T. ha da essere un lavoro politico, chiaramente e dichiaratamente politico. Il S.A.V.T. ha da essere uno degli strumenti per l'affermazione della question valdotaine e se, rispetto a questa, l'U.V. sta arretrando avendo svenduto i principi al potere, è al S.A.V.T. che spetta il compito di affermare chiaramente che quei principi hanno ancora una ragion d'essere. Parliamo un poco dell'acqua: è mai possibile che il mondo intero si stia attrezzando a quella che, presto, diventerà una vera e propria guerra per i rifornimenti idrici e che noi ce ne stiamo alla finestra senza neppure accorgerci che possediamo una ricchezza e che dobbiamo prepararci a condividerla se non vogliamo che, più semplicemente, ce la portino via?

L'acqua vuol dire anche energia: è mai possibile che possedere una fonte energetica tanto importante non migliori né le possibilità di sviluppare una industria compatibile con le nostre caratteristiche ambientali e territoriali, né favorisca la stessa popolazione valdostana che paga prezzi esorbitanti e più alti che in tutte le altre Regioni per l'approvvigionamento energetico privato? E le nostre intelligenze? Dove sono le nostre intelligenze se abbiamo una Università che è nata con 40 anni di ritardo, dimenticando con quanto entusiasmo e con quanta concretezza per 40 anni i suoi fautori ne abbiano richiesta l'istituzione per avere a disposizione e al servizio della Valle d'Aosta, intelligenze da impegnare nello sviluppo culturale, sociale ed economico? Serve avere come unica preoccupazione della scuola la preservazione della lingua francese? Stiamo facendo una battaglia di retroguardia, difendendo la lingua francese sul piano formale, senza che questo significhi nulla di più del fatto che la popolazione valdostana conosce più o meno bene due lingue.

Se diciamo stupidaggini in francese e in italiano, queste restano delle stupidaggini, indipendentemente dal fatto che sappiamo dirle non in una sola, ma in entrambe le lingue. L'identità linguistica deve essere la riprova di una diversità che si esplica in tutti gli ambiti. Altrimenti in Europa è ormai diffusa la conoscenza di più lingue ed esser malamente soltanto bilingui come lo siamo in Valle d'Aosta, non è una posizione di avanguardia, ma un patetico retaggio di un passato nel quale il bilinguismo, il nostro bilinguismo, poteva essere un modello per l'Europa. Se, quindi, il S.A.V.T. deve prendersi le proprie responsabilità politiche, allora lo faccia spingendo affinché la propria voce sia chiara e forte anche nelle strutture amministrative: non è possibile che in una U.V. che ha conquistato la maggioranza dei seggi in Consiglio regionale, la voce dei lavoratori valdostani non si faccia sentire ed il movimento politico sia, in certo senso, imborghesito.

La componente sindacale tra i 18 consiglieri regionali è inesistente: molti consiglieri sono passati attraverso l'esperienza del sindacato, molti ne sono amici, ma nessuno ne è espressione. Personalmente non mi preoccupo delle accuse che potrebbero esser mosse tirando fuori la questione della cinghia di trasmissione che intaccherebbe il discorso della autonomia del sindacato dalla politica, poiché la considero questione effimera. Credo sia assolutamente indispensabile muovere affinché nel Consiglio regionale, siano presenti consiglieri espressione dei lavoratori del S.A.V.T. perché il Consiglio regionale è, al momento, uno spazio burocratico al quale accedono solo i portaborse dei leader, ma nel quale le tensioni e le problematiche reali della comunità valdostana, arrivano solo quando e se i detentori del potere se ne fanno carico.

Il sindacato sudtirolese non si fa troppi problemi a spingere affinché la propria voce sia forte nel Consiglio provinciale. E se la politica deve diventare, come sta diventando, espressione di lobby, allora non mi sta male che la lobby sindacale agisca nel politico. In più, visto e considerato che l'U.V. è in piena crisi ideale ed ideologica, non sarebbe male che a supportarla ci fosse un movimento sindacale forte e coerente. Se così non è vuol dire che la situazione è davvero drammatica; ma ci dovrà pur esser qualcuno che, prima o poi, si accorge che i valori di riferimento stanno scemando, che i militanti più autentici si stanno allontanando, che i vecchi protagonisti delle battaglie politiche e sindacali sono messi in disparte, come fossero inutili cariatidi che devono accontentarsi del fatto di essere invitati alle occasioni celebrative.

U.V. ... LA SFIDA ALL'OK CORRAL NON SI FARA' [ su ]

Prima delle elezioni

Gli unionisti politicamente onesti dovrebbero ammettere che il disagio interno all'U.V. si trascina almeno dell'inizio degli anni '90, quando esponenti di un qualche peso e militanti della base cominciarono a lamentare ciò che i Louvin ed i Perrin rilevano e denunciano solo oggi. Chi lasciò in quegli anni l'U.V. per genuine ed autentiche insoddisfazioni ideali e per contrapporsi allo strapotere di Rollandin (che, pure, pigliava più voti di tutti...), oggi patisce più che il centralismo di Guste, ben noto già allora, i calcoli di chi ha atteso così tanto tempo per assumere una posizione politica critica, dopo aver ricoperto importanti cariche istituzionali in una U.V. di cui Rollandin era "socio di maggioranza". L'onestà politica è una cosa diversa dall'onestà civile.

L'onestà in senso lato le dovrebbe comprendere entrambe, ma poiché l'una delle due non ci compete e riguarda la Magistratura, sull'onesta politica che invece ci riguarda, perché possiamo premiare o bocciare con il voto chi la dimostra o la tradisce, c'è da concludere che oggi non ci sono più canoni di riferimento, non ci sono più valori reali sui quali misurare contraddizioni e coerenze. Succede così, e da troppi anni ormai, che molti unionisti sono fuori dall'U.V. e molti non unionisti sono dentro: l'onestà politica dovrebbe far ammettere a tutti quelli che ne stanno uscendo solo in questi ultimi tempi, lamentando il tradimento degli ideali, di essere quanto meno in ritardo e di esser stati, per questo, complici della stessa situazione negativa che rilevano.

La situazione è talmente ingarbugliata ed indecifrabile che tutti hanno ragione e tutti hanno torto. Il che vuol dire che quindici anni fa Rollandin avrebbe dovuto fare un passo indietro o essere rimosso di forza, ma - nel frattempo - ha acquisito spazi ulteriori e consensi tali da rendere inspiegabile perché lo si debba contestare solo oggi. Dopo averlo criticato e contestato, ma mai troppo, dopo aver condiviso i successi che l'U.V. ha conquistato anche grazie a lui, dopo aver ricoperto incarichi di prestigio, magari perché lui stesso li aveva gratificati magari ben oltre i meriti e le capacità reali, alcuni si arrogano il diritto di contestarlo, ma questo diritto ce l'hanno solo quelli che si sono sempre contrapposti a lui. Le forti ragioni ideali dell'U.V. che uscì dal primo Congrès National, e le elaborazioni culturali ed economiche, le alleanze politiche in Valle d'Aosta, in Italia e in Europa che ne derivarono, si sono sciolte al sole dell'opportunismo dei più.

Mi rammarico, per questo, e molto, di non esser riuscito, parlando con i protagonisti delle fronde dei nostri giorni, a far passare l'unica decisione che mi parrebbe, in tanta confusione, credibile e chiarificatrice: candidare Louvin al Senato in contrapposizione a Rollandin, per una sorta di resa dei conti interna/esterna e per poter ancora credere che, da una parte o dall'altra, le scelte sono chiare e nessuno fa fare ad altri le proprie battaglie. A Carlo Perrin, al quale penso con affettuosa stima, posso solo dire che la sua scelta dell'ultima ora non può essere premiante e che questa sua battaglia andava fatta molti anni or sono. A Luciano Caveri auguro di poter lavorare, finalmente ricoprendo appieno quel ruolo che l'elettorato gli aveva attribuito e che le lotte interne all'U.V. non gli hanno ancora permesso di ricoprire in modo costruttivo.

Agli unionisti che invocano un cambiamento ed un chiarimento reali, ricordo che quando l'U.V. si spaccò (anni 70) per poi riunificarsi ed iniziare la crescita che l'ha portata a diventare il partito di maggioranza, i toni e le polemiche personali erano durissimi, anche superiori a quelli di oggi... quindi esiste sempre una possibilità di pacificazione. L'occasione "storica" di unificare tutti i movimenti autonomisti, come auspicava Bruno Salvadori, non va sprecata né dall'U.V., né da quanti la vorrebbero più "Libre", né dagli Arancioni, né dalla Fédération, né dalla Stella Alpina. A tutti i valdostani predico, sì predico, di non votare più l'U.V. se non ne condividono davvero i principi e se si accomodano soltanto alla corte dei potenti, cercando prebende e privilegi: c'è il rischio che le loro posizioni di rendita durino poco, che gli amministratori finiscano col credersi onnipotenti e che la Valle d'Aosta vada a rotoli. Parola di indipendentista.

TURISMO TRA COMUNICAZIONE E CULTURA [ su ]

Leggo spesso sugli organi di informazione, articoli sulle problematiche del turismo e della cultura e mi soffermo a commentarle brevemente, considerando, prima di tutto, il fatto che a nessuno degli intervistati è passata per la testa l'idea di dover leggere i problemi di oggi anche alla luce degli errori di ieri. Diciamo, anzitutto, che è difficile tenere insieme turismo e cultura senza rischiare di trasformare la cultura in folklore al servizio dei turisti, senza strumentalizzare la cultura per farne una offerta turistica che la snatura e la priva di radici e significati. Prima di tentare un binomio, quindi, è opportuno analizzare gli aspetti positivi e negativi della vita culturale valdostana e delle proposte culturali valdostane. Se le poniamo alla base della proposta turistica, mi pare inevitabile che queste debbano essere autentiche e coerenti, per non trasformare la Valle d'Aosta in una sorta di Gardaland dove gli eventi possono anche essere divertenti, ma sono inequivocabilmente falsi.

Da troppo tempo la vita culturale valdostana è caratterizzata dal provincialismo; al termine attribuisco un significato negativo per il semplice motivo che ritengo manchi una connotazione identitaria e, quindi, si propongano solo eventi marginali: un artista che giunga in Valle d'Aosta per realizzare uno spettacolo inserito nei calendari culturali o in quelli turistici, solo perché sta completando una tournée, non potrà realizzare un vero evento, ma solo uno dei tanti spettacoli che fanno cassetta. Il grande nome che passa in Valle d'Aosta dopo esser transitato a Torino, Ivrea o dintorni, non renderà sicuramente possibile un discorso culturale e neppure un discorso turistico.

Dobbiamo, allora, fare in modo che la vita culturale valdostana abbia una propria identità specifica, tanto vera e profonda da poter essere proposta anche ai turisti. Da un lato già abbiamo eventi culturali valdostani di prestigio e di richiamo per la popolazione (che li vive con sincera e totale partecipazione), come la Fiera di Sant'Orso, la Battaglia delle Reines, gli Sports Tradizionali e tutto ciò che ruota attorno al sistema linguistico valdostano, con il suo teatro, le sue musiche ed il suo folklore. Di questi si alimenta la proposta culturale valdostana. Chi giunge in Valle d'Aosta per turismo, affinché la sua scelta abbia un senso, deve poter fruire di questi eventi. Dovrebbe essere, quindi, buona regola, non proporre in Valle d'Aosta eventi culturali che il turista può seguire a casa propria. La nostra proposta deve essere, quindi, autentica (è lo è perché è la proposta di come la gente valdostana vive davvero la cultura) ed originale (e lo è perché questi eventi non possono essere prodotti che qui).

Attorno a questa prima banale considerazione ruota tutto ciò che riguarda la creatività: in tempi passati (e qui prendono avvio le mie osservazioni storiche) le attività culturali e quelle turistiche, poggiavano solidamente sulla scelta di creare una rete di scambi culturali che dimostrassero quanto vasta era la proposta culturale e turistica che scaturisce da popoli senza stato come il popolo valdostano: quando in Valle d'Aosta si realizzarono le grandi mostre artistiche di Mirò, non si giocò solo sull'enorme richiamo che le opere del maestro avevano ed hanno tuttora, ma sul fatto che si creava un confronto tra la cultura in Valle d'Aosta e la cultura nei paesi catalani, dando il via ad un interscambio che determinò, a cascata, la circuitazione di altri eventi artistici, musicali, teatrali, letterari. Si aprirono alla Valle d'Aosta le porte della Fondazione Mirò di Barcelona, anche se ai vertici del turismo mancò la lungimiranza per utilizzarli ed ai vertici culturali mancò, invece, il coraggio. Ma questo è un altro problema.

Quando in Valle d'Aosta si realizzarono Rassegne Internazionali di Cinema delle cosiddette Minoranze Etniche, si offrì ai valdostani un ulteriore esempio di quanto le culture locali fossero universali se non si chiudevano in se stesse, ma si offrì nel contempo l'occasione per offrire ai turisti una proposta irripetibile ed unica. Quando la Valle d'Aosta fu una delle tappe di un evento musicale che si svolgeva lungo tutto l'arco alpino, il Festenal, musica etnica di tutto il mondo, si inserì la musica valdostana nel circuito europeo ed extraeuropeo della musica etnica: gli Alan Stivell, I Chieftains, ecc. di quegli anni, dimostrarono che non solo la musica etnica aveva una specifica identità, ma che portava valori universali ben spiegando il successo che alcuni musicisti etnici riuscivano ad ottenere fuori dalla dimensione locale. E mentre si proponevano le esperienze più significative della musica mediterranea, alpina, andina, celtica ed africana, si portavano avanti, di pari passo, iniziative per raccontare l'identità dei popoli che avevano prodotto quella musica.

E quando (siamo agli inizi degli anni 70) arrivarono in Valle d'Aosta gli scrittori, gli autori che venivano a presentare i loro libri, da Sergio Salvi a Domenico Canciani, da Edoardo Ballone a Massino Olmi, non si trattò di incontri episodici, ma del frutto di una programmazione e di un progetto. Ecco perché invitavo a guardare al passato. Quelli che oggi si lamentano perché il loro impegno culturale e turistico si scontra con i limiti burocratici ed amministrativi che impedirebbero di fare programmazione e comunicazione, dovrebbero dire a quale programmazione guardano, come vedono il disegno complessivo della proposta turistica e culturale valdostana nella quale intendono inserirsi.

Credo che, prima di tutto, ci vogliano delle idee e non la difesa a tutto campo di eventi specifici: qualcuno ha difeso l'evento letterario Agorà, una sorta di Fiera del Libro e della Letteratura che si svolse negli ani scorsi ad Aosta con buoni risultati e non ebbe, però, continuità; giusto difenderla, ma che senso ha farlo se non si elabora una proposta complessiva che spieghi che cosa dovremmo fare per sintonizzare gli eventi letterari, armonizzando la partecipazione regionale alle Fiere letterarie internazionali e, soprattutto, realizzando incontri con gli scrittori che si tengono in tutta la Valle d'Aosta e che sono occasione di fruizione di eventi di qualità per chi è già in Valle d'Aosta come turista. L'insieme degli eventi letterari proposti in Valle d'Aosta, armonizzati e gestiti dalla comunicazione, farebbero della Valle d'Aosta un punto di richiamo per il turismo culturale: a patto che si realizzi un grande evento. Quindi è inutile difendere o non difendere Agorà o altri eventi nella loro specificità, ma sarebbe utile difendere ciò che rappresentano nella loro complessità.

Ci vogliono delle idee per l'arte perché solo alla fine degli anni 60 qualcuno pensò con intelligenza alla realizzazione di grandi eventi: fu l'assessore Milanesio a proporre la prima grande mostra valdostana, quella di Vedova, volta a qualificare l'offerta culturale e turistica ed a qualifica i nostri castelli che ospitavano quelle mostre e che non avrebbero dovuto ospitare altro che eventi di grande prestigio. Invece abbiamo squalificato le nostre strutture e benché avessimo più strutture di grande richiamo e più idee iniziali di altri, perdemmo di vista l'obiettivo e lasciammo che non lontano da noi sorgesse quel centro di grande richiamo che è la Fondazione Gianadda, senza saperlo anticipare e neppure copiare...che sarebbe negativo, ma almeno dimostrerebbe che sappiamo copiare. Oggi anche le più importanti mostre realizzate dalla Regione hanno il sapore della minestra riscaldata, hanno il senso del déjà vu, come si può pensare diventino motivo di attrazione turistica?

Gli esempi ai quali vorrei rifarmi sono molteplici, ma credo che questi bastino a spiegare il mio pensiero. Sentire Taraglio che critica le istituzioni che non gli consentono di concretizzare meglio Celtica, mi lascia perplesso, non perché non abbia ragione per quanto concerne l'esigenza di una più corretta programmazione, ma perché mi chiedo se sia opportuno condizionare le scelte culturali della Valle d'Aosta e quelle turistiche a mode ondivaghe. Si tratta di fare delle scelte: se per avere dei turisti dobbiamo raccattare di tutto, allora dovremmo aprire il territorio ai rave party, ai raduni in costume dei seguaci di Star Treck o agli appassionati di Elvis Presley, oppure ai seguaci neonazisti di Julius Evola che ha scelto di essere sepolto nel ghiacciai di Gressoney, o ai Pride che radunano il mondo omosessuale.

Taraglio sa bene come la penso sul celtismo e deve riflettere sul fatto che una cosa è un successo ottenuto con un evento non privo di fascino, un'altra è costruire una identità culturale e turistica, basandosi sulle reali potenzialità e ricchezze della Valle d'Aosta. I Celti sono, a mio avviso, una sorta di Gardaland; si badi, adoro Gardaland e la raggiungo spesso perché mi rilassa, ma non riesco a sposare le idee new age; per quanti eventi prestigiosi la manifestazione possa proporre, è il suo spirito a non convincermi. Non mancano a celtica i momenti di discussione approfondita e gli eventi importanti, ma è l'idea che non mi convince: proporre in Valle d'Aosta eventi costruiti su una identità fittizia, quando ne abbiamo una reale.

Come non mi convince il tentativo, neppur troppo velato, di usare le visite del Papa o i raduni calcistici, come attrattiva. Mi pare, piuttosto che tutto ciò nasconda l'incapacità di programmare e, di conseguenza, la scelta utilitarista di cercare eventi clamorosi e di grande richiamo per sopperire alla mancanza di una proposta seria. Si badi, non me la prendo con il celtismo per partito preso, ma fatico ad accettare l'idea che il celtismo sia buono per fare un discorso culturale, religioso, sociale, turistico e folkloristico, dimenticando quali sono i problemi dei popoli le cui origini celtiche costituiscono una parte della caratteristica nazionale che li distingue da altri. E, si badi, fatico ad accettare l'idea che si possa costruire sulla costruzione fittizia di una identità altro che dinamiche new age a mio avviso foriere di troppe "deviazioni", sia in campo politico (i leghismi ed i localismi), sia in campo religioso (le sette), sia in campo sociale (i circoli culturali carnascialeschi e carnevaleschi).

In definitiva non punterei una lira sul richiamo turistico di eventi come Celtica, mentre trovo assolutamente perfetto il lavoro dei fratelli Calì, sempre originali, sempre divertenti, sempre unici, anche se il loro operato non sembra rientra immediatamente nel tipo di discorso che sto affrontando Ma se, da un lato, penso sia opportuno fare della realtà valdostana, con il suo territorio, la sua identità, le sue manifestazioni cultuali autentiche (comprese quelle eno-gastronomiche), il richiamo per attrarre turismo, dall'altro condivido l'idea di diversificare la proposta con attività parallele e/o con proposte del tutto diverse e nuove, purché originali ed uniche. E allora? Ecco che trovo assolutamente indispensabile poter proporre in Valle d'Aosta accanto agli eventi fortemente caratterizzati in senso identitario, anche eventi di altro tipo, purché imperniati sulla originalità, in modo che altri ce li copino, se credono, ma che qui questi nascano e si affermino.

Ecco che sul cinema, mi permetto di riflettere considerando quanto sia importante attivare iniziative legate all'ambiente ed alla montagna, come già avviene, poiché queste rientrano nella valorizzazione della nostra caratteristica alpina. Se, in sostanza, ai turisti proponiamo i nostri alimenti tipici e tradizionali, non è male offrir loro l'immagine di una architettura che sia nostra, di una gestione dell'ambiente che sia nostra, ecc.ecc. Tuttavia, prima ancora di riflettere su tutto ciò, sarebbe indispensabile sapere a chi rivolgiamo la nostra offerta di turismo, qual è il nostro target. E una volta individuato il target bisognerebbe trovare gli strumenti di comunicazione più adatti. Non ho avuto modo di analizzare i contenuti delle ultime campagne turistiche promozionali della Valle d'Aosta, ma una impressione generica l'ho tratta: si tratta di una promozione generica, rivolta ad una utenza non diversificata, come dire spariamo nel mucchio, qualcosa verrà.

Certo non dobbiamo arretrare rispetto alla proposta invernale, con le solite proposte dello sci, della neve e dintorni, ci mancherebbe. Ma dovremmo, comunque, comprendere che se la stagione invernale funzionale e, più o meno, è soddisfacente dal punto di vista del numero dei turisti che arrivano, ecc. ecc., ha davvero un senso impegnare enormi risorse promozionali per cercare altri clienti in questo settore? O non dovremmo andare a cerca turisti per l'autunno, diversificando la proposta ed i costi (già ... i costi!).

COMIZIO ESTEMPORANEO E NON AUTORIZZATO [ su ]

Durante le elezioni

Appartengo a quella schiera di illusi che hanno creduto in una U.V. capace di giocare un ruolo storico, riferito ai valori ed agli ideali dei quali sembrava essere portatrice. In particolare ho creduto che l'U.V. fosse lo strumento politico/partitico di un più grande movimento, un unico forte e coerente movimento valdostano, capace di dare senso ed applicazione alla question valdotaine. Di questo movimento consideravo parte il sindacato, le associazioni culturali, i gruppi giovanili, i gruppi estremi tipo V.A. Libra ecc. in una parola l'intera società valdostana che riconosceva l'esistenza di una nation.

Non è questo lo spazio per spiegare che il termine non deve esser inteso come proposta di costituire uno Stato o che l'indipendentismo che ne consegue non è altro che la capacità morale, culturale, intellettuale di ragionare in modo coerente autentico ed indipendente dalle mode, dalle tendenze e dai limiti istituzionali...Questa è tutta "roba filosofica" che faccio nei miei studi e nelle mie pubblicazioni, dove spiego anche la concezione "inclusiva" di questi concetti, il fatto - cioè - che, come diceva Bruno Salvadori, "essere valdostani non è una questione di razza". Non è neppure lo spazio per le dichiarazioni di voto, poiché spero che la stagione elettorale lasci spazio ad una stagione di confronto politico vero e proprio, ad una sorta di nuova réunification, alla vera e non elettoralistica creazione di un solo movimento autonomista, ecc., ecc.

E' lo spazio, però, per ricordare a chi afferma che oggi nell'U.V. esisterebbe una situazione di disagio legata all'egemonia di Rollandin, che questo disagio risale ad almeno 15 anni or sono e che 15 anni or sono molti unionisti iniziarono a non rinnovare la loro adesione, a lasciare l'U.V., a cercare altre strade ed altri sbocchi politici. Fatico ad aver fiducia in chi si avvede solo oggi di questo disagio e che durante i 15 anni di storia del disagio unionista ha continuato a ricoprire piccoli e grandi incarichi politici, presidenze, assessorati, direzioni, ecc. ecc. Dico questo perché se l'azione dell'U.V. fosse, come credevo, un'azione per la storia, allora le meschinerie, le scorrettezze, gli errori, le scelte incomprensibili, non sarebbero altro che l'inevitabile effetto secondario dei limiti degli uomini, comunque al servizio di una strategia più grande e moralmente sostenibile.

Mi avvedo, però, che quella strategia non c'era. Spero ci sia in futuro ed aspetto che gli uomini di questa e quella parte se ne riscoprano indispensabile strumento e non più, opportunisticamente, egoisti utilizzatori. Chanoux diceva che il faut etre très bas pour regarder très haut, cominciamo allora a guardare in alto. Cito Chanoux solo per ritrovare un forte riferimento ideale ad una azione che non è può essere solo una azione politica o partitica: l'U.V. è solo - come dicevo - uno degli strumenti, quello politico, cui si devono affiancare il Sindacato, le organizzazioni culturali e giovanili, ecc. ecc., ma forse la crisi è più generale e allora mentre la crisi politica ottenere il clamore della cronaca, quella ideale sta scrivendo la parola fine alla storia di una nazione.

IL DISAGIO VIENE DA LONTANO [ su ]

Dopo le elezioni

Analizzare i problemi dell'U.V. seguendo lo schema Vallet e - cioè - considerando che si presentino solo "à partir...des éléctions...de... 2003" è sbagliato: per meglio dire, l'analisi di Vallet è lucida, chiara ed onesta, ma poggia su presupposti sbagliati. Uno, in particolare, l'errore di fondo del suo elaborato: non dire assolutamente nulla di cosa questi problemi abbiano provocato. Prima di guardare agli interessi di parte, infatti, bisognerebbe valutare se quei problemi hanno causato, oppure no, ricadute negative per la popolazione: senza quei problemi la Regione avrebbe lavorato meglio? E se si, cosa avrebbe potuto fare, cosa avrebbe dovuto fare e, invece, non ha fatto a causa di quei problemi? E', infatti, impossibile pensare che in un momento di così pesante tensione interna, l'amministrazione pubblica abbia potuto funzionare al meglio e ai cittadini siano stati ugualmente assicurati gli interventi migliori e più adeguati.

Non vorrei, di conseguenza, concludessimo che - sostanzialmente - la sola cosa che non funziona è che nell'U.V. c'è un dittatore; vorrei sapere, e vorrei lo si facesse sapere ai valdostani, se a causa di questa situazione non è stato possibile affrontare questa e quella criticità, risolvere questo e quel problema. Se il solo problema fosse la "dittatura" Rollandin, certo potremmo e dovremmo trovare una via di uscita e schierarci, ma non potremmo onestamente dare al confronto una importanza maggiore di quella che ha. Non fino a quando tutte le verità siano state espresse: e da parte degli oppositori di Rollandin sento parlare di così tante situazioni gravi addebitabili a Rollandin che mi aspetto, anzi pretendo, sia fatta chiarezza in proposito, poiché detesto la cultura del sospetto.

Nelle analisi dei contestatori che stanno lasciando l'U.V. alla spicciolata, accentuando l'effetto "disfatta", invece, non c'è l'analisi puntuale delle conseguenze dell'iper-centralismo di Rollandin: la discussione sembra quindi, riferita soltanto agli equilibri interni all'U.V. Un movimento che è giunto al massimo storico dei suoi consensi può ragionevolmente entrare in crisi in questo modo, senza che tutti se ne sentano, in qualche modo responsabili, visto e considerato che tutti ritengono di aver fattivamente contribuito a renderlo possibile? L'U.V. ha approvato tesi congressuali, piani di intervento amministrativo, programmi di maggioranza, ecc. ecc., assumendo decisioni in merito alle quali non sento dire nulla di negativo. Leggo, quindi, le criticità, ma nessuno sembra sentirsene compartecipe e corresponsabile, scaricandole tutte su Rollandin, come se lui solo fosse stato al potere e tutti gli altri all'opposizione... Leggendo la schema Vallet, sembrerebbe che basterebbe gestire meglio e più democraticamente il movimento. Non sono affatto d'accordo.

Prima di tutto perché le difficoltà di questa democratizzazione interna nascono dal fatto che Rollandin è leader unico, riconosciuto dai suoi fedelissimi e dai suoi estimatori, mentre i suoi oppositori sono una entità informe, costruita da tanti tasselli indipendenti e da tanti leader; altrimenti la loro uscita dall'U.V. sarebbe stata effettuata in massa e non individualmente ed in modo politicamente frammentato, goccia a goccia, come - invece - è avvenuto e continua ad avvenire. I vari Caveri, Viérin, Vallet, ecc. sono dei leader, ma hanno influenza minore o hanno avuto influenza minore di quella esercitata da Rollandin; l'ultimo grande leader carismatico di spessore analogo a quello di Rollandin, è stato, infatti, Andrione e l'U.V. ne è ancora orfana Non sono affatto d'accordo, argomentavo sopra, perché i problemi interni all'U.V. risalgono ad una epoca ben più lontana del 2003 e sono più gravi e profondi di quelli analizzati da Valletù breve, soprattutto perché non ne è responsabile un solo personaggio, ma l'intera U.V. Se, infatti, potremmo - al limite - concludere che i fatti evidenziati da Vallet, sono il frutto negativo della egemonia rollandiniana, in nessun modo potremmo sostenere che tutti i problemi dell'U.V. hanno quella stessa matrice.

Più che una analisi politica, allora, sarebbe indispensabile una analisi "storica" che renda evidenti i momenti ed i problemi che hanno determinato il nascere, in seno all'U.V., di quello che è stato definito "malaise". Se diamo per scontato il fatto che la "questione morale" posta da E. Chanoux jr, fosse da liquidare perché infondata; e se consideriamo poco significativa l'uscita dall'U.V. di personaggi come Tamone, Danna, Grosjacques che lamentavano il tradimento degli ideali, allora - inevitabilmente - non potremo far altro che deridere ogni voce di dissenso che pur si è espressa anticipando di almeno 15/20 anni le argomentazioni di Vallet.

Certo Esprit Valdotain e Indépendantistes, per non citare che alcuni dei movimenti spontanei nati per contrastare il vuoto di ideali in casa U.V., non sono riusciti a diventare movimenti di massa, perché non hanno avuto l'appoggio dei maggiorenti della politica unionista; questi, tutti, sono rimasti saldamente nell'U.V., tutti sistemati in Giunta, in Consiglio, nel sottogoverno e con incarichi dirigenziali, tutti zitti sul malaise che non solo serpeggiava, ma esplodeva, tanto che - poco a poco - e da parte di alcuni con colpevole ritardo, la lista dei fuoriusciti si è ingrossata, potendo infine contare su personaggi importanti come Bétemps, Andrione, ecc. ecc. Quando l'U.V. si riunificò alla fine degli anni 70 e convocò il proprio Congres National, poggiò la riunificazione su tesi e proposte "forti" che davano una dimensione moderna ai principi statutari fissati nel '45, inserendoli in una dinamica che segnava il "ruolo storico" dell'U.V. in Valle d'Aosta, in Italia, in Europa.

Più che il dettaglio delle tesi di quel Congresso, è importante rilevare proprio quel fatto: il ruolo storico dell'U.V. L'U.V. nacque in un momento epocale molto complesso e può essere considerato il solo movimento che poteva essere costituito in quel frangente: l'Italia si ricostruiva sotto il controllo degli alleati e in nessun modo avrebbe potuto esser proponibile fare della Valle d'Aosta uno Stato a se, un Principato, un Cantone Svizzero o un Dipartimento francese: l'U.V: moderò i termini della rivendicazione politica. La storia ha consegnato, però, all'U.V un ruolo: fissare nei suoi Statuti i valori di riferimento di una azione democratica, attraverso la quale raggiungere, in futuro, quegli stessi obiettivi politici ed istituzionali che la situazione non consentiva di attuare immediatamente.

Il dibattito statutario dimostra che lo Statuto di Autonomia fu considerato negativamente dall'U.V.: troppo fragili i contenuti rispetto alle richieste, troppo complessi i meccanismi di "dipendenza" burocratica e finanziaria dallo Stato. Di nuovo furono le ragioni contingenti a costringere l'U.V. ad operare almeno per attuare integralmente quello Statuto, fermo restando l'obiettivo di migliorarlo o cambiarlo, quando il momento storico lo avesse reso possibile. Il primo tradimento dell'U.V. è stato adeguarsi a conquiste statutarie minime e finire, come siamo finiti, col celebrare l'autonomia come un evento "storico", un punto di arrivo, senza aver conservato neppure una piccola aspirazione morale che dovrebbe farci dire che quello Statuto frenò i nostri aneliti più autentici.

Il ruolo dell'U.V. avrebbe dovuto essere conservare integri, i valori di quel composito mouvement valdostano che, nel nome del diritto alla autodeterminazione, poteva accettare, al più, un "patto" con lo Stato, un patto chiaro, ma non certo una concessione paternalistica di diritti residui. Preservare i valori e rendere possibile quell'épanouissement di cui parlano gli Statuti, significava aderire all'insegnamento di Chanoux e promuovere il federalismo. Con questo ruolo "storico", l'U.V. è diventata la seconda pelle, la seconda anima dei valdostani di origine e, con sempre maggior evidenza, anche di quelli di adozione, soprattutto in considerazione di quella intuizione, espressa da Salvadori, che dichiarò "etre valdotain n'est pas une question de race".

Diciamoci, tuttavia, il vero, non è che tutti gli unionisti abbiano digerito appieno questa nuovo presupposto identitario e, spesso, la grettezza e l'orgoglio hanno portato ad esprimere posizioni di difesa etnica ridicole: l'incapacità di leggere e di valorizzare il passato preistorico della Valle d'Aosta, ad esempio, che ci ha visti essere anatolici, prima che celti e romani, è una pagina culturale tutta da riscrivere, poiché troppi valdostani ne respinsero la verità storica. E per troppi il simbolismo dei Salassi è stato letto come il segno antesignano di uno scontro invitabile tra l'U.V. e i partiti romani. Nulla di più sciocco, soprattutto, se si pensa che stiamo difendendo i diritti dei "valdostani", cioè degli abitanti della Valle di Augusto, l'imperatore romano che sottomise i Salassi; siamo - quindi - anche semanticamente più "romani" di quel che vorremmo...e più sudditi di Augusto di quel che crediamo...

Tuttavia se quello era l'obiettivo storico dell'U.V., in nome di quello gli unionisti hanno sempre attribuito ai leader uno spazio rappresentativo e decisionale notevole, soprattutto quando questi leader sono stati molto carismatici. I leader politici hanno avuto anch'essi un ruolo storico del quale, forse, neppure sono stati pienamente consapevoli: hanno sostituito il notabilato di riferimento secolare che metteva il popolo valdostano ai piedi del prete, del nobile, dell'avvocato e del notaio. Mentre Andrione rappresentava la buona borghesia urbana post-notabile, Rollandin ha spezzato l'egemonia notabile urbana e ha rappresentato l'accesso al potere il mondo contadino.

In questo modo l'U.V. è diventata traghettatrice degli ideali e i politici dell'U.V. sono diventati traghettatori della democrazia. Traghettare gli ideali era assolutamente necessario, poiché alcuni aspetti della vita tradizionale valdostana (ben espressi da modi di dire quali "Cogne rondze Cogne"o dallo sfruttamento dei più deboli con l'usurante ratzet, riuscendo addirittura a mantenere il rispetto dello sfruttato, indotto a sentirsi in colpa e obnubilato dal senso di inferiorità accentuato dall'uso di classe delle lingua francese) erano assolutamente da rileggere e da superare. Traghettare la democrazia era altrettanto difficile, poiché l'autonomia non poteva essere forma istituzionale da affidare ad un leader soltanto, ma imponeva un presupposto: la condivisione e l' impegno collettivo.

In virtù di questo ruolo non meramente contingente, ma - appunto - "storico" dell'U.V., nessun unionista ha dato mai gran peso alle questioni giudiziarie o personali che hanno via via interessato i leader: i guai di Andrione sono stati letti come una persecuzione della magistratura, quelli di Rollandin anche, ma... Ma è almeno da quando Andrione cadde in disgrazia e Rollandin prese il suo posto che all'interno dell'U.V. si è fatta spazio una presa di coscienza diversa e disincantata. Prima di leggere l'evidenza del fatto che un guaio con la magistratura è un guaio con la magistratura e basta e che in queste vicende non possiamo leggere - per forza - gli effetti di uno scontro titanico tra valdostani e italiani, gli unionisti hanno passato una fase intermedia: Andrione è innocente, Rollandin è colpevole e viceversa, questo il pensiero degli unionisti, queste le due U.V. che sono nate, più o meno, tra il 1985 ed il 1990.

E' assolutamente evidente che in politica criminalizzare è scorretto ed è assolutamente evidente che un amministratore può incorrere in guai anche quando è corretto. Ma con Rollandin è successo qualcosa di diverso, perché, approfittando dei problemi di Andrione, a poco a poco egli ha emarginato tutta la struttura politica, culturale ed amministrativa che aveva per riferimento Andrione, soppiantandola con uomini di propria fiducia e ciò facendo non si è peritato di appoggiarsi a uomini che non erano di provata fede unionista. Emerge, in questa situazione, la conseguenza che ci siamo trovati all'avvio di una lotta interna, incentrata sul fatto che certi ricatti, certe pressioni, certe decisioni unilaterali a favore o contro le persone e persino a favore o contro gli amici, che fan parte dei comportamenti di Rollandin, sfuggono alle maglie della legge e perfino della morale, ma esprimono una valdostanità tribale; evidenziano la sopravvivenza di una mentalità notabilocentrica che sorprende in Rollandin, perché non è di estrazione notabile.

Abbiamo assistito, allora, addirittura, all'inversione dei valori/disvalori culturali tradizionali e, in politica, ad un altro tipo di inversione ugualmente incomprensibili: i tradizionalisti/conservatori dell'U.V. si alleano con la sinistra, i progressisti/rinnovatori restano all'estremo centro, i leader diventano figure egemoniche para-fasciste o, quanto meno, peroniste e populiste. Mentre Andrione si ritirava a vita privata, salvando appieno la sua immagine persona comunque onesta, Rollandin è diventato, il nemico di una parte dell'U.V. che ha finito con leggere i suoi guai giudiziari come un segno di disonestà e, addirittura, con il considerare alcuni dei suoi problemi come quelli legati al voto di scambio, come un segno di decadimento morale: salvo accettare tutti i benefici personali derivati dal fatto che, con quei voti, l'U.V. diventava più forte e conseguiva più posti di potere.

Nessuno ha mai avuto il coraggio di affermare e di pretendere che Rollandin stesse fuori dai posti decisionali nell'U.V. perché è disonesto, o perché si riteneva lo fosse, ma molti hanno approfittato della crescita dei consensi attribuiti all'U.V. in buona parte grazie al clientelismo rollandiniano, creandosi una nicchia nella quale hanno raccolto il consenso degli unionisti più puri, fortemente motivati dalla necessità di controbattere Guste, mentre gli amici di Guste facevano - da posizioni inverse - lo stesso gioco. E per lungo tempo molti, anche molti unionisti, hanno sperato che a toglier spazio a Rollandin non fosse l'effetto di una seria opposizione interna, ma la Magistratura...peggior dei peggiori atteggiamenti umani e politici. Per assurdo Rollandin era stato valorizzato da Andrione. Per assurdo Viérin e Caveri sono stati valorizzati da Rollandin. E per ognuno dei leader che oggi parlano, escono o stanno sulla porta d'uscita, c'è una storia personale più o meno chiaramente legata alla loro collocazione in questi "giochi".

Questo è un fatto "normale" in politica e lo sarebbe ancor più se l'U.V. fosse rimasto un movimento volto a realizzare un progetto storico; se quello era l'obiettivo, la verità sulla innocenza o sulla colpevolezza di Rollandin sarebbe un fatto irrilevante, al più andrebbe considerato come un problema inevitabile, perché a far politica sono pur sempre gli uomini, gli uomini possono sbagliare, gli uomini sono sempre più o meno coerenti, più o meno onesti. Quel che conta sarebbe l'apporto che questi uomini... con i loro limiti e con i loro difetti, danno concretamente alla ...causa. Il riferimento agli ideali, quindi, questo è il metro per valutare le responsabilità interne all'U.V., perché altrimenti dovremmo restare su un piano diverso e, precisamente, su questo piano: se Rollandin è un delinquente se ne deve andare, ma a denunciarlo devono essere tutti quelli che in Giunta con lui o al potere con lui, se pur in posizione di distacco in un percorso pur sempre parallelo al suo, conoscono verità nascoste. O sanno e denunciano, oppure devono tacere.

E su questo: se l'analisi dei problemi interni dell'U.V. evidenzia dati sui danni politico-amministrativi causati ai valdostani da questa lotta interna, allora questi devono essere esplicitati e descritti, anche proponendo cos'altro si può e si deve fare. Ma questa analisi nel documento Vallet non c'è. Si fa solo una analisi dei problemi politici interni, sostanzialmente ammettendo che la qualità della azione amministrativa è stata buona e che i problemi (con le conseguenti crisi, i rimpasti ed i ritardi) sono stati affrontati e risolti nel migliore dei modi. Se così fosse ci sarebbe da chiedersi di chi è il merito. Sarei propenso a riconoscerne almeno una parte a Viérin e a Caveri, ma così facendo dovrei concludere, e portare i lettori a farlo, che solo la sinergia tra i leader, Rollandin e c., rende possibile affrontare seriamente e positivamente i problemi e che la questione interna all'U.V. è puramente una questione di potere.

Lo è perché se Rollandin non è un delinquente e se i risultati dell'azione politico-amministrativa sono comunque positivi, non vedo cos'altro si debba cercare se non una nuova armonia tra i leader. I risultati elettorali hanno segnato, comunque, la pesante sconfitta di Rollandin. Questi risultati dimostrano che qualcosa sta cambiando negli unionisti. Soprattutto per quanto concerne gli atteggiamenti culturali: si comincia a non riconoscere più il valore di un solo leader, ma ci si avvede che la democrazia interna poggia sulla valorizzazione di più leader; a ben vedere, del resto, il successo dell'U.V. poggia, in parte, anche su questa leadership diffusa. Rollandin non ha compreso questo mutamento culturale in atto, ma gli altri lo hanno capito davvero? Oppure credono che solo una complicata alleanza tra "correnti" diverse antirollandiniane può far fuori Rollandin e cambiare la situazione in un modo o nell'altro, non importa neppure in quale, non importa neppure se ciò comporterà un grave ridimensionamento elettorale dell'U.V. alle prossime regionali?

Poiché Rollandin non è uno stupido, dobbiamo chiederci se davvero non ha capito o se, ancora, fa conto sul fatto che i suoi avversari non sono affatto uniti, per cui alcuni sono ancora dentro all'U.V., altri stanno con il neosenatore Perrin senza scegliere il movimento di Louvin, altri ancora stanno con Louvin stesso ed altri se ne stanno in disparte. O dobbiamo chiederci se, diversamente da tutti gli altri, Rollandin abbia un progetto che, alla fin fine potrebbe anche risultare vincente, proprio perché gli altri hanno come solo progetto sbarazzarsi di lui. Evidenziavo che Rollandin, smontando la struttura regionale ed interna all'U.V. creata da Andrione, si è attorniato di collaboratori spesso non unionisti; questi sono tanto esterni all'U.V. da sostenerlo come si sostiene il capo di una lobby, perché attraverso di lui passano progetti economici, politici e culturali che sono convenienti per loro, per una lobby grande e forte. Gli altri hanno solo lobby più piccole e ancor più piccole motivazioni personali.

C'è una lobby più forte di quella di Rollandin? certo! E' il popolo valdostano intero, che definisco lobby solo per pura contrapposizione ed esemplificazione. Nell'U.V. esisteva e dovrebbe esistere una scala di valori, indispensabile a farne lo strumento per attuare un progetto storico: in primo piano ci sono i valori, poi la cultura, poi la politica, poi l'amministrazione. Su un altro piano, tuttavia, non trovo nessuno degli schieramenti in campo in grado di potersi ergere ad accusatore: rispetto agli ideali la lista dei traditori è, infatti, lunga, ... e sia chiaro che utilizzo un termine duro, al solo scopo di rendere più chiaro il mio discorso. La lista non è solo lunga, ma è anche datata e questo ci riporta all'analisi del documento Vallet per dimostrare concretamente che è sbagliato analizzare i problemi come se fossero cominciati nel 2003 o pochi anni prima.

Dopo la riunificazione di tutte le sue frange, scisse perché infastidite dallo strapotere di Severino Caveri e dall'invecchiamento del modo di concepire l'azione, per rilanciare il primato dei valori l'U.V. realizzò nel 1979 il suo primo Congrès National, approvando tesi forti ed inequivocabili, senza le quali restare coerenti con i principi ed i valori espressi negli Statuti dell'U.V., non sarebbe stato possibile o non lo sarebbe stato in modo coerente e moderno. Ebbene, appena fissati questi principi tra i quali c'era il ruolo della Valle d'Aosta in Europa, l'U.V. affrontò le prime elezioni del Parlamento Europeo senza che i suoi esponenti di spicco ne comprendessero l'importanza e si impegnassero in campagna elettorale. L'U.V. affrontò la campagna elettorale in un modo davvero desolante: ai leader importavano i posti che la riunificazione assegnava, pochi si mossero davvero e un risultato che era possibile ottenere, sfuggì di mano all'U.V. ed alla Valle d'Aosta che, ancora oggi, si lamenta di non poter avere un Parlamentare Europeo.

In queste ultime settimane, mentre l'U.V. si spaccava alle politiche, i partiti autonomisti di tutta Europa costituivano l'Alliance Libre Européenne, o meglio la ricostituivano, perché questa nacque alla fine degli anni 70 con l'apporto determinante dell'U.V., oggi unico grande assente tra i movimenti autonomisti europei. Ecco che, allora, ci viene in aiuto, di nuovo, l'analisi storica: l'U.V avrebbe dovuto tessere reali rapporti politici in Italia e in Europa per la trasformazione dello Stato in senso federale e per la nascita dell'Europa dei Popoli. Ha fatto, in realtà, troppo poco e troppo male. Anche i rapporti con i sardi che nell'84 e poi nell'89 conquistarono con l'U.V. un posto al Parlamento Europeo, non sono stati spiegati adeguatamente ai valdostani e agli unionisti. Non sono i sardi a non rispettare i patti, è stata l'U.V. a non aver messo l'impegno necessario per giungere a patti chiari e, soprattutto, per dimostrare di credere davvero in quella alleanza politica costruita in Italia e in Europa.

Ai leader dell'U.V. l'Europa non interessa, per cui i rapporti per costruire qualcosa di positivo sono sempre stati aleatori: per le prime europee, quando una Commissione parlamentare deliberante guidata dai socialisti, doveva approvare a Roma la legge elettorale per il Parlamento europeo, furono inviati a Roma due unionisti, il primo assolutamente estraneo alla questione, il secondo figura culturale priva di ruolo politico vero. Fu un disastro e, del resto, la possibilità di far approvare un qualche meccanismo elettorale che consentisse ai valdostani di essere rappresentati al Parlamento Europeo, non poggiava su nulla, né sull'intervento sollecito dei Parlamentari a Roma, né su adeguate pressioni del Governo regionale; a Roma: c'erano, sì, gli appelli e le mozioni del Consiglio regionale, ma allo Stato non si strappa nulla con le sole parole.

Nelle trattative delle successive elezioni europee, poi, per accordarsi con i sardi, mentre la fase finale fu affidata adeguatamente a J.C. Perrin, altri importanti momenti furono gestiti in modo vergognoso! Ad una riunione a Roma, presso la sede della Regione Autonoma Valle d'Aosta, parteciparono tutti i dirigenti ed i Parlamentari del Partito Sardo, Mario Melis in primis mentre l'U.V. era rappresentata da un solo portavoce che, non essendo neppure membro del Comité Exécutif, aveva il mandato di restare in continua comunicazione telefonica con Tamone per assumere posizioni adeguate e decisioni conseguenti. L'accordo finale fu firmato in altra occasione, nella quale fummo più degnamente rappresentati, ma demmo sicuramente l'esempio di essere degli sbandati.

La rotazione non funzionò. E' storia vera, però, che il primo passo di Michele Columbu, eletto nell'84 nel Parlamento Europeo, fu di arrivare ad Aosta subito dopo lo svolgimento della prima seduta del Parlamento Europeo. Fu ricevuto dal solo Tamone che lo alloggiò a Nus Saint-Barthélemy, dove Columbu non ebbe altri abboccamenti politici significativi e da qui se ne ripartì con la sensazione che l'U.V. lo snobbasse e non avesse nessuna seria intenzione di confronto, mostrando di tenere solo a far scattare la rotazione e a parlare di fondi europei. E l'U.V: teneva così tanto a quei fondi, da accettare, come compensazione della mancata rotazione, lo storno di alcuni fondi con i quali poté pagare un proprio funzionario che operava, però, ad Aosta.

Questo scarso impegno nel rispetto e nella valorizzazione degli ideali, ha molteplici riprove ed ha, in particolare, una conseguenza, in parte legata alla morte di Salvadori, che gestiva il discorso in primis, in parte legata ad un dopo Salvadori che ha visto l'U.V. deludere tutti gli alleati: questi, in Italia, l'avevano vista come un movimento capace di attuare una trasformazione politica complessivamente favorevole ai diritti delle minoranze, ma dopo aver spinto e motivato ideologicamente la nascita e la rinascita di movimenti autonomisti ed anticentralisti, l'U.V. si è tirata indietro, lasciando spazio all'avventura leghista. Questa è la responsabilità dell'U.V. rispetto alla Lega: non tanto averne ispirato e determinato la nascita, ma averne permesso la deriva. La Lega è diventata il peggior nemico della tutela delle lingue e del federalismo, in buona parte perché abbiamo rinunciato ad esercitare una leadership ideale e politica che, in Italia, le avrebbe tolto spazio e credibilità.

La candidatura di Caveri alle europee (che fece seguito a quella di Stévenin, anch'egli praticamente lasciato solo a gestire una campagna in giro per l'Italia) è stata, poi, la botta definitiva alla possibilità di condurre una battaglia politica fortemente ispirata a valori concreti e non inquinata da opportunismi e qualunquismi più difficilmente evitabili nella politica quotidiana. Per questo si è trattato di una scelta gravemente negativa, in quanto contraddittoria rispetto agli ideali sventolati ed alle aspettative dichiarate rispetto all'Europa. Il meccanismo dell'apparentamento che avrebbe consentito all'U.V. di accedere al parlamento Europeo legandosi ad un partito italiano, non era, infatti, la sola opportunità per accedere concretamente al P.E. e, comunque, era sempre stato respinto, poiché l'U.V. proclamava di non sentirsi in sintonia con nessuno dei partiti stato-nazionali.

Caveri divenne Parlamentare Europeo grazie ad un apparentamento, ma non credette abbastanza all'importanza di quel ruolo, tanto da dar le dimissioni prima dello scadere del mandato per calarsi nella politica valdostana, giocando una carta importante per raccogliere un ampio consenso personale: la sua esperienza nel Parlamento Europeo e quella nel Parlamento italiano che lo aveva portato addirittura ad esser designato vice-ministro (per così dire) del Governo D'Alema. Di tutto ciò e di molte altre cose contraddittorie in relazione agli ideali, nell'U.V. non si è mai parlato. In tutto ciò Rollandin c'entra assai poco, se non come artefice di un disegno politico complessivo nel quali tanti, troppi si sono riconosciuti, forse senza avvedersi di quanto si stessero allontanando da una politica basata sul rispetto degli ideali.

E mentre tutto ciò avveniva, l'U.V. presentava un progetto di legge elaborato da Louvin per la trasformazione dello Stato in senso federale, progetto la cui miopia ed il cui pressappochismo costituivano un palese tradimento di quanto esplicitato nel Congrès national dell'U.V., addirittura appiattendo il significato della specialità e dell'identità nazionale valdostana, formulando una ipotesi secondo la quale ogni Regione era una Repubblica e una Nazione, quindi un tassello insostituibile della nuova organizzazione federale dell'Italia; dimenticando, inoltre, l'artificiosità della composizione territoriale delle regioni, l'esistenza di vere e proprie nazioni non solo senza stato, ma anche senza regione, l'inesistenza culturale e storica di intere regioni alla quali l'U.V: offriva gli stessi diritti di un nazione storica.

Questo fatto evidenzia, inoltre, che i leader dell'U.V. e, di conseguenza, la base, non hanno assolutamente una chiara concezione di cosa sia il federalismo e di come il federalismo possa render possibile la realizzazione delle aspettative (e degli ideali) degli autonomisti e delle minoranze. Se, come l'U.V. affermò al Congrès national, la Valle d'Aosta è una nazione, non è possibile produrre proposte di legge come quella di Louvin nelle quali questo specifico identitario è autoridimensionato e si tenta di salvare capra e cavoli giocando sul significato dei termini come se popolo, nazione, minoranza, da un lato e, decentramento, federalismo, autonomia, autodeterminazione, indipendentismo dall'altro fossero sinonimi di una generica definizione dell'anelito di libertà.

Sulla difesa della lingua, poi, le contraddizioni ed i tradimenti sono stati ancor più evidenti. L'unica concreta iniziativa di promozione e di valorizzazione (ma purtroppo solo in termini economici) della particolarità linguistica è stata l'introduzione nel pubblico impiego della indennità di bilinguismo: mai, come da allora, l'uso del francese in Regione è abbandonato, mai come da allora nessuno parla contro il francese, ma... E la lingua valdostana? Mentre tutti i movimenti autonomisti d'Europa chiedevano la standardizzazione della loro lingua, per renderla uguale alle lingue dominanti ed ugualmente fruibile, utilizzabile ed insegnabile, in Valle d'Aosta esponenti di primissimo piano del dibattito culturale, come Alexis Bétemps, sostenevano che il franco-provenzale non poteva essere considerato una lingua.

Di conseguenza, l'U.V. nulla ha fatto affinché lo Stato applicasse l'articolo 6 della Costituzione che prometteva tutela alle lingue delle minoranze e nulla ha fatto perché nelle dinamiche Europee quella stessa tutela trovasse spazio. Fino a quando lo Stato italiano, se pur con 60 anni di ritardo, ha approvato norme di tutela, indicando l'esistenza del fp fra le lingue e fino a che anche l'Europa ha fatto altrettanto, predisponendo addirittura finanziamenti per la tutela delle lingue, fra le quali c'è il fp. Sì che l'U.V. ha dovuto affermare, ad un certo punto, che in Italia il fp era lingua, ma solo in Piemonte e nelle Puglie, non in Valle d'Aosta, mentre ha usato fondi europei, stanziati per la tutela delle lingue, realizzando iniziative a sostegno del fp che non considerava essere una lingua. Contraddizioni da ridere? Non direi proprio, parlerei piuttosto di struggenti miopie. Anche rispetto ad altre questioni nella quali la traduzione in fatti concreti degli ideali avrebbe potuto essere facile ed immediata, l'U.V. è parsa se non contraddittoria, certo tentennante.

Sui Walser abbiamo fatto pena. La Valle d'Aosta ha avuto un consigliere regionale walser solo quando, quasi per caso, un walser è stato eletto nella lista della Lega; l'U.V. avrebbe potuto produrre una legge chiara per favorire l'accesso di un walser in Consiglio regionale, ma ha complicato tutto con dispositivi che hanno dimostrato quanto poco tenesse a cuore la soluzione del problema. Con i walser le complicazioni legislative sono state del tutto simili a quelle che lo Stato ha posto in essere contro la possibilità che i valdostani abbiano un parlamentare europeo. Sullo Statuto di Autonomia è stato anche peggio! Non si ritrovano testi, saggi o studi nei quali si possa capire come l'U.V. pensi di poter e di dover cambiare lo Statuto di autonomia. La Commissione Nicco ha licenziato una proposta di revisione molto istituzionale con il risultato assolutamente demenziale di considerare lo Statuto come il risultato del concreto esercizio del diritto alla autodeterminazione.

Ancora una volta tra principi, valori, ideali e fatti concreti, l'U.V. ha mostrato di non avere le idee chiare. Di più. La Commissione Nicco ha lavorato, ma si tratta di una Commissione istituzionale; quali sono state le indicazioni, le riflessioni, le progettualità prodotte dall'U.V.? Nessuna. Rollandin è certamente venuto meno alla lotta per gli ideali, ma gli altri non hanno fatto meglio. Lui ha dimostrato di non crederci, tanto che ho polemizzato - da solo - con lui, nelle pagine de "La Stampa", proprio sul fatto che ha dichiarato di non considerare la Valle d'Aosta una nazione, senza spiegare, perché questo passaggio non sia stato argomentato in nessun congresso e, soprattutto, come sia possibile tenere congressi che si definiscono nazionali, per un movimento che non riconosce di rappresentare una nazione. Ma lui è stato chiaro, rozzo, ma chiaro. Gli altri evocano continuamente gli ideali, ma li tradiscono o non li applicano.

Le parole con le quali si esprimono gli ideali hanno ancora una grande forza evocative nella base unionista: c'è uno zoccolo duro di unionisti che considera l'U.V. come una seconda pelle, una seconda anima, anche se non si preoccupa di sapere, di capire che cosa significhino davvero quelle stesse parole. Corrono dietro a leader che sventolano gli ideali e si ritrovano, come si sono ritrovati, a render possibile una colossale fregatura come l'Europa e la Costituzione Europea, approvata dall'U.V. anche se questa Costituzione nulla dice sulle autonomie e sulle lingue e quando parla di popoli, in realtà parla di Stati. Sul piano delle attività culturali svolte dalla Regione Autonoma Valle d'Aosta, non possiamo non constatare quanto sia avanzata, promossa da amministratori unionisti, la cultura italiana. Mai come in questi tempi. Tanto che, infine, abbiamo addirittura finanziato un film in lingua italiana su Chanoux, nel quale un attore impersona uno Chanoux perfettamente italofono...

Perfino sul piano delle attività sociali e socioassistenziali, notiamo, da tempo, ormai, una apertura di credito a favore di cooperative esterne alla Valle d'Aosta, quasi che, come già avviene da troppo tempo con l'industria, sia accettata e promossa dall'U.V. la logica che ciò che viene da fuori valle è meglio di ciò che nasce qui. Di tutto ciò e di molto altro che potrei argomentare in modo dettagliato, non c'è traccia nei discorsi che si limitano ad analizzare e a contestare lo strapotere di Rollandin...soprattutto dal 2003 ad oggi. Far partire l'analisi dal 2003 fa comodo a tutti quelli che, fino ad allora, non hanno parlato ed hanno accettato posti e prebende, partecipando infine alla ubriacatura del successo elettorale. Il che vuol dire, sostanzialmente, che solo la lotta per la gestione del grande potere attribuito dagli elettori all'U.V. è cominciata da poco, mentre i problemi sono altri e sono più datati. Se questa situazione può essere formulata e diventare elemento centrale di una riprogettazione unionista, questo è stato possibile per il silenzio degli intellettuali. Ammesso che l'U.V. ne abbia.

Non si può crescere, come l'U.V. è cresciuta, senza un progetto politico capace di armonizzare il vecchio e il nuovo, mantenendo stabile la barra sull'obiettivo primario, fissato negli Statuti. Sono forse da considerare intellettuali tutti coloro che ancora si applicano allo studio e all'analisi della civilisation d'antan? Sicuramente i loro studi sono da considerare meritori, ma - forse perché appartengono tutti all'area AVAS/BREL -, si tratta di persone che sembrano ormai rassegnate al fatto che la Valle d'Aosta non ha un futuro e che, quindi, è il momento di salvare la memoria del passato. Ma chi altri, sulla scia di Chanoux, va oltre, discute e propone temi politici, dando nuovo respiro agli ideali? Il SAVT, un tempo stampella dell'U.V. in rapporto di reciprocità, è troppo timido e se non ha una cinghia di trasmissione diretta con l'U.V:, ha più cinghie di collegamento con i suoi leader, con il risultato che in un silenzioso ed indolore braccio di ferro, vive al suo interno le stesse tensioni dell'U.V: e per non farle esplodere si rassegna all'immobilismo.

Gli ultimi studi sul federalismo sono firmati da Salvadori e, forse, sono dovuti a Perrin, ma risalgono a 25 anni or sono, eppure da 40 anni abbiamo in Valle il più grande centro studi europei sul federalismo. Per ipotizzare qualche innovazione statutaria, la Regione fa ricorso ad uno studioso di grande levatura, il professor Onida, costoso, celeberrimo e in gamba, ma sicuro riferimento negli anni 70 dei Democratici Popolari, quindi portatore di una forma di autonomismo che allora l'U.V. respinse, come respinse l'esperienza D.P. nella convinzione che non potessero esistere due movimenti autonomisti in Valle d'Aosta, ma ne dovesse esistere uno solo...

In Valle d'Aosta oggi abbiamo la Gauche Valdotaine e la Maison de la Liberté; questo non vuol dire che si tratti di schieramenti autonomisti, ma di schieramenti nei quali l'autonomismo è un aspetto di una politica incentrata ancora e sempre sulla visione d'insieme dei problemi italiani, perché l'Italia sarebbe la nazione di tutti. Alle ultime elezioni politiche l'U.V. ha concretizzato un lista formata dai soli partiti autonomisti, ma anche questo vuol dire poco: pur rappresentando la concretizzazione del proposito di creare un solo movimento autonomista, è, in realtà, una soluzione dogmatica e strumentale, che ha fatto appello agli ideali, come ultima ratio, a fronte di un problema che era di altra natura. C'è un'altra possibilità ancora per verificare il rispetto dei valori e degli ideali dell'U.V. ed è l'analisi del voto, l'analisi dell'emorragia degli iscritti, l'analisi delle nuove iscrizioni all'U.V.

L'analisi dei voti espressi in Valle d'Aosta in occasione di elezioni europee o politiche, dimostra che molti voti raccolti alle regionali dall'U.V., in altre occasioni finiscono a Berlusconi, Fini ed altri leader italiani. Mi pare assolutamente evidente che non esiste nessuna compatibilità ideale tra l'U.V. e qualsiasi altro partito italiano, il che dimostra che una parte degli elettori dell'U.V. non ne condivide affatto gli ideali. Il consenso elettorale raccolto dall'U.V. è artificiale, è gonfiato da motivazioni diverse dagli ideali e non tutte positive come potrebbe essere la semplice fiducia attribuita ad un movimento capace di assicurare una certa stabilità (almeno fino al 2003); per molti elettori gli altri partiti sono meno credibili dell'U.V., per molti altri valgono le ragioni del clientelismo. Troppi unionisti, complessivamente, sono fuori dall'U.V: e troppi non unionisti stanno dentro.

Già, ma questo risale a prima del 2003 e l'unico uomo politico cosciente del fatto che lo standard di un così crescente e così grande consenso elettorale poteva esser preservato solo rafforzando ciò che lo aveva reso possibile, ha ritenuto opportuno consolidarsi in ogni modo al vertice del movimento, usando gli uomini privi di strategia come pedine al suo servizio, conscio che con i soli ideali gli altri non sarebbero andati molto lontani. Per assurdo Rollandin che se ne sta lontano dagli ideali. è coerente, mentre gli altri si sono fatti vivi troppo tardi per esser credibili. Chi ha ascoltato o letto l'elogio di Andrione alla figura di Emile Chanoux che, trovandosi all'estero, rientrò in Valle d'Aosta pur sapendo di rischiare la pelle, ha rilevato una stonatura... Andrione fuggì a Nizza e restò a lungo in esilio ed è da quel momento che Rollandin ha trovato davanti a se la strada spianata; ha affrontato arresti e momenti durissimi, ma ne è uscito tutto sommato bene, proprio perché li ha affrontati. Gestì l'intertempo e il dopo Andrione, evitando che l'U.V. subisse effetti nefasti da uno scandalo ingiusto, ma pur sempre grave, dimostrò di saper gestire la leadership e divenne non solo un leader, ma un leader carismatico.

Anche troppo, ma questa è un'altra questione. Certo la crescita dell'U.V. ha anche altre ragioni, quali, ad esempio, il buon lavoro della Giunta Viérin e il carisma di Caveri. Ma rispetto agli ideali neppure quella Giunta e neppure il lavoro do Caveri sono stati più coerenti o meno discutibili. Rilanciare l'U.V. non è, quindi, possibile senza una lettura concreta, vera, totale, dei problemi e della storia. E non è neppure possibile costituire una U.V. alternativa a quella di Rollandin, senza leggere la storia e senza rispettare davvero gli ideali. J.C. Perrin, assessore regionale in Giunta con Rollandin, comincia a dirlo e a scriverlo: buon risveglio il suo, a patto che egli non diventi l'intellettuale serio ed onesto utile a fingere un rilancio degli ideali, perché prima di credere a questo rilancio, i valdostani valuteranno - questa volta - come gli ideali si traducano in fatti concreti anche nelle scelte amministrative. La scelta di Rollandin di posizionare Carlo Perrin alla Presidenza della Giunta, fu anch'essa legata a ragioni di immagini più che di sostanza, legata come fu alla intenzione di Rollandin stesso di frenare Caveri e di guidare la Giunta per interposta persona, contando sul valore aggiunto dell'indiscutibile onestà di Perrin; fu stata possibile per l'assenso di Perrin stesso e di tutta l'U.V., forse mal digerita, ma votata e accettata, non può esser presentata, oggi, come esempio dell'esistenza di strapotere, poiché quando strapotere esiste è sempre perché qualcuno lo permette.

Il rilancio dell'U.V. non può avvenire, quindi, su una finta pacificazione interna o sul recupero di vecchie bandiere dell'onestà e della continuità ideale, ma su un concreto rilancio dell'azione e delle scelte politico-amministrative legate agli ideali. Ma è necessaria anche una analisi critica delle politiche fin qui attuate da questa U.V: divisa, ma potente. Sulla difesa del territorio, dopo le speculazioni turistico-edilizie, il metanodotto, il Superphoenix che l'U.V. non ha saputo frenare; dopo le rigimazioni idriche, il traffico dei TIR, le opere autostradali che l'U.V. ha incoraggiato e sostenuto; dopo le centrali idroelettriche e l'industrializzazione selvaggia e di rapina che la Valle d'Aosta non ha saputo evitare, ci vuole qualche scelta politica forte. Sul turismo c'è da tener conto dei mutamenti climatici annunciati, del costo eccessivo della promozione turistica rispetto ai ritorni, di scelte tutte da verificare quali spingere per il costoso Forte di Bard che non consentirà ritorni economici e respingere la fruibilità del sito megalitico di Saint-Martin de Corléans, sicuro riferimento turistico-culturale, sulla incapacità di promuovere altra stagionalità che pochi mesi di turismo estivo ed invernale.

Sull'industria c'è da chiedersi perché non decollino le produzioni locali, l'oggettistica di montagna, l'artigianato e si trascino gli effetti di una industrializzazione evidentemente nata come occasione di sfruttamento delle nostre risorse e di disidentificazione. Sulla scuola ancora non si spiega perché L'Università, attivata con quaranta anni di ritardo!, resti una cenerentola, perché il federalismo (malgrado il centro estivo europeo attivo da quaranta anni!) sia sconosciuto, perché i manager utili alla pubblica amministrazione debbano venir da fuori Valle quando il SAVT chiedeva trenta anni fa di formare a questo scopo i nostri giovani. E poi c'è l'acqua, il nostro petrolio, che non riusciamo neppure a vedere come quella preziosissima risorsa che è, aspettando forse che una multinazionale che ce ne rubi il diritto di utilizzazione e sfruttamento.

Questo accenno finale è a pochi elementi critici soltanto, giusto per dar prova del fatto che gli ideali non sono soltanto un fatto intellettuale. Che c'entra Rollandin, allora? E' solo un leader da sconfiggere o dal quale essere sconfitti, come se questo fosse il problema. Il problema è non avvedersi che è finita l'epoca dei leader e che la stessa leadership è, concettualmente e praticamente, inevitabilmente legata all'esercizio di un potere condiviso tra più leader, è l'esaltazione di tutte le potenzialità e di tutte le capacità, è una distribuzioni di compiti ed oneri tra persone al servizio del popolo. Questa nuova concezione della leadership è una filosofia, un valore irrinunciabile di riferimento: Rollandin sarà anche un egemone, ma la sua egemonia è antistorica e tale resterà anche se dovesse conservare il controllo dell'U.V: Rollandin sta, quindi, frenando l'azione di una U.V. che non è più se stessa e non è più "traghettratrice" storica. Non ci si accorge che, poco a poco, la Valle d'Aosta ed i valdostani non credono più a queste farse di fine "prima autonomia", uguali nei loro aspetti patetici, agli episodi di vita valdostana narrati dallo Charaban che ci fa ridire e sorridere, ma non ha la pretesa di governarci.

CARO LUCIANO.
Lettera aperta al Presidente della Regione, Luciano Caveri [ su ]

Mi tengo lontano dalla politica da quando - era l'inizio degli anni 90 - pur militando molto appassionatamente nell'U.V., cominciai a percepire quel sottile "malaise" di ho parlato nei miei saggi, lamentando le censure giornalistiche che dovetti subire dal "Peuple", troppo incerto sul dar voce oppure no a chi quel disagio lo rilevava e voleva discuterne pubblicamente, auspicando addirittura che l'U.V: lo facesse in un Congresso. Mi pare strumentale, per questo, che molti dei contestatori interni di oggi, siano rimasti tanto a lungo nell' U.V. (dalla quale hanno avuto molto, compresi gli incarichi in Giunta), senza avvedersi delle radici lontane del malessere che essi rilevano solo ora. Eppure questo malessere ha determinato, da allora, l'uscita dall'U.V. di molti unionisti. Lo trovo strumentale e offensivo per tutti coloro che hanno lasciato l'U.V. in tempi lontani, sono sempre rimasti "nel cuore" unionisti, ma ancora oggi non possono credere che le cose stiano davvero cambiando, solo perché Rollandin è stato sconfitto.

Chi ha lasciato l'U.V. all'ultimo momento o solo negli ultimi anni, contestando lo strapotere di Rollandin, a mio avviso ha fatto una scelta meno idealistica e storica di quel intende far credere, celebrando un successo elettorale: contestare Rollandin dopo avere goduto i frutti dei suoi metodi, ottenendo posizioni di rendita proprio perché lo assecondavano, è troppo comodo! E chi lo ha contrastato, ma senza troppa convinzione, dall'interno, ha trovato spazio proprio grazie a questo suo "gioco", alla sua blanda opposizione interna che ha garantito a lungo, all'U.V. una parvenza di democrazia interna. C'è - o almeno ci dovrebbe essere - prima di tutto la questione del riferimento agli ideali, argomento sul quale mi pare indispensabile richiamare l'attenzione di tutti gli unionisti, oggi dentro e fuori dall'U.V. Gli ideali sono stati abbandonati da un bel pezzo, perché non se ne riconosce più la praticità. E non li ha abbandonati Rollandin, li hanno abbandonati tutti.

Un esempio? Uno solo, tratto da esperienza diretta e scelto fra altri che richiederebbero un maggior approfondimento: pochi giorni or sono si è costituito il Partito Europeo del'Alliance Libre Europeenne: c'erano tutti i partiti delle cosiddette "minoranze" in Europa, tutti meno l'U.V.; e dire che a costituire la prima A.L.E negli anni 70 ci fu, in prima linea, proprio l'U.V: che credeva nella necessità di portare in Italia ed in Europa, la specificità politica del popolo valdostano. Non mi si dica che anche questo è un risultato dello strapotere di Rollandin, perché se nell'U.V. ancora esistesse attenzione vera per l'Europa e per il Federalismo, a queste dinamiche internazionali gli oppositori di Rollandin avrebbero potuto prestare, in mancanza di un impegno ufficiale del movimento, quanto meno una attenzione personale, mantenendo rapporti e tessendo fili personali proprio perché la negatività dei tempi NON DOVEVA influire negativamente sulla scelta ideale e storica di portare la Valle d'Aosta a muoversi con gli altri popoli per costruire l'Europa dei Popoli.

Non ho letto né articoli, né libri su queste problematiche il che vuol dire o che non ci sono intellettuali di area, oppure che tutti se ne stati troppo a lungo zitti e zitti. Forse agli unionisti interessano, più che altro, gli spiccioli del potere al quale accedono in un modo o nell'altro: se gli ideali fossero vivi e veri, infatti, nessuna Alliance europea sarebbe nata senza l'U.V. La presenza ed il ruolo dei partiti "autonomisti" nell'Europa ha lo stesso valore e lo stesso significato che 60 anni fa ebbe la nascita dell'U.V. in una Italia che (come l'Europa di oggi) si costruiva centralisticamente e riconosceva ai popoli solo poteri residui. Il problema non è ciò che tu, Presidente/Prefetto, puoi fare per portare la Valle d'Aosta nell'Europa istituzionale, muovendoti in modo... istituzionale e facendo, te lo riconosco, molto soprattutto per preservare l'identità alpina: il problema è che i principi e gli ideali dell'U.V., come li ha gestiti l'U.V. e come li hanno vissuti gli uomini dell'U.V. pro o contro Rollandin, sono stati dimenticati.

In molti altri campi nei quali l'azione dell'U.V. avrebbe dovuto mostrare attinenza con gli ideali, hanno prevalso altre ragioni, personali, di corrente o di grettezza. E, allora, si rendano conto i valdostani tutti, pro e contro Rollandin, che non basta amare la Valle d'Aosta con le parole e con gli inni stonati, ma è necessario adottare nell'azione politica opportune priorità: gli ideali, in questo percorso, non possono venir sempre dopo... Spero tu possa finalmente svolgere serenamente la funzione politico-amministrativa che ti compete, che meriti e per la quale sei stato eletto; spero che, finalmente, non ci si debba più vergognare di essere corresponsabili della pessima gestione di un grande consenso elettorale evidentemente conseguito senza una vera adesione e presa di coscienza.

La bandiera valdostana resta rossa e nera, lo era anche nell'avventura indipendentista che tentò di evitare all'U.V. l'ubriacatura dello strapotere; ora l'ubriacatura c'è stata e i coscritti in festa hanno scelto da mettersi al collo fazzoletti di diversi colori, chi il rosso/nero, chi l'arancione...tutti, però, pur sempre ubriachi.


Il libro 'AKARA-OGUN E LA RAGAZZA DI BENIN CITY', 2002Vedi anche di Claudio Magnabosco:
> Una lettura strumentale delle identità
> "Sono nessuno o sono una nazione", > su evolutionbook.com, versione .rtf zip 55KB
> Akara-Ogun e la ragazza di Benin City
> La ragazza di Benin City
> Decine di africane sono state assassinate in Italia. Le altre Amina: ogni giorno le africane sono "lapidate" in Italia
> Identità nazionale e minoranze nello Stato italiano
> Indipendentismo sostenibile, Nazione inclusiva, moltiplicatore. Tre teorie tra storia del federalismo e attualità del dibattito sul micronazionalismo
> Celtismo, New Age, Sindacalismo: Tre problematiche a confronto con l'idea di nazione e con il rischio di fascistizzazione delle nazionalità
> Nazioni senza Stato e diritti collettivi
> Per una storia della Valle d'Aosta dal 1945 al 2000
> Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002
> Settembre 1945 - Settembre 2005 Per una storia dell'Union Valdotaine
> IMMIGRATI E NAZIONI SENZA STATO Il caso italiano - storia dei migranti, diriti, democrazia e voto - Negare il voto agli immigrati?
> Nuovi annessionismi. La farsa delle devolution e le sue conseguenze

Ultimo agg.: 12.5.2006 | Copyright | Motore di ricerca | URL: www.gfbv.it/3dossier/vda/aosta.html | XHTML 1.0 / CSS / WAI AAA | WEBdesign: M. di Vieste; E-mail: info@gfbv.it.

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