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Bandiera tibetana40 anni di resistenza in Tibet - Una requisitoria per una nuova politica verso la Cina

La Cina viola i diritti umani di tibetani, uiguri, mongoli e democratici cinesi

Bolzano, Göttingen, marzo 1999

INDICE

La politica europea verso la Cina deve cambiare | I limiti del "dialogo critico" | Il fallimento della missione Robinson | Pechino gioca sul tempo? | La Cina non può comprare la propria impunità | Il fallimento della politica tedesca verso la Cina | Il dialogo sui diritti umani dell'UE con la Cina | Suggerimenti dell'APM


La politica europea verso la Cina deve cambiare [ top ]

In considerazione delle gravi violazioni dei diritti umani nei confronti di Tibetani, Uiguri, Mongoli e degli stessi democratici cinesi, l'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) chiede che vi sia un cambio radicale nella politica europea verso la Cina. Invece di continuare a cercare un "dialogo critico" con il governo cinese sul tema dei diritti umani, l'Europa deve finalmente usare tutti gli strumenti internazionali disponibili in materia per imporre la fine della violazione dei diritti umani. Il dialogo, così come perseguito dal precedente governo tedesco fin dal 1997, non ha fatto registrare grandi successi. L'APM chiede quindi che alla 55. seduta della Commissione per i Diritti Umani dell'ONU, che avrà inizio il 22 maggio 1999, venga presentata una risoluzione critica nei confronti della Cina. Rinunciare a questa risoluzione comporterebbe una grave perdita di credibilità di tutti i governi europei per quanto riguarda il suo impegno per il rispetto dei diritti umani in Cina, ma lancerebbe anche un segnale di incoraggiamento al governo cinese a continuare con l'attuale politica di repressione. Infine verrebbe rafforzato il sospetto che la Germania, come l'Europa, sia molto più interessata all'ampliamento delle relazioni economiche con la Cina che non al rispetto dei diritti umani nel paese.

I limiti del "dialogo critico" [ top ]

Una protesta dell'Associazione per i popoli minacciati. Foto: GfbV L'opposizione dell'APM al "dialogo critico" con l'élite di potere cinese e ai progetti di cooperazione nel campo dei diritti umani dell'UE non è certo un'opposizione di principio, ma i limiti di questo dialogo sono ormai sotto gli occhi di tutti. Di fatto sembra di assistere al dialogo tra un cieco e un sordomuto. La dirigenza cinese criminalizza come tentativo di "separatismo" ogni impegno a favore del mantenimento delle tradizionali culture e religioni in Tibet e nello Xinjiang (Turkestan orientale) e fornisce quindi un'interpretazione di legalità profondamente diversa da quella dei rappresentanti dell'Unione Europea. La mancata risposta alle innumerevoli proposte di dialogo senza condizioni preliminari avanzate dal Dalai Lama dimostra la completa noncuranza della politica cinese per la questione dei diritti umani. Il 15 febbraio 1999 il governo tibetano in esilio ha infine dichiarato che Pechino aveva interrotto anche tutti i contatti informali. I governi europei vedono però i "successi" della loro politica: nell'ottobre 1998 la Repubblica Popolare Cinese ha infatti firmato il Patto Internazionale sui Diritti civili e politici. L'Europa ha poi salutato il fatto che la Cina abbia autorizzato la visita in Cina e in Tibet di tre ambasciatori dell'UE nel maggio 1998 e della Commissaria dell'ONU per i Diritti Umani Mary Robinson nel settembre dello stesso anno. Per l'occasione diversi noti dissidenti sono stati liberati ed è stata finalmente avviata la riforma della giustizia da tempo annunciata.

Il fallimento della missione Robinson [ top ]

Ciò nonostante l'opposizione democratica cinese, i Tibetani, gli Uiguri e i Mongoli considerano la visita di Mary Robinson un fallimento. Grazie all'intervento di qualche decina di agenti dei servizi segreti la Commissaria dell'ONU non ha infatti incontrato nessun oppositore mentre visitava tribunali e carceri modello. Subito dopo la partenza della Robinson furono arrestati due monaci tibetani con l'accusa di aver spedito una lettera alla Commissaria dell'ONU. Chu Hailan, moglie di Liu Nianchun, in carcere per aver fondato un sindacato indipendente, è stata più fortunata: arrestata mentre tentava di consegnare alla Robinson una petizione a favore del marito e picchiata in carcere, è stata poi rilasciata su specifica richiesta della Commissaria dell'ONU.

Durante la visita della delegazione dell'UE almeno dieci prigionieri tibetani sono morti durante la repressione delle proteste nel carcere di Drapchi. La liberazione e successiva espulsione dal paese dei due noti oppositori Wei Jingsheng e Wang Dan, avvenuta negli anni 1997/98, è stata un'abile azione propagandistica grazie alla quale Pechino è riuscita da un lato a "ritoccare" la propria immagine, e dall'altro si è liberata di due oppositori scomodi e segnati da malattie e vecchiaia, la cui morte in carcere sarebbe risultata poco lusinghiera per il regime cinese. In seguito alla liberazione di Wei Jingsheng e Wang Dan sono già stati arrestati innumerevoli simpatizzanti del movimento democratico. La visita del premier inglese Tony Blair a Pechino nel 1998 ha fatto scattare un'altra ondata di arresti preventivi di membri del movimento democratico.

Pechino gioca sul tempo? [ top ]

Le organizzazioni per i diritti umani concordano sul fatto che la firma del Patto per i Diritti civili e politici non ha avuto effetti positivi nel breve periodo. Probabilmente bisognerà aspettare ancora diversi anni prima di arrivare alla ratifica del Patto (l'attuazione degli accordi tramite una legge nazionale): l'esperienza mostra che il rispetto delle norme dettate dalla legge nella vita quotidiana necessita addirittura di decenni. Si tratta di un lasso di tempo di cui in particolar modo i Tibetani non dispongono, vista la determinazione con cui le autorità cinesi sopprimono la tradizionale cultura, società e religione tibetana. Inoltre Pechino ha già annunciato che la ratifica del Patto avverrà con diverse riserve. Molti politici tedeschi dichiarano di avere ben presente la difficile situazione in Tibet. Vista la loro rinuncia a una denuncia pubblica della Cina verrebbe quindi da chiedere se non si sentano corresponsabili del genocidio in Tibet. Il silenzio pubblico sulle violazioni dei diritti umani comporta che i movimenti di protesta tibetani e del Turkestan orientale si sentano lasciati soli e traditi e finiscano per radicalizzarsi sempre più, una radicalizzazione lamentata peraltro dall'UE.

I promotori del "dialogo" sostengono la propria posizione con un argomento tanto semplice quanto poco valido: "dialogo invece di confronto". La questione però non è l'essere o meno a favore del dialogo, ma piuttosto se l'UE punti esclusivamente sul dialogo oppure se in alternativa utilizzi anche altre forme di pressione a sua disposizione. Di fatto, l'UE ha optato fin dal 1995 a puntare solo sul dialogo come unico mezzo d'influenza sul governo cinese. Nel 1997 Germania, Spagna, Italia e Grecia hanno accettato la proposta francese di non sostenere eventuali risoluzioni contro la Cina presentate alla Commissione per i Diritti Umani dell'ONU. Nel frattempo la situazione dei diritti umani in Cina è andata peggiorando.

Per diminuire le pressioni multilaterali sulla questione dei diritti umani p.es. nell'ambito della Commissione per i Diritti Umani dell'ONU, la Repubblica Popolare Cinese incentiva il dialogo bilaterale con l'UE, ma anche con il Brasile, il Canada, l'Australia e la Norvegia. La mancata pressione pubblica da parte dei paesi dell'UE permette alla dirigenza cinese di evitare concessioni sostanziose in materia. Gli interventi pubblici dei politici europei a proposito di presunti risultati ottenuti assomigliano troppo spesso a un poco dignitoso "arrampicarsi sugli specchi" che peraltro non favorisce certo il rispetto della Cina per i suoi partner europei. I politici europei sembrano infatti disposti a tacere sulle violazioni dei fondamentali diritti umani purché in cambio vengano loro forniti piccoli espedienti con cui ottenere un breve successo mediatico. La Cina cambierà il suo atteggiamento sulla questione dei diritti umani solo se anche la Commissione per i Diritti Umani dell'ONU si comporterà con più decisione: tra il 1990 e il 1996 l'UE e gli USA hanno presentato ogni anno delle risoluzioni critiche nei confronti della Cina, che però non sono mai state accolte. Per anni la Cina ha svolto un lavoro di lobby in Europa e nei paesi cosiddetti in via di sviluppo proprio per evitare condanne in sede di Commissione ONU. Evidentemente la dirigenza cinese considera le decisioni della Commissione per i Diritti Umani di una certa rilevanza.

La Cina non può comprare la propria impunità [ top ]

La dirigenza politica cinese insite su una presunta diversa comprensione dei diritti umani rispetto all'Occidente dovuta a una diversa evoluzione storico-culturale. Ciò nonostante la Cina ha però firmato la Carta ONU sui diritti umani e ha ufficialmente riconosciuto l'importanza mondiale dei diritti umani nel 1993 a Vienna alla Conferenza ONU sui Diritti Umani. Anche Pechino non può quindi prescindere dalla questione dei diritti umani, altrimenti ogni paese economicamente forte potrebbe arbitrariamente annullare il proprio impegno nei confronti della Commissione ONU adducendo la propria specificità storico-culturale, mentre i paesi meno privilegiati devono "sopportare" tutte le sanzioni del caso. A questo punto la tutela internazionale dei diritti umani perderebbe ogni credibilità. Bisogna perciò far comprendere al governo cinese che non può reclamare uno status speciale nella Comunità Internazionale ed è in particolar modo inaccettabile che il governo cinese rispetti o violi gli standard riconosciuti dei diritti umani a secondo dei propri interessi.

Nemmeno lo slogan particolarmente amato dai politici tedeschi "Cambiamento grazie all'azione" offre delle garanzie affinché la situazione dei diritti umani in Cina possa effettivamente migliorare. Il governo cinese infatti strumentalizza lo sviluppo economico del Tibet per indebolire a lungo termine la società tradizionale tibetana grazie al massiccio insediamento di Cinesi Han. Allo stesso modo, le complesse relazioni economiche della Cina con i suoi vicini centroasiatici non hanno certo migliorato la situazione degli Uiguri nel Turkestan orientale. Nel settembre 1998 il presidente e capo del partito Jiang Zemin ha ufficialmente dichiarato che lo sviluppo economico è prioritario al miglioramento dei diritti politici. Lo sviluppo economico non può però sostituire il processo di democratizzazione della società.

Il fallimento della politica tedesca verso la Cina [ top ]

Nel 1996 Joschka Fischer ha dichiarato che "la politica tedesca verso la Cina è definitivamente fallita" e ha chiesto un "serio ri-inizio" (FAZ, 26 giugno 1996). Il servilismo e la priorità degli affari sui diritti umani non possono diventare la base della politica verso la Cina. Secondo l'APM però, la Germania, come tutta l'UE, è carente di una politica coerente verso la Cina. Ogni paese dell'UE cerca il potenziamento delle proprie relazioni economiche con la Cina, anche a spese dei suoi partner europei, e Pechino può quindi servirsi di uno o dell'altro paese come meglio conviene.

Il dialogo sui diritti umani dell'UE con la Cina [ top ]

Nel 1995 l'UE ha inaugurato il cosiddetto "dialogo critico" con la Cina sulla questione dei diritti umani. Quando nel 1996 l'UE si è rifiutata di ritirare la sua bozza per una risoluzione contro la Cina presso la Commissione per i Diritti Umani dell'ONU, la Cina ha interrotto il dialogo e si è dichiarata disponibile alla sua ripresa solo nell'aprile 1997, in seguito alla mutata presa di posizione nella Commissione di Francia, Germania e di alcuni altri stati dell'Unione. Il dialogo è stato ripreso ufficialmente il 23 ottobre 1997 a Lussemburgo. I rappresentanti dei paesi europei e della Commissione dell'UE hanno ripetutamente ricordato che l'UE valuterà di anno in anno se mantenere la sua attuale posizione passiva in sede di Commissione ONU nei confronti della Cina. In questo senso il 2 febbraio 1998 Leon Brittan, vice-presidente della commissione UE, ha dichiarato: "Un dialogo senza risultati si fermerà presto e non verrà compreso dall'opinione pubblica europea".

Nell'ambito del "dialogo critico" si sono finora svolti sette incontri, di cui l'ultimo a Berlino nel febbraio 1999. I rappresentanti dell'UE hanno più volte riconosciuto alla Cina "progressi nell'applicazione dei diritti umani" e hanno dichiarato che il dialogo si sia intensificato e abbia guadagnato in "spessore" e "approfondimento" (FAZ, 26 febbraio e 24 ottobre 1998) e hanno lodato la "sincerità" della controparte. Di fatto però i rappresentanti dell'UE non sono stati in grado di indicare alcun vero progresso. Inoltre sembrerebbe che siano stati poco e mal informati sulle persone con cui andavano a trattare: invece di approfondire il dialogo con la società civile, i rappresentanti dell'UE trattavano con rappresentanti delle organizzazioni statali di propaganda e con organizzazioni non governative allineate, il cui unico interesse consiste nel relativizzare la critica alla politica cinese. Un vero dialogo può però avere successo solo sei partecipanti sono tutti interessati a un sincero confronto.

L'Unione Europea dovrebbe finalmente fissare degli obiettivi chiari in modo che la politica e l'opinione pubblica abbiano dei parametri in base ai quali giudicare i reali progressi del "dialogo critico". Ciò che si sta chiedendo alla dirigenza cinese non sono dei semplici segnali di buona volontà, ma delle profonde riforme strutturali capaci di porre fine alle violazioni dei diritti delle diverse nazionalità, minoranze religiose e movimenti democratici in Cina. Per evitare che Pechino strumentalizzi chi la critica, l'UE dovrebbe poi coordinare la sua politica con altri oppositori della Cina. Per ottenere veramente il rispetto dei diritti umani in Cina il dialogo può solo essere una parte di una strategia più complessiva. Senza pressione pubblica, il dialogo si trasforma in una farsa che contribuisce a una perdita di significato del concetto di tutela internazionale dei diritti umani.

Suggerimenti dell'APM [ top ]


Vedi anche:
* www.gfbv.it: www.gfbv.it/3dossier/asia/tibet1-it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/04-1/040126it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/02-3/021108it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/02-3/021017it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/01-3/011206it.html | www.gfbv.it/3dossier/asia/uiguri.html | www.gfbv.it/3dossier/asia/uiguri1.html

* www: http://it.wikipedia.org/wiki/Regione_Autonoma_del_Tibet | www.hrichina.org | www.freetibet.org

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