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INDICE
> PARTE I
> PARTE II / CAP. 1
> CAP. 2
> CAP. 3
> CAP. 4
> CAP. 5
> CONCLUSIONE
> LE FOTO
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Promesse e tradimenti

Kurdistan terra divisa, compendio storico

Mauro di Vieste

CAP. 3 - IL TRAMONTO DEL SULTANATO

3.1. IL PROBLEMA ARMENO
La spietata politica di Abdul Hamid II, non a caso soprannominato il sultano rosso, dopo che l'ultimo focolaio nazionalista curdo era stato spento, cambiò energicamente direzione. Ormai c'era ben poco da reprimere in campo curdo e il problema più grosso rimaneva quello degli Armeni, non perché artefici di sistematiche rivolte ma piuttosto perché rappresentavano un potenziale polo di attrazione per le potenze straniere e per la loro ingerenza negli affari interni dell'impero ottomano: questa paura non era infondata poiché la penetrazione dei missionari europei era stata capillare al punto da condizionare la politica ottomana già durante la rivolta di Bedir Khan.

Prima di passare agli avvenimenti che, a torto, hanno reso agli occhi del mondo i Curdi nemici giurati degli Armeni, diamo un brevissimo sguardo alla storia del popolo armeno e ai rapporti con il mondo islamico. Prima dell'avvento del cristianesimo, gli Armeni adoravano tre divinità: Aramazt era il creatore di tutto, Anahid rappresentava la giustizia, la saggezza, la bellezza e la misericordia mentre Vahakn la forza e il potere. Questa concezione religiosa si adattò in modo assolutamente indolore alla nuova religione di Cristo che presentava anch'essa una divina trinità.

L'Armenia fu evangelizzata già nel 33 d.C. e nel 301 d.C. venne fondata la Chiesa Nazionale Armena, che incontrò non poche difficoltà di sopravvivenza in un mondo inizialmente pagano e successivamente musulmano. Fondata dagli apostoli San Taddeo e San Bartolomeo, la Santa Chiesa Apostolica Armena ha avuto da allora fino agli inizi del XX secolo, con una successione ininterrotta 137 "Catholicos", i Supremi Pontefici, residenti nell'"Etch-Miadzine", il grande monastero ai piedi dell'Ararat. Tutti gli Armeni, all'epoca di Abdul Hamid, appartenevano alla Chiesa Madre, tranne centomila fedeli affiliati alla Chiesa Cattolica e Protestante.

Durante il periodo più prospero dell'impero ottomano, cioè dal XVI al XIX sec. gli Armeni non avevano avuto grossi problemi di convivenza etnica. Grazie alla riforma agraria attuata dalla Sublime Porta, nel 1858 gli Armeni furono in grado di divenire piccoli proprietari terrieri; da un lato ciò migliorò notevolmente la condizione socio-economica della comunità cristiana, ma dall'altro peggiorò i rapporti con le tribù curde.

I primi problemi si presentarono durante la terza guerra russo-turca del 1877-78, che vide i primi massacri armeni da parte ottomana (ricordiamo che i Curdi non parteciparono alla guerra se non con il piccolo contingente di Sheikh Obeidullah, di cui abbiamo già parlato). Fu allora che il Patriarca armeno di Costantinopoli chiese per la prima volta ad Abdul Hamid una forma di autonomia per le province armene dell'impero. Ma come abbiamo visto, il Sultano stava realizzando una politica accentratrice, sintomo delle difficoltà che l'impero ottomano incontrava nel mantenere il controllo su tutto il proprio territorio, come dimostrerà l'umiliante pace di Santo Stefano con la Russia (3 marzo 1878).

In questo contesto cominceranno a crescere le tensioni a livello locale tra Curdi e Armeni; infatti nel 1890, ad un primo raid di 125 partigiani del Dashnak armeno (che trenta anni dopo troveremo alleato del movimento indipendentista curdo) capeggiato da Sarkis Googoonian e proveniente dalla Russia, ne seguirono altri, tutti nel territorio dell'impero ottomano e contro tribù curde.

Secondo Sarkisyanz, uno dei grossi problemi dell'Anatolia settentrionale, dove convivevano Curdi e Armeni, era l'estrema indigenza della popolazione, e chi si trovava in condizioni migliori, era soggetto a pesanti esazioni tributarie da parte di alcune tribù curde nomadi che non facevano distinzioni di razza o religione, ma di ricchezza. Nella maggior parte dei casi ad essere derubati erano i contadini armeni che si trovavano in una condizione economica decorosa, ma la stessa sorte poteva capitare anche ai pochi contadini sedentari curdi o turchi e quindi musulmani. Durante l'ultimo decennio del XIX secolo la politica di Abdul Hamid fu tesa ad esacerbare i confronti tra Curdi ed Armeni, cosa che era chiara già al tempo delle rivolte di Sheikh Obeidullah.

3.2. L'HAMIDIYE E LA PRIMA STRAGE ARMENA
Nel novembre del 1890 il Sultano stabilì con un decreto la creazione di un reggimento curdo di cavalleria, noto con il nome di Hamidiye. I cavalieri curdi venivano reclutati nelle zone di Erzurum, Bitlis e Van, che oltre ad essere i distretti di confine con la Russia erano anche quelli che meno di tutti avevano dato problemi all'impero; il resto del corpo era di origine turcomanna come anche il comandante in capo, Zeki Pasha. Il reclutamento delle forze veniva effettuato su base tribale ed i capi tribù erano incaricati dalla Sublime Porta di fornire gli uomini richiesti sia all'Hamidiye,nel qual caso dovevano possedere un cavallo, sia all'esercito. Ma fin dal 1893, prima ancora che l'Hamidiye fosse utilizzata in battaglia, alcuni ufficiali curdi appartenenti al corpo furono scoperti a collaborare con le forze armene.

Nel 1894 cominciarono i massacri voluti dal Sultano-Califfo ed appoggiati dalle forze religiose islamiche a lui devote. La scintilla fu la rivolta armena di Sassoon nel 1894, che era scoppiata non per motivi religiosi, ma come segno del malcontento armeno per i continui soprusi delle tribù curde contro le quali erano iniziati sporadici atti di aggressione da parte di partigiani armeni provenienti dalla Russia e guidati da Murat Poyadjian.

Infatti molti Curdi a Sassoon come anche a Dersim, si schierarono dalla parte degli Armeni e in altre occasioni fornirono armi e munizioni ai ribelli. La spaccatura tra le forze dell'Hamidiye e la popolazione civile curda era evidente, ma nonostante questo, nel settembre del 1895, il piano della Sublime Porta aveva raggiunto lo scopo: quasi duecentomila Armeni erano stati massacrati in tutta l'Anatolia orientale.

I massacri terminarono improvvisamente nel febbraio 1896, segno evidente che corrispondevano ad un disegno ben preciso del Sultano: tra le preoccupazioni della Sublime Porta, forte era il timore di una penetrazione russa in Anatolia giustificata proprio dalla presenza dell'elemento armeno. La presenza armena divenne un'arma per i Russi da usare per ottenere eventuali vantaggi territoriali. Queste tensioni sfociarono infine nel massacro armeno del 1915 perpetrato dal governo ottomano.

Tra gli ufficiali curdi dell'Hamidiye, Ibrahim Pasha, della tribù Milli del sud dell'Anatolia, addirittura protesse gli Armeni nel territorio da lui controllato, e gli stessi Armeni parteciparono ad una sorta di associazione economica tesa a favorire gli scambi con nuovi mercati che Ibrahim Pasha andava creando sul suo territorio, con il tacito consenso del Sultano.

Oltre all'Hamidiye, tra i progetti di Abdul Hamid c'era la totale integrazione dell'elemento curdo nell'impero ottomano. Già dopo la metà del XIX secolo praticamente tutti gli affiliati della setta Sufi dei Qadiri avevano i loro contatti alla corte del Sultano: per questo motivo la setta più rivoluzionaria diventerà la Naqshebendi. Abdul Hamid assicurò posti di riguardo a tutti i notabili curdi che se non fossero stati dalla sua parte sarebbero stati certamente contro di lui: Bahri Bey, figlio di Bedir Khan fu nominato aiutante di campo del Sultano; Sheikh Abdul Qadyr, figlio di Sheikh Obeidullah, divenne presidente del Senato ottomano nel 1908 e i discendenti di Abdur Rahman Baban ebbero posti importanti nell'amministrazione e nell'università proprio durante il sultanato di Abdul Hamid.

3.3. LA DETRIBALIZZAZIONE
A coronamento dell'opera di detribalizzazione, Abdul Hamid distribuì titoli terrieri per legare ancor di più i capi e le tribù curdi al sistema di esazione delle tasse e facilitarne di conseguenza il controllo. Queste misure non ebbero dappertutto lo stesso effetto: in alcune regioni prosperò il fenomeno del banditismo e la continua mobilità di certe tribù impedì l'efficace intervento dell'esercito ottomano.

Le tribù che più erano soggette a questa forma di "disobbedienza aggressiva" al potere centrale erano gli Hamavand, i Jaf e i Barzani. Gli Hamavand controllavano la valle di Bazyan a nord di Suleimaniya ed intrattenevano buoni rapporti con le tribù arabe delle pianure. Originariamente provenivano da Qasr-e-Shirin al confine con la Persia che cedette i diritti sulla tribù all'impero ottomano durante gli anni trenta del XIX secolo. Pochi anni dopo erano già in rivolta contro la Sublime Porta, come lo erano sempre stati contro lo Shah, e saccheggiavano regolarmente il territorio a sud di Sulemaniya fino a Khanaqin.

Fino alla fine del secolo la situazione rimase problematica e nessuna spedizione ottomana riuscì a sedare definitivamente le continue rivolte. Nel 1880 alla storia si aggiunse la leggenda: l'esercito ottomano in una imboscata riuscì ad isolare una parte della tribù che venne subito deportata in Tripolitania, ma in sei mesi fu in grado, armi alla mano, di far ritorno alla propria terra. Durante i primi anni del XX secolo la situazione peggiorò e gli scontri con l'esercito ottomano divennero continui.

Nel 1910 il Sultano concesse la grazia ad alcuni Agha, ma la tregua fu breve e subito dopo gli Hamavand assediarono Chamchamal (tra Kirkuk e Suleimaniya) che fu liberata dopo una lunga resistenza dalle truppe ottomane provenienti da Bagdad e con a capo Nadim Pasha.

La situazione nella zona di Suleimaniya rimase critica fino allo scoppio della prima guerra mondiale. La posizione strategica degli Hamawand era simile a quella dei Jaf, che controllavano la zona di Halabja: diverso però era il loro modo di intendere la tribù. Tra gli Hamavand non emergeva nessun leader e la tribù nel suo insieme era l'istituzione in cui si riconoscevano tutti i membri, mentre per i Jaf esistevano delle figure guida, come lo era Mahamoud Pasha per la parte nomade della tribù.

I rapporti tra i Jaf e la Sublime Porta erano buoni soprattutto perché l'esercito ottomano poteva sempre usare la tribù come deterrente per le questioni di frontiera non risolte con la Persia. Infatti i Jaf con altre tribù parteciparono, tra il 1907 e il 1912, insieme all'Hamidiye e a truppe regolari ottomane, agli scontri con l'esercito persiano per la sistemazione di vecchie dispute di frontiera nella zona del Kurdistan persiano ad ovest del lago Urmia.

Le contestazioni furono infine mitigate dalla formazione, nel 1913, di una nuova Commissione di Frontiera turco-persiana, alla quale, a differenza della vecchia commissione del 1847, partecipavano anche i rappresentanti di Gran Bretagna e Russia. Questa presenza era giustificata dal recente accordo anglo-russo del 1907 che assegnava alla Russia una sfera d'influenza sui territori persiani a nord di Teheran e alla Gran Bretagna sulla zona a sud di Teheran. La tribù Barzan rappresentava, rispetto ai Jaf e agli Hamawand, un caso a parte in quanto si era formata solo agli inizi del XIX secolo dalla fusione di altre piccole tribù della zona a Nord-Est dell'attuale Iraq. Il primo Sheikh della tribù Barzan, Taj-ad-Din, era un Sufi ed aveva ereditato il potere da Maulana Khalid, esponente dell'ordine Naqshebendi: questa circostanza guadagnò un largo seguito alla tribù per i motivi esposti in precedenza, e spiega il ruolo di primo piano giocato dai Barzani nella storia del Kurdistan del XX secolo.

3.4. LE PRIME ORGANIZZAZIONI
Agli albori del XX secolo un nuovo fenomeno caratterizzò la vita politica sia curda, sia ottomana: si trattava della nascita di una classe media curda, risultato della politica di integrazione voluta da Abdul Hamid. Si trattava di una classe borghese discendente dai principi curdi che avevano combattuto l'impero ottomano durante tutto il XIX secolo, e che si era formata a Costantinopoli dove si respirava aria di rivoluzione e di nazionalismo e dove era possibile il contatto con le idee borghesi provenienti dall'Europa.

Nell'aprile del 1898 nacque al Cairo "Kurdistan", il primo giornale curdo, pubblicato in due lingue, turco e curdo. Il fondatore era Midhat Bedir Khan, uno dei figli dell'emiro Bedir Khan, la cui famiglia avrà un ruolo di primissimo piano nelle vicende dell'inizio del secolo. Cerchiamo in questo schema di riassumere la genealogia dell'emiro. Tra i figli più noti di Bedir Khan c'erano Osman e Hussein che diressero la rivolta di Sheikh Obeidullah del 1880: Hussein venne giustiziato nel 1910 dal governo ottomano; Midhat fondò "Kurdistan", il primo giornale curdo; Kiamil si alleò con i Russi, sarà nominato "vali" di Erzurum nel 1917 e dopo la rioccupazione ottomana vivrà a Tiflis, in Unione Sovietica; Khalil sarà nominato "vali" di Malatiya; Hassan, candidato alle elezioni del 1910 con il fratello Hussein, dopo essere stato eletto, venne arrestato e torturato in carcere, rimanendo mezzo sordo; Abdur Rahman pubblicò "Kurdistan" dopo Midhat; Bahri collaborò alla rivolta di Sheikh Obeidullah; Emin Ali, giurista, fu uno dei fondatori dell'Associazione per lo Sviluppo e il Progresso del Kurdistan nel 1908; Souleiman venne ucciso dalla polizia durante gli scontri del 1912 in Bothan. Tra i nipoti più in vista di Bedir Khan c'erano Abdur Razzak, figlio di Nejib, che uccise il governatore di Costantinopoli e sarà a sua volta assassinato a Mosul nel 1918; Sureya, figlio di Emin Ali, pubblicò "Kurdistan" dopo lo zio Abdur Rahman; Djeladet, figlio di Emin Ali, avrà un ruolo di primo piano nel comitato Khoyboon durante la rivolta dell'Ararat; Kamuran, figlio di Emin Ali, continuerà l'attività giornalistica dei fratelli.

Il "Kurdistan" ebbe una vita travagliata fin dall'inizio: Midhat venne sostituito dal fratello Abdur Rahman che lo pubblicherà prima a Ginevra, poi a Londra, in ultimo a Folkestone, dopodiché ricomparirà al Cairo durante la prima guerra mondiale, pubblicato da Sureya Bedir-Khan, nipote del fondatore.

Nel 1890, contemporaneamente alla nascita delle idee nazionaliste curde, prendeva vita a Costantinopoli un nuovo partito progressista, il "Comitato Unione e Progresso", tra i cui fondatori c'erano due Curdi, Ishak Sukuti e Abdullah Cevdet e al quale si associò Abdul Qadyr, figlio di Sheikh Obeidullah.

Il C.U.P. tenne il suo primo congresso a Parigi nel 1902, con la partecipazione di Abdur Rahman Bedir Khan e Hikmet Baban: quindi nei primi anni di vita, il nazionalismo curdo si confondeva con il nazionalismo turco, tanto che il "nuovo partito" divenne il polo di attrazione di tutti gli intellettuali della Costantinopoli più rivoluzionaria, ma anche di alcuni ufficiali della "Armata di Macedonia" tra cui Mustafa Kemal.

Al congresso di Parigi del 1902 era presente anche una rappresentanza armena che era favorevole ad un diretto intervento europeo che garantisse le riforme necessarie all'impero. La questione provocò una spaccatura nel congresso, tanto che emersero un'ala liberal-ottomana, capeggiata dal principe Sabaheddin (1877-1948), ed una puramente nazionalistica con a capo Ahmed Riza, il quale, pur appoggiando il processo di occidentalizzazione dell'impero, riteneva che gli interessi delle potenze europee non erano compatibili con quelli ottomani, e quindi bisognava difendere l'indipendenza a tutti i costi.

Il C.U.P. si opponeva alla politica assolutista di Abdul Hamid, che aveva sospeso la costituzione del 1876 e sciolto il Parlamento nel 1878, ma al successivo congresso di Parigi del 1907, riemersero con forza le voci del nazionalismo turco e le riforme liberali passarono in secondo piano.

Il sollevamento delle truppe di Macedonia nel luglio 1908 impose al Sultano il ristabilimento della Costituzione e tutti i notabili curdi in esilio ottennero di poter tornare a Costantinopoli. In questa occasione Sheihk Abdul Qadyr venne nominato presidente del Senato ottomano, ed insieme a Emin Ali Bedir Khan, Sherif Pasha e Ahmed Zulfiq, fondò l'"Associazione per lo Sviluppo e il Progresso del Kurdistan": nell'autunno del 1908, gli stessi fondarono anche una associazione meno politica e più culturale, l'"Associazione per la diffusione della cultura curda", aprendo anche una scuola curda a Costantinopoli.

Durante lo stesso periodo venne pubblicato sempre dal gruppo di Emin Ali il "Giornale del Progresso e del Mutuo Aiuto Curdo", tra le cui pagine veniva sviluppato il discorso sull'importanza della letteratura curda non scritta e sulla "necessità di acquisire e mettere a punto una nuova lingua scritta, chiave dell'educazione e della civilizzazione".

Durante questi mesi la vita politica conobbe un certo liberalismo e tutti gli esiliati politici curdi fecero ritorno anche se costretti a soggiornare a Costantinopoli; inoltre vennero aperti altri club curdi a Bagdad, Mosul, Diarbekir, Bitlis, Erzurum e Mus. Una delle prime conseguenze di tanto rapido successo dei club curdi fu la spaccatura della leadership tra la famiglia Bedir Khan e Sheikh Abdul Qadyr con i suoi seguaci, spaccatura che indebolì il movimento proprio sul nascere: Abdul Qadyr subito dopo pubblicò un proprio giornale, il "Sole Curdo".

Nell'aprile del 1909, dopo meno di un anno di politica relativamente liberale, i "giovani turchi" intrapresero il loro cammino ultra-nazionalista: la scintilla fu la controrivoluzione tentata dai fedeli del Sultano con l'appoggio dei Curdi della tribù Milli. Il tentativo del Sultano fallì, e Abdul Hamid venne deposto: i "giovani turchi" eliminarono anche tutte le opposizioni, partendo proprio da giornali, associazioni e scuole curdi. Alcuni intellettuali curdi furono arrestati, e molti dovettero tornare in esilio per evitare le persecuzioni del governo ottomano. Con la controrivoluzione del 1909, tramontava il Sultanato sotto i colpi del nazionalismo emergente dei "giovani turchi": tramontava anche il breve sogno curdo di una patria comune per Curdi e Turchi.

3.5. GLI ANNI CHE PRECEDONO LA GUERRA
Nonostante l'impero ottomano avesse vissuto un periodo di liberalismo grazie alla rivoluzione dei "giovani turchi", in Kurdistan le rivolte erano continuate ugualmente. Durante tutto il 1909 aveva avuto luogo la rivolta del Dersim che terminò alla fine dell'anno, rimanendo però localizzata.

Contemporaneamente si sviluppò una rivolta ben più vasta nella zona di Mosul e Suleimaniya, guidata da Sheikh Mahamoud Barzandji, lo stesso che, subito dopo la prima guerra mondiale, si dichiarerà re del Kurdistan. Sheikh Mahamoud era alleato delle tribù Barzan e Zibar, e forte di questo appoggio militare, reclamò il controllo amministrativo dell'area in questione, che sarebbe stata da lui governata come sovrano indipendente.

Il IV e il VI corpo d'armata ottomano, inviati contro i ribelli, non riuscirono a sedare la rivolta, e quindi la Porta ricorse ad un compromesso, nominando governatore di Suleimaniya un parente di Sheikh Mahamoud. La rivolta venne così domata, ma gli avvenimenti della primavera del 1909 cambiarono nuovamente il quadro politico ottomano. Abdul Hamid era stato destituito in seguito al fallimento della controrivoluzione del 26 aprile e gli era successo Mehmed V, che rimarrà al potere fino al 1918.

Dopo pochi mesi i Barzan (da non confondersi con Barzindja) scesero nuovamente in guerra sotto il comando di Sheikh Abdul Salam. Le forze ottomane vennero nuovamente sconfitte, e in breve tutto il Kurdistan meridionale si rivoltò contro la Sublime Porta. Tra le richieste di Abdul Salam c'erano l'applicazione di riforme amministrative ed economiche e l'ufficializzazione della lingua curda nella regione del Badinan (Amadiya). Il governo ottomano temporeggiò, fece delle promesse non mantenute, fino a quando riuscì a catturare e giustiziare Sheikh Abdul Salam a Mosul nel 1914.

La rivolta di Bitlis, scoppiata nella primavera del 1910 e guidata da Selim Ali e Moussa Bey, venne subito stroncata, poichè era rimasta isolata, al contrario di ciò che succedeva a sud, dove la ribellione era abbastanza estesa. Preoccupato dell'evolversi della situazione in Kurdistan e fuori, dove gli yemeniti in rivolta avevano mostrato una certa simpatia per la causa curda, il governo ottomano fece un passo indietro e adottò una politica più flessibile nei confronti dei movimenti curdi. Nel 1912 venne legalizzata la società segreta "La speranza curda" che era stata fondata due anni prima da un gruppo di studenti tra cui Khalil Khayali Omar, Khadri Djenil Zade, Fouad Temo di Van e Zeki Effendi di Diarbekir.

Il presidente della "Speranza curda" era Khalil Hassan Motki, membro del parlamento ottomano, mentre l'ideologo era il dott. Chukru Mehemed Sekban, che in seguito divenne un sostenitore dell'idea che la formazione di uno stato curdo indipendente avrebbe avuto degli effetti disastrosi rispetto ai reali interessi del popolo curdo e che l'unica via rimaneva l'integrazione.

La Società pubblicò anche un quotidiano a partire dal 1913, "Il giorno curdo", che l'anno dopo fu ribattezzato "Il sole curdo". L'attività della Società fu intensa e tra i programmi, oltre alla riforma dell'alfabeto curdo, c'era la propaganda di idee nazionaliste tra i lavoratori, soprattutto a Costantinopoli, e i giovani che finanziavano le diverse attività dell'associazione: perciò si ritiene che "La speranza curda" fosse la prima organizzazione politica curda con una struttura centralizzata. Contemporaneamente a "Il giorno curdo" venne fondato "La vita", ennesimo giornale a sfondo politico: tra i redattori c'erano Memdouh Selim e Kemal Fewzi, che sarà giustiziato a Diarbekir nel 1925 per aver attivamente partecipato alla rivolta di Sheikh Said. Durante il 1912 venne creata a Costantinopoli una "Associazione degli amici del Kurdistan", che doveva occuparsi della diffusione delle rivendicazioni curde tra l'opinione pubblica. Contemporaneamente il deputato curdo Lutfi Fikri, da una scissione del C.U.P., fondò il "Partito del rinnovamento", che portò avanti idee abbastanza rivoluzionarie per il tempo: il programma veniva esposto sull'organo di stampa del partito, "L'opinione", il cui direttore era Abdullah Cevdet (uno dei fondatori del C.U.P.), intellettuale che rappresentava la contraddizione della convivenza tra nazionalismo curdo e turco. Cevdet, nazionalista curdo, era anche sostenitore del progresso a qualunque costo per la società in cui viveva: per questo motivo vedeva nella religione un pericolo ed affidava allo stato l'azione civilizzatrice per una moderna società. A livello di élite, non esistevano quindi grandi differenze tra Curdi e Turchi: la realizzazione delle riforme predicate da Cevdet ebbe successo presso i Turchi, poichè Kemal disponeva di un apparato statale centralizzato, mentre le élite curde restavano sottomesse ai capi tribali, che combattevano invece per la conservazione. Questo periodo di ripresa della vita politica curda segnò il passo nella primavera del 1913, quando i giovani turchi presero formalmente il potere con il triumvirato Talaat-Djemal-Enver, che l'anno dopo, al fianco della Germania, parteciperà alla prima guerra mondiale.

3.6. LA PRIMA GUERRA MONDIALE
L'avventura nazionalistica di una guerra al fianco della Germania si rivelò l'ultimo atto dell'impero ottomano, le cui spoglie erano già state divise prima che la guerra finisse. La Sublime Porta non era preparata militarmente per affrontare una guerra e a nulla valse la dichiarazione della Jihad da parte del Sultano-Califfo: ma oltre ai Turchi, anche Curdi e Armeni pagarono col sangue il sogno folle del triumvirato Enver-Talaat-Djemal.

La partecipazione alla guerra da parte delle tribù curde non fu uniforme: le tribù del Kurdistan meridionale parteciparono in minima parte, e quelle del Dersim la boicottarono. Invece sul fronte russo ci fu un massiccio impiego di forze curde reclutate in Anatolia, dove la coscrizione era più semplice da imporre che non al sud e ci fu naturalmente l'impiego dell'Hamidiye. Notizie più precise sulla partecipazione dei Curdi in guerra non sono disponibili nella letteratura occidentale, in parte perchè vengono identificati come musulmani sia i Turchi sia i Curdi e le altre minoranze islamiche, in parte perchè c'era un elemento di identificazione politica tra la nuova élite curda e il movimento di rinnovamento politico sociale che faceva capo al C.U.P.

3.7. IL GENOCIDIO ARMENO
Le ostilità della prima guerra mondiale cominciarono l'1 novembre 1914 ed il "casus belli" fu l'attacco ai porti russi del mar Nero di due navi ex-tedesche, vendute all'impero ottomano, cui seguì l'invasione dell'Anatolia nord-orientale da parte russa.

Il fronte anatolico, grazie alla rinnovata terza armata, era stato ben rinforzato da Enver, che ricopriva la carica di Ministro della Difesa. Una questione che è rimasta poco chiara è la posizione degli Armeni nei confronti dell'eventuale conflitto russo-turco. Secondo alcuni autori, gli Armeni dell'impero ottomano avevano una evidente simpatia per i Russi, e questo avrebbe sicuramente reso difficoltose le operazioni di guerra nei territori armeni. Secondo altri, invece, il comportamento degli Armeni, sia prima sia durante la guerra, fu abbastanza leale verso l'impero ottomano.

Certo è che i rapporti fra Armeni e C.U.P. prima della guerra erano buoni, poichè i cristiani avevano una rappresentanza in Parlamento (ripristinato nel 1908) e lo stesso Enver aveva partecipato all'ottavo congresso del partito armeno Dashnak tenutosi ad Erzurum nell'agosto 1914. Enver avrebbe voluto che il Dashnak organizzasse delle bande che penetrassero in Transcaucasia, ma i dirigenti armeni rifiutarono: ciò accrebbe i sospetti di Enver.

A guerra iniziata non esisteva alcun sentore di ciò che sarebbe successo agli Armeni nel giro di un anno. Ciò che sconvolse i piani dei "giovani turchi" fu la lenta ma inesorabile avanzata dei Russi fino a Kars e l'annientamento della terza armata, decimata dal freddo e dal tifo. Fu a questo punto che cominciò a prendere forma l'idea dello sterminio: eventi che erano stati considerati normali fino allo scoppio guerra, assumevano ora un'altra portata.

I piccoli atti di terrorismo da parte armena rientravano da tempo nella "normalità", come "normali" erano gli scontri tra Curdi ed Armeni. Questi fatti, uniti alla versione falsa che era stata data dai rappresentanti del governo sui risultati del congresso di Erzurum, secondo cui gli Armeni in ogni caso avrebbero appoggiato i Russi nella loro avanzata in cambio dell'appoggio per la costituzione di uno stato indipendente, furono la molla che fece scattare inizialmente la propaganda anti-armena. L'elemento più influenzabile da questa propaganda era quello curdo, che divideva con l'elemento armeno buona parte dell'Anatolia nord-orientale; il fanatismo religioso esasperato dalla dichiarazione della Jihad (novembre 1914), fece il resto. Nel febbraio 1915 cominciarono le provocazioni di massa, organizzate da un Comitato per le Deportazioni, con a capo Midhat Shukru, ed eseguite dalla polizia locale con l'aiuto di irregolari, in gran parte delinquenti comuni senza una precisa estrazione etnica. I militari armeni che combattevano nell'esercito ottomano, furono allontanati dal fronte, impiegati nella costruzione di strade o ferrovie (era in costruzione la Berlino-Bagdad) e poi fucilati a gruppi.

Nell'aprile 1915 scattarono le deportazioni di massa e il pretesto fu un incidente a Zeytun dove rimasero coinvolti una ventina di giovani armeni e il distaccamento di polizia locale: venne subito dato l'ordine di deportare l'intera cittadinanza. Ma l'incidente che venne usato ufficialmente dal governo per dimostrare che era in atto una diffusa ribellione armena, fu la difesa di Van da parte di un gruppo di irregolari armeni che, in seguito ai ripetuti soprusi ordinati nelle ultime settimane da Jevdet, nuovo governatore di Van e cognato di Enver, avevano deciso la resistenza ad oltranza visto che il loro destino era ormai segnato.

Gli Armeni riuscirono a resistere fino all'arrivo dei Russi in maggio e quando l'esercito ottomano, in luglio, fu in grado di riconquistare le posizioni perdute, più di centocinquantamila Armeni passarono dalla parte russa.

Il programma di deportazione scattò a metà maggio con un decreto del Consiglio dei Ministri che nelle apparenze dava un volto di legalità all'operazione, garantendo la salvaguardia dei beni e della stessa vita dei deportati. Le cose andarono altrimenti: le numerose testimonianze confermano che si trattò di un vero e proprio genocidio. A nulla valsero le accuse congiunte di Francia, Gran Bretagna e Russia contro la feroce politica del governo ottomano, come anche le proteste dell'ambasciatore americano Morgenthau e dello stesso ambasciatore tedesco von Wolff-Metternich, che accusava, fra l'altro, il governo ottomano di consapevole sabotaggio degli sforzi bellici destando così il sospetto che ci fosse l'intenzione di perdere la guerra.

La notte del 24 aprile, in seguito ai fatti di Van, vennero arrestati a Costantinopoli 650 Armeni, che rappresentavano l'élite politico-culturale della capitale ottomana: da quella data in poi, gli ordini di deportazione scattarono per i vilayet di Trebisonda, Erzurum, Bitlis, Diarbekir, Kharput e Sivas. Il governo scelse i percorsi che dovevano seguire le colonne dei deportati e le destinazioni finali che in genere erano le zone desertiche della Siria e della bassa Mesopotamia.

Dove possibile, cioè nei centri più remoti e meno popolati, venne uccisa l'intera popolazione dei villaggi armeni; la maggior parte degli uomini validi vennero uccisi in piccoli gruppi al momento della cattura, così che le colonne di deportati erano formate quasi esclusivamente da donne, vecchi e bambini.

Le deportazioni si trasformarono in sicuro metodo di sterminio, poichè sotto il sole estivo, senza acqua e con misere razioni di cibo, solo poche persone arrivarono a destinazione. Le squadre speciali (chetes) addette alle deportazioni, non fecero nulla per difendere i deportati dalle violenze esterne perpetrate più che altro da bande di irregolari musulmani (Curdi, Arabi e Turchi) incitate dalla propaganda governativa antiarmena. D'altra parte tutti i tentativi di soccorrere gli Armeni da parte della popolazione civile musulmana (ed è forse il caso di sottolineare che anche i Curdi facevano parte dei soccorritori), vennero severamente puniti dalle forze di polizia.

Dei circa 1.200.000 Armeni che abitavano l'Anatolia orientale, trecentomila trovarono rifugio in Russia e solo cinquantamila sopravvissero alla deportazione. Tutto ciò fu completato in poco più di tre mesi e alla fine del luglio 1915, l'ordine fu esteso anche alla Cilicia, dove, vista la lontananza dal fronte, non poteva essere invocato il pericolo armeno per lo svolgimento delle operazioni militari. L'ultimo ordine di massacro arrivò durante l'estate 1916 per gli Armeni che erano stati deportati nei campi di raccolta lungo le rive dell'Eufrate e della ferrovia Costantinopoli-Bagdad.

Alla fine del 1916 erano stati massacrati 1.200.000 Armeni: i sopravvissuti, circa seicentomila, erano quelli che avevano trovato rifugio in Russia, coloro che erano riusciti ad organizzare una strenua difesa ad Urfa, Shabin-Karahisar, Musa-Dagh ed erano poi stati tratti in salvo dalle forze dell'Intesa e infine quelli che erano stati tenuti nascosti da amici curdi e turchi, nonostante l'espresso divieto del governo. Si era consumato il primo genocidio del XX secolo.

3.8. LE OPERAZIONI DI GUERRA
Il fronte anatolico fin dallo scoppio della guerra assunse una particolare importanza poichè in quell'area si scontravano sia gli interessi dei Russi, che oltre alla conquista dell'Armenia e del Kurdistan settentrionale, cercavano lo sbocco nel Mediterraneo tramite il controllo di Costantinopoli, sia quelli degli Unionisti le cui ambizioni nazionalistiche panturaniane miravano non solo a recuperare i confini dell'impero precedenti alle amputazioni stabilite al congresso di Berlino del 1878, ma puntavano alla conquista dei territori abitati da Turchi nel Caucaso e nell'Asia Centrale. Il genocidio del popolo armeno fu in parte causato dalle forti tensioni provocate da queste folli aspirazioni. Ciò che è meno noto è che anche i Curdi furono soggetti a deportazioni: il fine del C.U.P. era di evitare che i Curdi dopo la guerra, tornassero in un territorio la cui importanza strategica per l'impero ottomano era aumentata in seguito alla dura sconfitta di Sarikamis.

Le cifre disponibili variano da 100.000 a 700.000 Curdi deportati durante l'inverno tra il 1916 e il 1917, il che significa praticamente massacrati date le rigide condizioni climatiche descritte dai testimoni oculari.

La pressione russa sul fronte del Caucaso doveva servire a distogliere l'attenzione delle truppe ottomane dai Dardanelli per facilitare alla Gran Bretagna la conquista di Costantinopoli; l'impero ottomano sarebbe uscito dalla guerra e questo avrebbe facilitato alle truppe britanniche il controllo del Mediterraneo, la salvaguardia delle posizioni egiziane e l'invio di rifornimenti alla Russia attraverso il mar Nero, anche se gli Inglesi avevano sperato fino in fondo nella neutralità della Sublime Porta.

Le operazioni cominciate nel febbraio 1915 dalla Gran Bretagna non ebbero successo data la massiccia presenza di truppe ottomane nella zona degli Stretti; il 25 aprile gli Inglesi cominciarono le operazioni di terra, sbarcando a Gallipoli con l'ausilio di truppe australiane, neozelandesi e francesi. Durante l'estate gli Alleati tentarono nuovamente di forzare i Dardanelli, ma anche questo tentativo fallì: in dicembre gli Inglesi riuscirono ad attestarsi sulla riva occidentale della penisola di Gallipoli, ma nonostante ciò la situazione rimase statica. Nel gennaio 1916, dopo aver subito pesanti perdite, le truppe Alleate furono costrette a lasciare Gallipoli: il tentativo di conquistare Costantinopoli non era riuscito.

Il fronte della Mesopotamia vide il maggior impegno delle forze inglesi che dovevano proteggere i campi petroliferi persiani, e possibilmente arrivare fino a Mosul e Kirkuk, dove da poco si era scoperto il petrolio: la presenza di tribù arabe nelle zone petrolifere a sud della Persia conferiva particolare importanza a questo fronte, poichè forte era il timore che queste popolazioni aderissero alla Jihad. Dopo la conquista inglese di Basra e di Fao nel novembre 1914, gli Inglesi, sotto il comando del generale Townshend non riuscirono a sfondare il fronte ottomano di Bagdad, cosa che avrebbe permesso il congiungimento alle forze russe.

Alla fine del 1915 il comando delle forze di Bagdad venne preso dal generale tedesco von der Goltz ed Enver fu in grado di spostare alcuni contingenti dal fronte anatolico per rafforzare quello iracheno. La lenta avanzata inglese fu così bloccata a Kut e nell'aprile 1916 l'esercito ottomano fu in grado di infliggere una pesante sconfitta all'esercito britannico. Enver decise quindi di lasciare una sola brigata a Bagdad per spostare il resto dell'armata nuovamente sul fronte anatolico; gli Inglesi passarono il resto dell'anno a riorganizzare le forze e soprattutto a migliorare le vie di comunicazione: fu così ampliato il porto di Basra, costruiti canali, strade e ferrovie di collegamento con il porto e migliorata la navigazione di tutto il basso Tigri e dello Shatt-al-Arab. Solo a questo punto gli Inglesi, sotto il comando del generale Maude, considerarono la possibilità di attaccare, poichè l'esercito russo, dopo la riconquista ottomana di Van alla fine dell'estate 1916, non era più in grado di congiungersi a quello inglese in Mesopotamia. Le operazioni cominciarono in dicembre, e gli Inglesi, seppur lentamente, furono in grado di avanzare; nel febbraio del 1917 ripresero Kut, dove erano stati sconfitti un anno prima, e l'11 marzo entrarono a Bagdad senza che fosse opposta loro una gran resistenza.

La mossa successiva fu quella di tentare di ricongiungersi con le truppe russe, ma il caldo eccessivo prima, la morte di Maude dopo, bloccarono gli Inglesi a Bagdad. La rivoluzione russa, impedì una sostanziale collaborazione dell'esercito zarista all'avanzata inglese verso il Nord: le truppe britanniche procedettero ugualmente, e agli inizi di ottobre arrivarono alle porte di Mosul, che fino all'armistizio rimase in mani turche. I primi contatti tra la popolazione curda e gli Inglesi si ebbero nella primavera del 1918 a Suleimanya, dove venne organizzato un incontro tra notabili locali e rappresentanti dell'esercito britannico: in tale occasione Sheikh Mahamoud Barzindja, portavoce dei notabili della città, iniziò le trattative per un mandato inglese sul Kurdistan.

Dopo la firma del trattato di Brest-Litovsk nel marzo 1918 tra la Germania ed il nuovo governo sovietico, la Sublime Porta non fece segreto del suo programma panturanico: i sovietici cedevano all'impero ottomano i distretti di Kars, Ardahan e Batum e la presenza turca nella regione caucasica venne favorita dalla popolazione azera, mentre la Georgia preferì una alleanza politico-economica con la Germania. L'esercito inglese non disponeva di forze sufficienti per affrontare una campagna militare nel Caucaso; fu così che il generale Dunsterville, comandante della spedizione, si avvalse della collaborazione di forze assire disponibili in Persia.

Le comunità assire erano principalmente due: una viveva in Persia nei pressi del lago Urmia e l'altra, la tribù Jelu, formata da 25.000 persone, per lo più guerrieri, viveva tra i monti Zagros ed il lago Van. Quest'ultima tribù aveva raggiunto il lago Urmia temendo le ritorsioni delle tribù curde della loro regione, Barwar, Artush, Chal e Oramar, in seguito alla collaborazione assira con i Russi.

Il reggimento inglese, noto con il nome di "Dunster Force", rinforzato da 20.000 assiri, quasi tutti della tribù Jelu, arrivò a Baku a metà agosto 1918, ma al primo scontro con l'esercito ottomano dovette ritirarsi, poichè sprovvisto di qualunque copertura. L'esercito ottomano conquistò Baku, ma non fu in grado di preparare l'avanzata verso l'Asia centrale, e realizzare così il sogno panturanico, poichè dopo pochi mesi terminò la guerra. Il generale Dunsterville fece ritorno alle postazioni inglesi in Mesopotamia, ma non avvenne la stessa cosa per gli assiri, i quali correvano un grave pericolo sia se fossero tornati nella loro zona d'origine in territorio ottomano, sia nella nuova dimora in Persia: una unità Jelu, sotto il comando di Agha Petros, decise di seguire gli Inglesi, mentre il grosso della tribù, sotto il comando sia spirituale sia temporale del Mar Shimun (titolo ereditario dei capi religiosi assiri) decise di far ritorno in Persia. Una volta arrivati, il Mar Shimun chiese di parlare con Ismail Agha, conosciuto come Simko, capo della potente tribù curda degli Shikak, per discutere sulla sistemazione degli assiri: il risultato fu l'assassinio del Mar Shimun da parte di Simko e il massacro degli assiri.

Il popolo assiro veniva così in gran parte distrutto nel 1918, anche se il totale annientamento avverrà nel 1933 in Iraq. Tutti gli assiri che rimasero, un terzo circa della popolazione di prima della guerra, furono raccolti dagli Inglesi e portati insieme a 20.000 Armeni nel campo profughi di Baquba in Mesopotamia nel settembre 1918.

Sul fronte egiziano la dichiarazione della guerra santa (Jihad) da parte del sultano Mehemet V, ebbe una grossa eco, e soprattutto i Senussi libici condussero una guerriglia ininterrotta contro le truppe inglesi ed italiane, fino alla fine del 1916, quando gli Inglesi occuparono l'oasi di Siwa, che era la base di partenza dei ribelli .

Alla fine del 1914, fu deposto il Khedive egiziano, che aveva garantito alla Sublime Porta la collaborazione musulmana; la forte presenza militare inglese in Egitto non concesse alcuno spazio ad eventuali rivolte nel nome dell'Islam. L'esercito ottomano non riuscì quindi ad utilizzare il richiamo della Jihad per contrastare la lenta ma inesorabile avanzata dell'esercito inglese oltre Suez, che aveva visto la prima affermazione britannica. Alla fine del 1916 venne ricostituita la Settima Armata Ottomana, battezzata "Yildirim" e posta sotto il comando del generale tedesco von Falkenhayn, affiancato da Mustafa Kemal. Un primo tentativo inglese di forzare il fronte in Palestina fallì (gli Inglesi furono respinti da Gaza nel marzo 1917, dopo che l'avevano conquistata due mesi prima). Dopo aver sostituito il generale Murray con Allenby, l'esercito inglese riprese l'avanzata, appoggiato dagli Arabi dell'Hejaz; agli inizi di novembre fu conquistata S. Giovanni d'Acri ed il 9 dicembre il generale Allenby entrò a Gerusalemme.

Djemal Pasha, che era stato nominato governatore della Siria, lasciò Damasco per Costantinopoli come fece anche Kemal; von Falkenhayn rimase solo sul fronte palestinese, dove resistette fino al 18 settembre 1918, quando gli Inglesi vinsero la battaglia decisiva a Mejiddo ed occuparono la Siria. Su questo fronte era stata preziosa la collaborazione di Sherif Husayn della Mecca, che nel giugno 1916 aveva dichiarato guerra all'impero ottomano, iniziando così la "rivolta araba" in cambio della promessa inglese per la formazione di uno o più stati arabi indipendenti. La rivolta araba garantì la collaborazione con le truppe inglesi, durante tutta l'avanzata dal Sinai a Damasco, della popolazione araba: inoltre parte dell'esercito arabo, guidato dai figli di Husayn Abdullah, Ali e Zaid, assunse il controllo dell'Hejaz e dei porti sul Mar Rosso; l'altra parte, guidata da Faysal, terzo figlio di Husayn, si mosse verso nord fino a ricongiungersi a Damasco con il grosso delle truppe inglesi nell'ottobre 1918.

Solo Mustafa Kemal riuscì ad impedire che le truppe anglo-arabe passassero l'ultimo fronte ottomano ad Aleppo, cosa che avrebbe aperto le porte dell'Anatolia. La guerra finì il 30 ottobre 1918, ma l'Anatolia rimase sotto il controllo ottomano e ben presto diventò il centro del nazionalismo turco, che conservava ancora delle forze intatte sia in Anatolia sia nella regione caucasica.

3.9. ACCORDI E TRATTATI DURANTE LA GUERRA
Subito dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, le Potenze Alleate svolsero un'intensa attività diplomatica: gli accordi intercorsi tra Francia, Italia, Gran Bretagna, Grecia e Russia rimasero segreti e la maggior parte di questi trattavano della spartizione dell'impero ottomano. Se da una parte la neutralità della Porta sarebbe stata la soluzione ideale per gli Alleati, è pur vero che tutti avevano qualcosa da guadagnare dallo smembramento dell'impero islamico.

Il primo degli accordi stipulati nel corso della guerra, fu firmato da Francia, Russia e Gran Bretagna nel marzo 1915 ed è conosciuto come "accordo di Costantinopoli". Francia e Gran Bretagna riconoscevano le aspirazioni russe sugli Stretti ed alcune zone adiacenti, su Costantinopoli e sull'Armenia, lungo una linea a sud che comprendeva Van e Bitlis; la Russia acconsentiva alla liberalizzazione degli Stretti e riconosceva le aspirazioni anglo-francesi nell'impero ottomano ed infine ribadiva gli accordi con la Gran Bretagna del 1907 sulle zone di influenza in Persia, sebbene con ampliamenti strategici (a favore della Russia) verso l'Afghanistan. Con il Trattato di Londra, firmato il 26 aprile 1915, l'Italia scendeva in guerra al fianco degli Alleati ed in cambio le veniva riconosciuta la piena sovranità sulle isole del Dodecanneso, la Libia e, secondo l'art.9 del Trattato, avrebbe ricevuto "una giusta parte nella regione mediterranea adiacente la provincia di Adalia" nel caso si fosse arrivati ad una spartizione dell'impero ottomano.

Nei primi mesi del 1916, Francia e Gran Bretagna prima (le trattative fra i due stati erano iniziate già nel 1915), Russia dopo, perfezionarono quanto era stato stabilito nell'accordo di Costantinopoli; l'accordo venne firmato il 9 marzo 1916 e servì da base per il successivo accordo anglo-francese, conosciuto come accordo Sykes-Picot, dal nome dei negoziatori, e firmato il 16 maggio 1916. L'accordo stabiliva essenzialmente le zone di influenza inglese e francese nei territori arabi dell'impero ottomano, mentre la Russia otteneva quasi tutto il Kurdistan settentrionale lungo una linea che corrisponde grosso modo all'attuale confine turco-iracheno. La Francia si assicurava la zona costiera della Siria, la Cilicia e la provincia di Adana; la Gran Bretagna riceveva la bassa Mesopotamia (i due vilayet di Basra e Bagdad) e i due porti palestinesi di Acri ed Haifa. Nelle zone di influenza inglese e francese si sarebbe favorita la formazione di uno o più stati arabi indipendenti: questa zona andava dalla Palestina al Golfo Persico, comprendeva l'Hejaz, il Nejed, Mosul e l'interno della Siria, e sarebbe stata sotto influenza francese dalla Siria a Mosul e per il resto inglese. Alessandretta sarebbe diventata un porto libero e la Palestina sarebbe stata internazionalizzata.

Per quanto riguarda la regione araba, gli Inglesi, nel 1915, iniziarono le trattative con Sherif Husayn della Mecca e Abdul Aziz Ibn Saud del Nejed: i negoziati vennero condotti separatamente dall'India Office con Ibn Saud e dal Foreign Office con Husayn. Il trattato di amicizia con Ibn Saud fu firmato il 26 dicembre 1915: il trattato garantiva un sussidio annuale ad Ibn Saud ed un aiuto militare in caso di attacco esterno, in cambio di una politica neutrale nei confronti degli Alleati durante le operazioni di guerra in Mesopotamia. Le trattative con Sherif Husayn iniziarono nel luglio 1915 tramite scambio epistolare con Henry MacMahon, Alto Commissario al Cairo: l'accordo dichiarava la disponibilità inglese ad appoggiare l'indipendenza dei territori etnicamente Arabi, tranne che nella zona costiera della Siria, lasciando incerta la situazione della Palestina (oggetto delle trattative con i sionisti per lo stabilimento "di un focolare nazionale ebraico"), e garantendo l'inviolabilità dei Luoghi Santi. Il risultato delle trattative con Husayn fu lo scoppio della "rivolta araba" nel giugno 1916 che diede un notevole appoggio all'avanzata degli Alleati sul fronte egiziano.

Nel luglio 1916 l'Italia venne a conoscenza degli accordi Sykes-Picot e reclamò, secondo quanto stabiliva l'art.9 del Trattato di Londra, una ridefinizione delle proprie concessioni in Asia Minore; nell'aprile dell'anno successivo, Italia, Francia e Gran Bretagna firmarono l'accordo di S.Giovanni di Moriana, con il quale l'Italia riceveva gran parte dell'Anatolia sud-occidentale da Konya a Smirne. L'accordo sarebbe dovuto essere sottoscritto dalla Russia, cosa che non avvenne a causa della rivoluzione che metterà fine all'impero degli Zar.

Questi erano i principali accordi le cui decisioni avrebbero dovuto costituire la base dei trattati di pace, ma l'entrata in guerra della Grecia e degli Stati Uniti e l'uscita della Russia, incisero sensibilmente su quanto era stato già deciso.

3.10. LA FINE DELLA GUERRA
L'uscita della Russia dalla guerra provocò un cambiamento dell'atteggiamento degli Alleati nei confronti dell'impero ottomano. Il primo a fare un passo indietro sulla questione delle spartizioni, fu Lloyd George che dichiarò di non aver nessuna intenzione di togliere alla Turchia la capitale ed il territorio etnicamente turco. Questa nuova presa di posizione inglese sottintendeva il diritto alla secessione di Siria, Mesopotamia ed Arabia. L'atteggiamento inglese concordava con quanto aveva affermato Wilson nel gennaio 1918, il quale nei suoi 14 Punti dichiarò l'intangibilità delle regioni abitate da Turchi.

Prima delle vicende diplomatiche vediamo quale era la situazione nell'impero ottomano negli ultimi mesi di guerra. Già dal febbraio 1917 Talaat era stato nominato Grand Vizir sostituendo così il dimissionario Sait Halim: il potere politico era ora anche in senso formale nelle mani degli Unionisti.

Il 28 giugno 1918 morì il Sultano Mehemet V Rechad e venne nominato al suo posto il fratello Mehemet VI Vahideddin; intanto era cominciata l'avanzata degli Alleati su tutti i fronti e in ottobre, persa Alessandretta, rimaneva solo l'Anatolia da difendere. Ma non ci furono ulteriori battaglie poiché il 30 ottobre venne firmato l'armistizio di Mudros che metteva fine alla prima guerra mondiale. Le trattative per l'armistizio si svolsero ufficiosamente dai primi di ottobre, ma ebbero ufficialmente inizio solo il 14 quando, dopo le dimissioni di Talaat avvenute una settimana prima, fu nominato Grande Vizir Izzet Pasha con lo scopo di firmare l'armistizio.

Il ritardo intercorso tra la formazione del nuovo gabinetto e la firma dell'armistizio fu in gran parte dovuto alle mire espansionistiche degli Inglesi, i quali asssunsero il controllo degli Stretti e della capitale ottomana e occuparono Mosul, contrariamente a ciò che era stato stabilito negli accordi Sykes-Picot, secondo i quali Mosul doveva far parte della zona di influenza francese: dal punto di vista formale già a metà ottobre gli Inglesi dichiararono di non ritenersi legati ad alcun accordo se non quello di Londra dell'aprile 1915, visti i sopravvenuti cambiamenti quali l'entrata in guerra degli Stati Uniti e l'uscita della Russia. L'armistizio di Mudros era un vero e proprio diktat per l'impero ottomano, una serie di obblighi ai quali la Porta doveva far fronte, e con prospettive poco incoraggianti, giacché le sue spoglie erano già state divise durante la guerra. Una delle grosse contraddizioni comunque era il XII Punto di Wilson sulle minoranze dell'impero, che era tanto incoraggiante per le minoranze curde e armene, quanto vago nella realizzazione pratica dell'"...assoluta sicurezza di esistenza e la piena possibilità di sviluppo autonomo ...".

Prima dell'inizio della conferenza della pace a Parigi, la Grecia aveva presentato le sue richieste: la Tracia con Costantinopoli, che però si poteva anche internazionalizzare, l'Anatolia occidentale con Smirne e tutte le isole dell'Egeo comprese quelle del Dodecanneso e Rodi. Costantinopoli era occupata dalle forze Alleate, ma il controllo politico ed amministrativo era tutto nelle mani dell'ammiraglio Calthorpe, l'ufficiale inglese che aveva firmato l'armistizio.

La fuga del Triumvirato Unionista e di altri suoi membri strettamente legati al C.U.P. nella notte del 1° novembre, segnò anche moralmente la fine di una guerra che era stata combattuta per realizzare il sogno pan-turaniano e che invece aveva messo in ginocchio tutto l'impero, cristiani e musulmani, Arabi e Turchi, Curdi e Armeni.

3.11. LA CONFERENZA DELLA PACE
La Conferenza della Pace di Parigi cominciò i lavori nel gennaio 1919 e fin dall'inizio fu chiaro che non sarebbe stato facile raggiungere un accordo definitivo sulla sistemazione dell'impero ottomano.

Come abbiamo visto, la Grecia aveva già formulato in un memoriale le sue richieste; l'altro grande pretendente alle spoglie dell'impero era il rappresentante arabo, l'emiro Faysal, figlio di re Huseyn che era apertamente appoggiato dagli Inglesi, i quali per assicurarsi la collaborazione degli Arabi durante la guerra, avevano loro promesso la creazione di uno o più stati arabi indipendenti.

La Gran Bretagna controllava di fatto la Palestina e la Mesopotamia compresa la parte settentrionale, che sarebbe dovuta essere francese, e indirettamente anche alcune parti della Siria; la Francia cercava di estendere il più possibile la sua influenza sulla regione siriana che nelle zone interne era sotto controllo arabo; le aspirazioni dell'Italia venivano invece ridimensionate dalle pretese greche. Il governo di Roma cercò allora un accordo diretto con la Grecia, in base al quale, in cambio delle isole del Dodecanneso, tranne Rodi, e dell'appoggio per la Tracia orientale, otteneva il riconoscimento alle sue rivendicazioni in Asia Minore.

A Parigi erano presenti anche i rappresentanti curdi e armeni; la delegazione armena, guidata da Boghos Noubar, chiese la piena indipendenza per uno stato che si sarebbe dovuto estendere dal mar Nero al Mediterraneo: tale proposta incontrò il favore inglese ma non quello francese, poiché nell'eventuale stato armeno sarebbe stata incorporata anche la Cilicia.

Per quanto riguarda il Kurdistan non esisteva una netta posizione nei confronti dell'impero ottomano: il capo della delegazione curda era infatti Sharif Pasha Baban che apparteneva alla vecchia guardia della diplomazia ottomana. Nel memorandum presentato il 6 febbraio 1919 alla Presidenza della Conferenza, Sharif Pasha si fece promotore del progetto di un Kurdistan autonomo entro i confini dell'impero ottomano che sarebbe dovuto rimanere integro: la regione autonoma avrebbe dovuto comprendere i vilayet di Dyarbekir, Kharpout, Bitlis, Mosul ed il Sangiaccato di Urfa; inoltre egli stesso si propose come emiro del futuro Kurdistan. Tali proposte non incontrarono particolare favore né tra gli Inglesi, né tra i Francesi: i primi probabilmente perché avevano interessi principalmente economici legati alle concessioni petrolifere ed infatti le zone "interessanti" erano già state occupate nell'ottobre 1918; i secondi perché vedevano in Sharif Pasha una creatura inglese, ed un eventuale emirato curdo era contrario ai propri interessi, oltre al fatto che Clemenceau era più interessato all'Europa e meno al Medioriente.

Per ottenere l'appoggio delle Potenze vincitrici, Sharif Pasha firmò nel dicembre 1919 un accordo sulla sistemazione dei confini curdo-armeni con il rappresentante armeno Boghos Noubar, una mossa sbagliata per le reazioni che provocò tra i Curdi e i Turchi, ma che non era affatto una novità, giacché non solo i Curdi e gli Armeni, ma anche i Turchi avevano collaborato tra loro durante i primi anni del C.U.P., quando il Comitato era indubbiamente progressista nei suoi programmi.

Per la Sublime Porta un accordo curdo-armeno era un tradimento e queste parole danno il senso del profondo risentimento ottomano nei confronti di tale "compromesso": "Se v'erano due elementi che a causa delle differenze di razza e di tradizioni non avrebbero potuto andare d'accordo, questi erano precisamente i Curdi e gli Armeni; durante le sommosse armene al tempo di Abdul Hamid le due razze si combatterono ferocemente; in un conflitto a Costantinopoli i Curdi, non disponendo di armi, strapparono le inferriate nella piazza di Sultan Ahmed per assalire gli Armeni armati di rivoltella". Il dissenso dei Curdi era causato principalmente dalla posizione autonomista di Sharif Pasha che escludeva la formazione di uno stato curdo indipendente; gli Inglesi avevano favorito la partecipazione di Sharif Pasha come "unico" delegato curdo alla Conferenza della Pace, bloccando a Beirut e a Damasco i rappresentanti di Sheikh Mahamoud, i quali si presentavano a Parigi con un programma indipendentista.

Nel maggio 1919 arrivò a Parigi anche la delegazione ottomana guidata dal Gran Vizir Damad Ferid Pasha, il quale fu ascoltato il 17 giugno: nel suo discorso egli riconobbe l'uccisione di "un gran numero" di connazionali cristiani e musulmani, ma dichiarò che la responsabilità di questi misfatti era da attribuirsi ai membri del governo unionista, già riconosciuti colpevoli nel processo tenuto due mesi prima a Costantinopoli, e non al popolo turco.

La risposta di Clemenceau, in qualità di presidente della conferenza, fu tanto decisa quanto scontata; la nazione intera doveva rispondere dell'operato del governo che dirigeva la sua politica estera e disponeva del suo esercito. Terminava così il tentativo "diplomatico" di risollevare le sorti di uno stato la cui sorte era già stata segnata, indipendentemente da responsabilità ed errori.

In giugno furono nominate da Wilson due commissioni d'inchiesta per accertare la volontà degli abitanti dei territori arabi e dell'Anatolia: la commissione King-Crane che si occupava della sistemazione dei territori arabi aveva un ruolo ben più importante della commissione Harbord la quale nel suo rapporto finale constatò che l'Anatolia era abitata "prevalentemente" da Turchi poiché gli Armeni erano stati in gran parte rimossi, come anche parte della popolazione curda, che comunque d'estate si spostava con le greggi verso i pascoli d'altura.

La commissione King-Crane rilevò come la maggioranza della popolazione araba desiderasse l'indipendenza sotto mandato inglese o statunitense e solo parte del Libano era favorevole ad un mandato francese: inoltre nessuno voleva la formazione di uno stato ebraico in Palestina.

Tutta la fine dell'anno e i primi mesi del 1920 furono utilizzati per decidere quanto era stato proposto durante le sedute della conferenza: le decisioni più significative vennero prese nella conferenza di Londra e poi in quella di S.Remo nell'aprile 1920 . La Tracia venne assegnata alla Grecia fino quasi a Costantinopoli ( lungo la linea di Ciatalgia ) che rimaneva ai Turchi ; gli Stretti vennero internazionalizzati; Smirne ed il suo hinterland sarebbero andati ai greci dopo un plebiscito che si sarebbe tenuto entro cinque anni; venne decisa l'autonomia del Kurdistan i cui confini dovevano essere stabiliti, e l'indipendenza dell'Armenia per la quale bisognava trovare la potenza mandataria ; l'Anatolia meridionale venne divisa in zone di sfruttamento economico tra l'Italia, nella zona di Adalia ed Eraclea, e la Francia in Cilicia; infine l'impero ottomano rinunciava ai suoi diritti su Cipro e sull'Egitto.

Tutto questo veniva stabilito senza tener conto del movimento nazionalista turco, che controllava politicamente e militarmente tutta l'Anatolia orientale e che dopo San Remo risultò rinforzato, data l'asprezza delle condizioni di pace che gli Alleati imposero all'impero ottomano.

3.12. IL TRATTATO DI SÈVRES
Il trattato di Sèvres sanzionò quelli che erano stati gli accordi presi durante le conferenze di Londra e di San Remo; queste decisioni risultarono estremamente gravose per l'impero ottomano, e il tentativo turco di opporsi a tali decisioni poteva essere considerato un "nazionalismo difensivo". Le principali clausole del trattato prevedevano l'internazionalizzazione degli Stretti, il mantenimento delle capitolazioni e Costantinopoli soggetta a regime internazionale, sebbene sotto sovranità ottomana. L'impero ottomano perdeva le regioni arabe, Palestina, Siria e Mesopotamia, che sarebbero state amministrate sotto mandato inglese e francese, mentre l'Hejaz sarebbe diventato uno stato indipendente. La Tracia passava alla Grecia fino alla linea di Ciatalgia, 40 km da Costantinopoli; la Grecia otteneva anche Smirne e la regione adiacente che sarebbero passate definitivamente sotto suo dominio dopo cinque anni in seguito a plebiscito, se la popolazione avesse espresso tale volontà; infine il governo ellenico riceveva Imbros e Tenedos, le due isole all'imbocco dei Dardanelli, oltre a parecchie isole dell'Egeo. All'Italia veniva riconosciuto il possesso delle isole del Dodecanneso e Rodi, che sarebbe stata soggetto a plebiscito nel caso in cui la Gran Bretagna avesse ceduto Cipro alla Grecia; inoltre al governo italiano venivano riservati dei privilegi per lo sfruttamento del carbone di Eraclea e nella zona di Adalia.

Alla Francia venivano riconosciuti dei privilegi in Cilicia e nella zona del Kurdistan occidentale, seguendo gli accordi Sykes-Picot tranne che per Mosul; la Gran Bretagna riceveva formalmente il protettorato sull'Egitto, che aveva già assunto nel 1914.

All'Armenia venne riconosciuta la piena indipendenza; i confini sarebbero stati determinati dall'arbitrato del presidente americano Wilson, il quale assegnò al futuro stato il territorio fino ad Erzincan, Trebisonda ed Erzurum, senza poter assumerne il mandato a causa della mancata ratifica del Senato americano.

Per quanto riguarda il Kurdistan, gli Inglesi avrebbero preferito la formazione di uno stato indipendente (per il solo Kurdistan settentrionale), e poichè sarebbe caduto sotto influenza inglese, la Francia appoggiò il progetto di una larga autonomia nei confini dell'impero ottomano. Questo e' il testo dei tre articoli riguardanti il Kurdistan:

SEZIONE III - Kurdistan

Il destino del Kurdistan era soggetto a tante incognite : già previste dall'art.62 del trattato erano le amputazioni del Kurd-Dagh e Alto Djezire, assegnati alla Francia; venivano esclusi i distretti curdi ad ovest dell'Eufrate, dei quali il più importante era Malatya, quelli che sarebbero rientrati nei confini dell'Armenia, cioé Van, Bitlis, Erzurum e Trebisonda, dove gli Armeni, anche se numerosi, non avevano mai raggiunto la maggioranza della popolazione (facendo naturalmente riferimento alla situazione antecedente ai massacri del 1915) ; secondo l'art.64 l'annessione del vilayet di Mosul, praticamente tutto il Kurdistan meridionale, era subordinata alla volontà della popolazione curda, ma questo dipendeva da una situazione del tutto arbitraria e cioè il consenso del Consiglio della Società delle Nazioni, il quale avrebbe dovuto stabilire se la popolazione curda fosse in grado di godere dell'indipendenza; ultima, ma non meno importante amputazione, era il Kurdistan persiano che non veniva affatto previsto nel trattato.

Anche se difficile, la situazione negli anni compresi tra il 1919 ed il 1921 non era ancora disperata e un colpo di forza curdo avrebbe probabilmente prodotto migliori risultati delle azioni diplomatiche alle quali s'erano completamente votati gli intellettuali e i capi curdi. Gli avvenimenti che renderanno disperata la situazione curda negli anni che seguirono il trattato furono principalmente due: la creazione dello Stato iracheno e la guerra di liberazione nazionale di Mustafa Kemal.

Vediamo ora come era organizzata politicamente la società curda che, dopo un secolo di lotte, poteva sperare che gli eventi volgessero finalmente a suo favore. Subito dopo la fine della guerra risorsero i vari club curdi e nuovi furono creati: tra questi c'erano da una parte "Liberazione del Kurdistan", fondato da Seyid Abdullah, figlio di Sheikh Abdul Qadyr; dall'altra il "Comitato per l'Indipendenza Curda", fondato al Cairo da Sureya Bedir Khan, il quale continuava a redigere il giornale "Kurdistan", che sarà un prezioso supporto durante le rivolte degli anni venti. L'organizzazione che raccolse il maggiore numero di notabili, intellettuali e gente comune fu la "Società per la Ricostruzione del Kurdistan" (Kurdistan Taali Djemyeti), fondata da Mullah Sait, Khalil Hayali e Hanza Bey a Costantinopoli, dominata fin dall'inizio dalle due principali fazioni di notabili presenti in Anatolia, i Bedir Khan e i Qadyr, questi ultimi discendenti di Sheikh Obeidullah. Al primo congresso di quest'ultima organizzazione, tenuto subito dopo l'armistizio di Mudros, venne eletto presidente Sheikh Abdul Qadyr, il quale, rientrato dall'esilio della Mecca, era stato rieletto presidente del Consiglio di Stato ottomano, e faceva quindi parte del nuovo governo di Damad Ferid del 4 marzo 1919; allo stesso congresso vennero eletti vice presidenti Emin Alì Bedir Khan e il dott. Fuad Pasha, mentre Hamdi Pasha fu nominato segretario generale.

Tra i membri di questa associazione c'erano altre persone "in vista" della vita politica di Costantinopoli, come il capo della polizia, Khalil Bey, ufficiali dell'esercito e magistrati, tra i quali Remzi Bey, Ekrem Bey, Djemil Zade, il dott. Shoukri Mehmed, i generali Mustafa Pasha e Hamdi Pasha e gli ex deputati Mehmed Bey e Hussein Amin Bey.

Alla Conferenza della Pace emerse una divisione tra i leader curdi e si formarono due correnti: la prima autonomista, quindi per l'amicizia turco-curda e pan-islamica, la seconda indipendentista, meno sensibile al richiamo pan-islamico anche se la questione strettamente religiosa non veniva messa in discussione.

In questo periodo la posizione "ufficiale" curda era quella autonomista, rappresentata a Parigi da Sherif Pasha, e a Costantinopoli non mancarono i tentativi di conciliare le due posizioni: durante i primi mesi del 1919 ci furono varie riunioni ufficiali tra la rappresentanza curda, composta da Abdul Qadyr, Emin Ali Bedir Khan, Emin Bey e Avni Bey e quella del governo di Costantinopoli, di cui facevano parte lo Sheikh al Islam Haidari Zade, capo della gerarchia religiosa islamica, e due ministri del governo Damad Ferid, Abouk Pasha e Avni Pasha.

Il governo ottomano promise una larga autonomia al Kurdistan; ciò che incise maggiormente sui colloqui a Costantinopoli fu l'intervenuto accordo Sherif Pasha-Boghos Noubar, che poneva l'accento sulla coincidenza delle cause curda e armena per il raggiungimento dell'indipendenza. La reazione del governo ottomano non si fece attendere e il "Partito Democratico Curdo", espressione politica della "Società per la Ricostruzione del Kurdistan", non venne autorizzato e Hamza Bey, direttore del giornale curdo "La Vita", portavoce della tesi indipendentista, venne processato e condannato a morte.

Sheikh Abdul Qadyr, nonostante la sua posizione autonomista, venne costretto a dimettersi da Presidente del Consiglio di Stato a causa di una mozione presentata nel marzo 1920 alla Camera dei Deputati. Così la spaccatura del movimento curdo si fece netta e gli indipendentisti con a capo Emin Ali Bedir Khan crearono la "Lega Sociale Curda", mentre gli autonomisti di Abdul Qadyr crearono la "Lega dei Curdi e del Kurdistan": il tratto comune era che tutti quanti i leader cercarono un protettore, Francia o Inghilterra, e tutti quanti si proposero come capi del futuro Stato, garantendo alla Potenza protettrice fedeltà e grossi guadagni.

Ma solo la politica del "fatto compiuto" avrebbe spinto una qualche potenza a schierarsi dalla parte dei Curdi. Fu questa la politica che portò Mustafa Kemal a mutare a proprio favore non solo la situazione "di fatto" ma anche quella "di diritto" con la stipulazione del Trattato di Losanna soli tre anni dopo "l'irrealizzabile" Trattato di Sèvres.