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Marco Cagol

UN POPOLO SCONOSCIUTO

Un popolo sconosciuto: gli zingari, Marco Cagol, 1995, immagine di copertina

GLI ZINGARI


Materiale didattico per giovani
Associazione per i popoli minacciati - Sudtirolo, 1995


INDICE
giùIntroduzione

Sinti e Rom ieri e oggi
giùIl Calderas | giùImportanza dei nomi e dei loro significati | giùUna giovane zingara | giùUna storia di emarginazioni e di rifiuto | giùTestimonianze | giùIl genocidio operato dal Nazismo | giùValacchia addio! | giùValutazione del numero di zingari e viaggianti in Europa | giùRom, Sinti e altre minoranze in Italia | giùGiostrai, nomadi e "cavallari" | giùRom e Sinti oggi in Europa | giùI Gabrielli - Una famiglia di musicisti

Vita e cultura
giùLa cultura | giùLa magia | giùLa religione | giùLa famiglia | giùLa scuola | giùIl lavoro | giùLa musica | giùLingua e dialetti

Stereotipi e pregiudizi
giùStereotipi e pregiudizi | giùCome la stampa affronta il "problema" zingari | giùRom e gagè

Appendice
giùBibliografia | giùEnti ed associazioni che si occupano degli zingari

su- INTRODUZIONE

Nell'esperienza di tempo limitato alla classe IV, i bambini documentarono per mezzo di testi orali, scritti e disegnati, le loro paure. In genere i bambini hanno paura degli zingari, anche se la loro vita nomade ha per loro un fascino; le voci che corrono in paese sono tutt'altro che buone, per fatti accaduti nel passato ma soprattutto per il rifiuto di accettarli come persone alla pari, con una loro particolare concezione del mondo e una loro umanità.
(Mario Lodi)
La gente ha paura degli zingari ed in genere dei diversi. Questa paura genera poi spesso pregiudizi ed incomprensioni e questo porta alla nascita dell'odio e dell'intolleranza. Per poter sperare di creare un giorno una società più tollerante, o, come scrive Laura Balbo, "una società poco razzista", è necessario conoscere gli altri, i diversi da noi; è assolutamente necessario considerare questi ultimi come portatori di una cultura, né migliore, né peggiore, ma solo diversa dalla nostra.
Gli zingari sono una minoranza che anche recenti studi hanno presentato come la meno accettata nella società occidentale: anche nell'immaginario collettivo degli italiani lo zingaro è rappresentato come "l'uomo nero", il cattivo, il rapitore di infanti, il ladro, il rissoso. Forse gli zingari non sono "gli uomini neri"!
Questa pubblicazione si ripropone di far conoscere un po' meglio gli zingari, la loro storia, loro cultura, "la loro particolare concezione del mondo e la loro umanità".
Non è sicuramente un testo esaustivo e completo; vuole essere un primo approccio ad un problema che riguarda l' intercultura. Per questo motivo nella pubblicazione si troveranno continui rimandi ad altri testi e suggerimenti per ulteriori approfondimenti.
La pubblicazione è stata pensata per studenti della scuola media e del biennio delle scuole superiori ed ha voluto per questo essere molto agile, varia, "poco scolastica"; speriamo però faccia riflettere e, sviluppando la capacità critica dei ragazzi, introduca nuovi modi di accostarsi al sociale ed ai mezzi di informazione, per arrivare così ad una società più civile e cioè, più rispettosa delle diversità.

SINTI E ROM
IERI E OGGI

Un popolo sconosciuto: gli zingari, Marco Cagol, 1995, interdit aux nomades


su- IL CALDERAS

Per la prima volta nella vita Vissalòm (1) ebbe un luogo dove andare, lui che aveva sempre girato il mondo a caso, lasciando quasi che fosse il cavallo a scegliere la strada. Voleva passare al di là delle montagne carsiche, in Italia, voleva vivere gli anni che gli rimanevano in quel regno, che era il paese del sole e delle belle giornate. Tanto uno stato valeva l'altro, e la patria dello zingaro era là dove fermava il suo wurdon (2) per accamparsi e legava i cavalli al tronco di un albero.
Vissalòm si pose di nuovo a cassetta, con il bambino accanto, e cominciò a salire col carrozzone le piccole strade che attraversavano le montagne del Carso. Da giorni non pioveva e i viottoli erano asciutti e molto polverosi. Il vecchio si sentiva lieto di avere accanto un essere che respirava, mangiava, dormiva, rideva, piangeva, entrava nel territorio della letizia e nell'ombra della malinconia. Sindel per lui era come un giocattolo. Vissalom sentiva che con il bambino aveva perduto la sua libertà, ma aveva acquistato in cambio la gioia sottile di non essere più solo. Nella sua saggezza sapeva che ogni fatto umano era in pari tempo una perdita e un acquisto. Ogni evento era un gioco strano di Baxt (3).
Ora Sindel chiedeva spesso dei genitori, e anche di Harieta e di Miron, i fratelli. Più i giorni passavano e più pareva che essi andassero acquistando maggiore importanza per il bambino.
"Ci vengono dietro, con un altro wurdon" lo rassicurò Vissalòm. Ma quando li incontriamo? "Te l'ho detto. Di là delle montagne. In Italia."
Vissalòm si ricordò solo allora di una cosa importante.
"So il tuo nome. So il nome dei tuoi fratelli e dei tuoi genitori. Ma il cognome non lo so. Non me lo hai mai detto."
"Cos'è il cognome?" chiese Sindel.
"Il secondo nome. Quello che non hai solo tu, ma anche tuo padre e i tuoi fratelli. Io, per esempio, mi chiamo Vissalòm di nome e Orasanu di cognome."
"Io non ho nessun cognome" disse Sindel.
"Certo che ce l'hai. Tutti ce l'hanno, e quindi anche tu. Pensaci bene."
Radu non me lo ha mai detto, e neppure Veronica. Mi chiamavano Sindel e basta."
Vissalòm sentì un brivido. Questa era una complicazione in più. Aumentavano le sue difficoltà nell'occuparsi del bambino, perchè nel mondo dei gagè, in cui dovevano vivere, avere il cognome era importante come possedere tutti e due gli occhi, o i piedi, o le mani. Avere un cognome da scrivere sulle carte era come ottenere il permesso di vivere. Per i gagè chi non aveva il cognome era un po' come non esistesse neppure, o esistesse soltanto a met…. Cosa doveva fare? inventargli un cognome? E fino a quando il piccolo si sarebbe contentato di quella favola sui fratelli e i genitori? Del resto Vissalòm temeva che, in certo modo, Sindel già intuisse in parte, per vie impensate, la verità.
Una sera, quando fermò i cavalli, li staccò dal wurdon e li fece pascolare con l'erba di nessuno, quella lungo i cigli delle strade. Sindel cominciò un pianto infantile, una specie di nenia senza lacrime, scosso ogni tanto da singulti. "Gli zingari non piangono mai, neanche quando hanno un grosso motivo per essere tristi. Gli zingari suonano e ballano. Prova a cantare."

Vissalòm gli insegnò delle canzoni, nel loro linguaggio che aveva qualcosa di indiano, ma anche di tedesco, di slavo, di rumeno, anzi di tutti i linguaggi che si parlavano nel territori dell'Impero e in tutti i Balcani. Sindel qualche filastrocca la sapeva già. E quando Vissalòm gli cantò una melodia conosciuta, lui fece gli occhi dell'allegria, per il piacere di riconoscere qualcosa che aveva fatto parte del suo mondo prima di Novigora, quando stava con i suoi.
"Ora suono il mio violino" disse il vecchio. E attaccò con musiche che nascevano da lui, inventate lì per lì, sonate che avevano qualche rapporto con le canzoni popolari rumene, conosciute in gioventù.
Vissalòm intuiva che così stavano le cose con la musica, ma non sapeva bene perchè, e non ci pensava neppure. Quando suonava tutta la sua persona diventava nient'altro che la fontana delle note che stava inventando. La musica gli faceva brillare gli occhi. Era una rivelazione che nasceva chissà come, e usciva così vivace dal suo strumento che chi la sentiva non poteva trattenersi dal battere ritmicamente le mani o i piedi.
Da dove veniva? Vissalòm non lo sapeva. Gli sembrava che non nascesse da lui ma da molto più lontano. Forse veniva da suo padre, Spiridon, o da suo nonno, Grigore, che suonavano come lui, inventando e inserendo nelle proprie invenzioni le canzoni popolari di Moldavia, Valacchia e Transilvania. Ma a loro da chi veniva? Forse da un ignoto spirito folletto, oppure da Devèl ...
Una cosa era certa, ossia che quando Vissalòm suonava, aveva la sensazione di non sapere più dove cominciasse e dove finisse la sua persona. Capiva che lui era se stesso, ma era anche nello stesso tempo tutti gli zingari, di ogni stirpe, che l'avevano preceduto nei secoli. Quella musica non aveva né un prima né un poi. Un attimo avanti che nascesse dalla cassa del suo violino lui non sapeva nemmeno che andamento avrebbe preso, e un attimo dopo spariva nell'aria e gli pareva di non ricordarla nemmeno. Così era la musica degli zingari. Soltanto quella dei gagè veniva scritta sui fogli di carta rigata, e i loro musicisti ed esecutori sapevano rifarla tale e quale. La loro musica aveva una durata e si conservava nel tempo. Ma per gli zingari era una cosa diversissima. Per loro essa era estro, libertà, improvvisazione.

dal romanzo "ll Calderas" di Carlo Sgorlon, A. Mondadori Editore, Milano, 1988.

1 - Vissalòm è un vecchio zingaro che ha accolto sul suo carro Sindel un ragazzino zingaro rimasto orfano. Sindel non sa della morte dei suoi genitori e dei fratelli.
2 - Wurdon Š il carro degli zingari trainato da cavalli.
3 - Baxt e Devel, nominato più avanti, sono delle divinità. Baxt (o Baht è il Destino, la Fortuna; Devel in lingua romani (la lingua degli zingari) significa Dio e deriva dal termine indiano (sanscrito) Deva.

su- IMPORTANZA DEI NOMI E DEI LORO SIGNIFICATI
Come dice Vissalom nel romanzo di Sgorlon, i nomi sono importanti.
Tutti noi usiamo, per designare noi o gli altri, dei nomi. Molto spesso noi stessi non abbiamo scelto questi nomi, e così abbiamo un nome di battesimo, forse uno o più soprannomi, un cognome e qualche volta sappiamo che qualcuno ci ha anche assegnato qualche epiteto, qualche titolo offensivo. Alcuni si scelgono un altro nome, per esempio certi artisti, certi cantanti, e con questo poi diventano famosi.
Così anche ogni popolo ha uno o più nomi nel quale, o nei quali, forse si riconosce o forse no. Così, per fare un esempio, la parola Esquimese significa letteralmente mangiatore di carne cruda : così sono stati chiamati gli abitanti delle zone artiche dai loro vicini indiani; loro invece si definiscono Innuit che significa Uomini veri.
In Africa i Berberi sono stati così chiamati dai greci che li definivano barbari ed anche il termine tedesco è un nome dispregiativo, significa infatti volgare, ed anche questo nome è stato dato da vicini non proprio amici.
Anche per designare gli zingari esistono molti termini con connotazioni, significati, diversi.

Come sono stati chiamati gli zingari
Molti nomi con i quali vengono chiamati i nomadi, rimandano alla presunta storia di questo popolo. Così in Francia vengono chiamati Bohemiens, Poiché quando gli zingari arrivarono in Francia, poterono esibire un salvacondotto donato loro dall' Imperatore Sigismondo il quale era anche re di Boemia.
Tutti ricordano il film del 1936 di Stanlio & Ollio intitolato "La ragazza di Boemia" che racconta appunto la storia dei due comici nei panni di due zingari.
In Spagna vengono chiamati Ungaros riferendosi al loro lungo soggiorno in terra d'Ungheria.
Molti altri termini con i quali vengono chiamati gli zingari rimandano ad una errata identificazione con esiliati egiziani che a causa della loro fede religiosa erano stati cacciati dalla terra d'Egitto. Gitani, Gitans, Gypsies, Yeftos....sono tutti nomi che si rifanno a questa leggenda.
Spesso anche il modo di vivere ha determinato il loro nome. E' questo il caso del termine italiano nomadi con il quale vengono chiamati gli zingari. In Sicilia si usa ancora il nome camminanti. Questi appellativi generalizzano una caratteristica, quella di non avere fissa dimora, a tutto un popolo anche se esistono molti nomadi stanziali.
I nomi zingari, Zigeuner, Tsiganes ... sono i più diffusi in Europa, tuttavia questo termine ha in tutte le lingue una connotazione negativa. La stessa etimologia, l'origine del nome, mette in cattiva luce chi porta questo nome; zingaro viene infatti dal greco ATHINGANOI ed era questo il nome di una setta eretica che praticava la magia nera.

Come si definiscono loro
Foto di rom di diverse provenienzeIl termine che gli zingari usano maggiormente per definirsi è rom (al plurale: Rom, o più raramente, roma) e significa uomo, maschio. É questo il nome che ormai usano per designare tutto il loro popolo anche se i rom che nel tardo medioevo ( XIV-XV secolo ) nelle loro migrazioni arrivarono in Occidente (Germania, Austria, Boemia, Slovenia ed Italia del Nord ) preferiscono essere chiamati Sinti.
Questo nome deriva da Sindh: la regione del Pakistan occidentale, attraversata dal fiume Indo, dalla quale erano partiti.
I nomadi che invece sono arrivati più tardi (ma anche in tempi più recenti, per esempio, dalla seconda metà del XIX secolo in poi e negli ultimi anni, provenienti dalla ex Jugoslavia), e si sono stabiliti soprattutto nell'Europa del Sud e dell'Est, e cioè la gran parte dei nomadi europei, si definiscono rom.
Molte persone propongono così di usare il nome rom, ed in particolare, rom e sinti, come nomi collettivi di questo popolo, anche se ormai il termine zingari è molto usato per designare tutti i diversi gruppi nei quali è diviso questo popolo.
Da notare poi che, per fare un esempio, gli zingari dell'Iran non conoscono e quindi non usano il nome rom (o roma), quelli di Spagna preferiscono chiamarsi Kalo (plurale: Kale) e quelli dell'Armenia usano per se stessi il termine Lom.
Questo popolo, che per molto tempo ha abitato le regioni dei Balcani, usa inoltre chiamarsi con altri nomi che ricordano il lavoro che facevano in quelle regioni. Così troviamo i nomi Lovara, dalla radice linguistica ungherese lov che significa cavallo e che ci ricorda che erano bravi allevatori di cavalli, e Kalderas, dal tardo latino usato in Romania caldaria che significa paiolo; molti zingari lavoravano infatti come fabbri.
Anche il protagonista del romanzo "Il Calderas", dal quale è stata tratta la prima lettura, aggiustava casseruole e lavorava il rame.
Tentare di trovare un nome comune che vada bene per tutti i gruppi, molto diversi tra loro, che compongono questo popolo, risulta dunque molto difficile; per questo anche in questo testo useremo sia il termine rom e sinti, sia il nome zingari dimenticando il significato negativo di quest'ultimo.
Dall'esame dei nomi che sono stati dati a questo popolo o che i rom e i sinti si sono dati è comunque possibile ricavare molte notizie utili per ricostruire la storia di questo popolo.

su- UNA GIOVANE ZINGARA

Sciolgo il foulard che porto intorno al collo e lo annodo al mio braccio ferito. Accarezzo questo foulard con un dolce pensiero. Non ho uno specchio con me. Meglio così, probabilmente mi farei paura. Immagino di essere uno spaventapasseri. E non devo essere lontana dalla verità, con il mio vestito a brandelli, macchiato di sangue e di fango, il mio viso appannato dal dolore, dalla paura e dalla fame, le mie mani e i miei piedi anneriti e disgustosi. Non ho il potere di far scaturire una sorgente in questo campo. L'acqua della pioggia, asciugandosi, peggiora il mio aspetto. E tuttavia non posso restare in attesa di un miracolo. Devo affrontare le vie dei villaggi e delle città. Durante tutto il cammino, tra questo cane e me circola un'aria di complicità. Un semplice scambio di sguardi diventa una parola d'ordine.
Quando gli dico: "Toska, ho fame, ho sete", afferra tra i denti un lembo del mio vestito e mi tira fino a quando i miei occhi non si posano su una bancarella di frutta. Mi passo sulle labbra inaridite dalla febbre la lingua piena di desiderio e gli spiego: "Sono ferita ... Se il fruttivendolo mi tocca con un dito cado a terra. Bisogna trovare un'altra soluzione".
Allora Toska aspetta che io mi sia allontanata. Lo attendo in fondo alla strada, lo guardo entrare in azione. E un cane che sa il fatto suo, Toska. Non so da dove viene, ma mi piace. Si rizza sulle zampe posteriori davanti ad una cassetta di mele, e con una zampa ne tira fuori due o tre che rotolano lungo il marciapiede fino a me.
Dal giorno della mia partenza dal campo, non ho incontrato un accampamento di zingari. Eppure per me questo è un incontro vitale. Il mio braccio si sta sgonfiando di nuovo e la mia ferita suppura. Sono piena di ansia e il mio dolore mi incita ad andare avanti. Non ha senso aspettare seduta in un angolo, però mi trascino fino a sentirmi sfinita. Per non essere notata, dormo in un fossato per una parte del giorno, al riparo dalla luce e dagli uomini. Di notte cammino e nel cuore ho paura dei morti.
Nei villaggi mi accompagna quasi sempre la simpatia dei bambini, mentre gli adulti mi trattano da sudicia zingara e insultano il mio cane. Toska drizza le orecchie, e tira avanti con disprezzo.
Toska è il mio buon umore. É un cane indipendente, e tuttavia si prende completamente cura di me. Lui mi rende possibile la vita.
Non so in che mese siamo, ma stamattina la nebbia è fitta. Fa freddo e le mie mani oscillano lungo il corpo. Piccole ombre strisciano sotto gli arbusti e all'improviso delle scintille bluastre fanno sfoggio della loro bellezza. Sono dei bellissimi uccelli che passeggiano per farmi dispetto.

da un racconto di Sandra Jayat pubblicato dalla rivista Peter Pan (n. 10, novembre 1994).

Sandra Jayat, come l'eroina del suo libro, è una zingara. Rifiuta il matrimonio che è stato deciso per lei, lascia l'Italia ed arriva a Parigi senza sapere né leggere né scrivere. A 25 anni pubblica la sua prima raccolta di poesie. Anche se Sandra Jayat ha vissuto un'espenienza non comune a tanti rom e sinti, la sua scrittura racconta bene la storia degli zingari: una storia che non parla di battaglie e guerre o di grandi eventi, ma che racconta la realtà della vita quotidiana scandita dalla preoccupazione per il cibo da procurare, dagli spostamenti e dalle soste, spesso dal disprezzo dei gagè (i non zingari), dal freddo, dal caldo ... Una storia non scritta ma tramandata oralmente.

su- UNA STORIA DI EMARGINAZIONI E DI RIFIUTO
La storia, la cultura, le tradizioni, i miti di questo popolo sono stati sempre tramandati solo oralmente e raccontano la vita di chi ha sempre vissuto ai margini della nostra società.
La terra di origine di sinti e roma è l'India. Negli ultimi anni vari storici e soprattutto vari linguisti hanno ribadito l'origine indiana di questo popolo e la radice sanscrita del loro linguaggio.
Probabilmente i sinti e i rom nella scala sociale occupavano una posizione bassa: appartenevano o ad una delle caste inferiori o forse addirittura erano dei senza casta. Questo spiega perchè tra il V° e l'XI° secolo, carestie, guerre e l'indigenza li spinsero ad abbandonare la loro terra di origine e ad intraprendere, in piccoli o grandi gruppi, degli spostamenti verso la Persia e l'Armenia.
Neanche in questi stati trovarono rifugio e sempre in cammino su strade sulle quali, come dice una canzone zingara, " nessun gallo canta e nessun cane abbaia", arrivarono finalmente nell'impero bizantino.

L'arrivo in Europa
Carta delle migrazioni di sinti e romAgli inizi del XV° secolo gruppi di zingari arrivarono, come testimoniano le cronache del tempo, nell'Europa dell'Est.
Nacquero allora tra le popolazioni locali molte leggende sulla provenienza di questi nomadi. A creare queste leggende contribuirono sia le caratteristiche somatiche dei sinti e rom: capelli molto scuri, pelle olivastra, sia la pratica della decorazione della pelle con tatuaggi, sia il modo di abbigliarsi e di ornarsi, sia infine la lingua.
Alcuni ritennero che gli zingari fossero di origine ebrea, altri che venissero dall'Egitto, altri ancora che fossero di origine tartara. Almeno all'inizio non furono però male accolti; furono quanto meno accettati.
Così, per esempio, nel salvacondotto, del 1423, dell' imperatore Sigismondo si ordina che degli zingari, guidati in quel momento da un certo Ladislao Voivoda, siano bene accolti nell'impero.

"Noi Sigismondo, per grazia di Dio sempre Augusto Re dei Romani, Re d'Ungheria, di Boemia, di Dalmazia, di Croazia....
.....Per la quale cosa dovunque il detto Ladislao Voivoda e la sua gente giungano nei nostri domini, città e castella, con la presente lettera comandiamo e ordiniamo alle nostre fedeltà che il medesimo L.V. e gli zingari suoi sudditi, tolto ogni impedimento e difficoltà, debbano essere favoriti e protetti e difesi da ogni attacco e offesa. Se poi tra loro stessi sarà sorta qualche zizzania o contesa, allora né voi, né nessun altro di voi, ma lo stesso Ladislao Voivoda, abbia facoltà di giudicare e liberare.
Anno Domini MCCCCXXIII , in Spis, la domenica prima della festa di San Giorgio martire."
Gli zingari rimasero comunque ai margini della società, nei loro accampamenti, dediti ai piccoli commerci e a qualche attività artigianale legata all'abilità nel lavorare i metalli.

La grande diffusione degli zingari in Europa avvenne in un momento di importanti cambiamenti: stavano infatti nascendo gli Stati moderni. L'affermazione di un potere assoluto comporta sempre l'emarginazione e l'eliminazione di ogni tipo di diversità e punta tutto sulla omogeneità dei sudditi; la conseguenza fu la repressione anche nei confronti degli zingari.
Nel 1499 Ferdinando il Cattolico associava gli zingari ai mori ed agli ebrei e ne ordinava la cacciata dal suo regno.
Nel 1498 la Dieta di Augusta stabiliva l'impunità per chiunque recasse danno a sinti e rom: "Wer Zigeuner schadigt, frewelt nicht." (Chi danneggia gli zingari non commette reato ).
Illustrazione di quel tempo che rappresenta la cattura e la condanna di uno zingaro. L'esecuzione capitale avvenne tra il 14 e il 15 novembre 1726 a Giessen (Germania), dopo che lo zingaro fu sottoposto anche a tortura.In quegli stessi anni anche la condizione dei contadini peggiorò moltissimo e molti, immiseriti e senza possibilità di lavorare, si diedero all'accattonaggio; nel 1591 la città di Bologna bandì sia gli zingari sia i contadini rimasti senza lavoro.
Anche molte città tedesche adottarono provvedimenti simili.
La nuova burocrazia ed in genere tutte le forme di controllo sociale adottate dai nuovi stati crearono molti problemi a sinti e rom.
Nel Wurttenberg, in Prussia ma anche a Milano molti zingari furono consegnati direttamente al carnefice: la pena capitale poteva infatti essere inflitta anche senza processo e la Serenissima Repubblica di Venezia aveva nel 1558 stabilito che chi consegnava alle autorità uno zingaro riceveva dieci ducati e che

"possendo etiam li detti Cingani, così homini come femmine, che saranno ritrovati nei Territiri Nostri esser impune ammazati, si che gli interfettori ( gli uccisori ) per tali homicidi non abbino ad incorrer in alcuna pena."
Fu in questo periodo che nacquero alcuni dei peggiori pregiudizi nei confronti dei sinti e dei rom. Si disse che erano delle spie al servizio dei turchi, che fossero i discendenti di Caino e che avessero forgiato i chiodi usati per crocifiggere il Cristo, che rapissero i bambini, che subdolamente diffondessero la peste ....

Questa insegna metallica mostra a quali pene sarebbero stati sottoposti gli zingari: doveva scoraggiare il passaggio e la sosta degli zingari in quella regione. Il palo al quale vennero esposte queste insegne veniva utilizzato anche per l'impiccagione.Nel settecento, nel secolo dei lumi, si instaurò la politica della assimilazione dei diversi e dunque anche degli zingari che non dovevano più essere discriminati a patto però di diventare cittadini come tutti gli altri.
Maria Teresa d'Austria e suo figlio Giuseppe II proibirono agli zingari di usare il loro nome, la loro lingua, di vivere secondo la loro tradizione. In Austria i bambini sinti e rom, all'età di quattro anni, dovevano essere tolti alle loro famiglie e dati in affidamento a contadini che li crescessero " come buoni cristiani ". Non erano dunque gli zingari che rapivano i bambini cristiani ma lo stato cristiano che sottraeva loro i figli.
Sia l'industrializzazione dell'Europa del XIX° secolo e la conseguente crisi dell'artigianato, sia la meccanizzazione dell' agricoltura e la scomparsa di molte terre demaniali ( di proprietà dello stato e di enti pubblici dalle quali gli zingari potevano trarre cibo e legna ) aggravarono la situazione.
La trasformazione poi degli stati europei in stati di polizia che pretendevano controllare tutto e tutto sottoporre all'ordine costituito, fece sì che tutti i diversi, zingari compresi, fossero criminalizzati e considerati "oziosi, vagabondi e socialmente pericolosi".
D'altra parte più venivano emarginati, più pregiudizi nascevano nei loro confronti e dunque sempre più necessario era per loro ricorrere ad espedienti per poter sopravvivere, e questo non faceva che aumentare ancor di più l'odio verso di loro.

Il controllo sociale era la premessa della repressione razzista che il nazismo ed il fascismo avrebbero attuato nel XX° secolo con lo sterminio di ebrei, zingari e diversi in genere.

su- TESTIMONIANZE

Vorrei cominciare dai ricordi della mia fanciullezza, quando nel viterbese, durante l'estate, venivano i carrozzoni degli zingari e le mamme temevano che gli zingari portassero via i loro bambini. Ecco, ho cominciato da questa situazione che era assurda, gli zingari amano moltissimo i loro bambini ma non hanno mai rapito bambini. Vorrei poi raccontare di quando nell'inverno del 1943/44 nel sottocampo di Deblin, dove ero prigioniero dei nazisti scopersi una famiglia di zingari, anche quella fra i reticolati. Ma non riuscivo a capire perché fossero tra i reticolati.
L0 seppi molto più tardi studiando i problemi e la storia dei lager nazisti. La persecuzione degli zingari operata da Hitler fu la persecuzione di un popolo che si potrebbe definire purissimo come ariano, approdato nel secolo XV in Europa perseguitato spesso, allontanato sempre; gli zingari nel lager nazisti furono assimilati agli ebrei, e come loro sterminati ad Auschwitz e a Treblinka, il campo della morte immediata. Gli scienziati nazisti "dimostrarono" che gli zingari si erano mescolati venendo dall'lndia con altri popoli e perciò avevano perduto la loro purezza raziale. Il più bel ricordo deqli zingari, paradossalmente, è quello del comandante di Auschwitz, Hess, che nel suo libro di memorie parla del loro invincibile ottimismo nonostante le violenze con le quali erano angariati. Non si sa quanti ne morirono in Auschwitz e in Treblinka, ma certo più di trecentomila. Nel 1975, in occasione dell'Anno Santo vi fu a Roma un pellegrinaggio di zingari da tutta l'Europa. Nel campo che li riuniva alla periferia di Roma trovai dei superstiti di Auschwitz, che portavano ancora il tatuaggio "Z"(Zigeuner) e il numero di immatricolazione. Durante la guerra partigiana nella Slovenia, gruppi di zingari furono deportati in Friuli. Il campo non era Auschwitz, ma anche lì morirono molti. I più fortunati furono quelli di loro deportati in Sardegna, perché ebbero un trattamento umano.
La comunità zingara, che dal 1500 si era stanziata in Italia, esercitava, e ancora esercita, la lavorazione del rame. Altri suonano violini e riescono a vivere dignitosamente, esercitando la loro arte che è molto apprezata. Altri ancora sono tornati all'allevamento dei cavalli.
L'ltalia, e in particolare Roma, non è mai arrivata a costruire dei campi di sosta come dall'inizio di questo secolo gli olandesi hanno cominciato a erigere per i loro nomadi. All'inizio questi campi olandesi erano molto estesi, ora si sono attrezati un'insieme di piccoli campi che radunano zingari familiarmente omogenei, campi all'interno autogovernati.
La grande, e incontrollata, emigrazione dalla Jugoslavia ha aperto un periodo nuovo e grave. In comune hanno la lingua zingara e i costumi tradizionali delle donne. Questa immigrazione, soprattutto negli ultimi tempi, ha provocato tra gli zingari, da secoli, nel nostro paese, che hanno la nazionalità italiana e prestano in Italia il loro servizio militare, qualche frizione per i modi di vivere radicalmente diversi e per la sopraffazione esercitata da capi autoproclamatisi tali, che spesso zingari non sono, ma hanno costretto e arruolato zingarelli e no al furto.
La popolazione non conosce gli zingari se non superficialmente. Li accomuna genericamente nel disprezo e nel timore per le malefatte di pochi.

Questa testimonianza è stata scritta da Vittorio Emanuele Giuntella per la rivista "Avvenimenti" (12 ottobre 1994). L'autore è stato docente di Storia moderna al Magistero Maria Assunta e di storia dell'età dell'llluminismo all'Università di Roma. Dopo l'8 settembre 1943 fu internato in un campo di concentramento.

Abitavamo in casa a Monaco e avevamo anche una scuderia, perché mio padre commerciava cavalli. Quando scoppiò la guerra, mio padre fu chiamato militare. Prestava servizio nella Flak, nella contraerea contro gli inglesi.
Un giorno vennero le SS, requisirono tutti i cavalli e ci portarono a Dachau. Mia sorella maggiore, di quindici anni, fu subito portata via e non la vedemmo mai più. Mia madre voleva trattenerla, ma la picchiarono così forte sulla schiena con un bastone, che le ruppero le reni e poco dopo morì. Le mie sorelline di tre e cinque anni dovevamo portare avanti e indietro mattoni; se cadevano, le prendevano a calci con gli stivali. Anche loro morirono.
Un giorno portarono al campo anche mio padre. Era là, in divisa, in mezzo al cortile. Lo ammazzarono a bastonate davanti ai nostri occhi.
Io avevo allora dodici anni. Mi fecero dei raggi al ventre. Dopo avevo dolori fortissimi, ma sono vissuta. Sono vissuta si, ma non come donna, perché non posso più avere figli.

Emilia Sattler (testimonianza raccolta a Bolzano nel 1967)

Ero un ragazzo di tredici anni nel 1943 nel campo di Dachau. Ero in quel campo di sterminio in tenera età e vidi morire centinaia di esseri umani, nella maggior parte Sinti ed Ebrei.
Si moriva di fame e quel tozzo di pane nero che ci davano, era dato con cattiveria.
Vidi mia sorella strappata via per farla morire; mia madre cercava di trattenerla, ma lu strapparono via e le rimasero solo dei capelli in mano.
Le lacrime e il dolore di una mamma, che vede morire i suoi figli, io li vidi con i miei occhi. Ma era meglio morire che soffrire fra tutte quelle reti, che ci dividevano dalla libertà del mondo. L'unico modo per avere la libertà era la morte.
Dopo due anni che si era in quella barriera di morte, nel 1945 vennero gli americani e ci diedero la libertà. Cosi siamo potuti tornare a Trieste. Ma tutta la famiglia era dispersa e mia madre morì di disperazione il 3 settembre 1946.

Alberto Levakovk (testimonianza raccolta a Cittaducale nel 1974)

dalla rivista "Lacio Drom" (1994)

su- IL GENOCIDIO OPERATO DAL NAZISMO
Provenienza dei sinti e rom uccisi nei campi di concentramento. Da: Stichwort Sinti und Roma, pag. 56La storia dei Sinti e dei Rom presenta molti aspetti comuni con la storia del popolo ebraico. Sia gli ebrei che gli zingari hanno vissuto per secoli in Europa senza avere però una loro patria; entrambi sono stati osteggiati dalle leggi razziste del fascismo e del nazismo che ha anche programmato il genocidio dei due popoli. Mentre però, dopo la seconda guerra mondiale, sull'olocausto, sull'eliminazione degli ebrei nei campi di concentramento, sono stati scritti molti libri, sono stati girati molti film e si è molto discusso, del genocidio del popolo zingaro si è parlato molto poco. Anche nella sentenza del processo di Norimberga contro i crimini nazisti un solo capitolo si riferisce allo sterminio di sinti e rom:

"I gruppi d'assalto ricevettero l'ordine di fucilare gli zingari. Non fu fornita nessuna spiegazione circa il motivo per cui questo popolo inoffensivo, che nel corso dei secoli ha donato al mondo, con musica e canti, tutta la sua ricchezza, doveva essere braccato come un animale selvaggio. Pittoreschi negli abiti e nelle usanze, essi hanno dato sfogo e divertimento alla società, l'hanno a volte stancata con la loro indolenza. Ma nessuno li ha condannati mai come una minaccia mortale per la società organizzata, nessuno tranne il nazionalsocialismo, che per bocca di Hitler, Himmler e Heydrich, ordinò la loro eliminazione ".
Solo questo paragrafo, tra inesattezze e banalità, ricorda quanto era successo durante il nazismo.
Per un potere assoluto la diversità è un elemento di disordine che sfugge al controllo della polizia e che crea problemi di ordine pubblico. Si spiega così la repressione del nazismo, del fascismo e di altri regimi nei confronti dei diversi: ebrei, omosessuali, dissidenti politici, zingari. Quest' ultimi poi praticavano il nomadismo e questo comportava, per il potere, ulteriori problemi di ordine pubblico. Infatti, una delle prime preoccupazioni del nazismo fu proprio quello di "metterli in gabbia" e di schedarli.
Con le leggi di Norimberga (1935) a "tutela del sangue e dell'onore dei tedeschi" si ribadì che:
" Poiché l'appartenenza al sangue tedesco è una premessa per il diritto di cittadinanza, nessun ebreo può essere cittadino del Reich. Lo stesso vale anche per gli appartenenti ad altre razze, il cui sangue non è affine a quello tedesco, per esempio zingari e negri."
Deportazione dei Sinti dalla regione del Reno (maggio 1940)Fu istituito anche un "Centro di ricerche scientifiche sull'ereditarietà" il quale doveva dimostrare la diversità degli zingari. Iniziarono così nel 1936 le deportazioni di zingari nel "campo di lavoro" di Dachau; nel solo 1936 ne arrivarono più di quattrocento. Nello stesso anno, per ripulire Berlino in occasione delle Olimpiadi molti sinti furono internati a Marzahn e ad Auschwitz.
Un sistema adottato dal nazismo per eliminare gli zingari fu anche quello della sterilizzazione forzata delle ragazze sinti e rom. Questo risulta anche dalla testimonianza di Emilia Sattler, riportata nelle pagine precedenti.
Con il " Decreto di stabilizzazione " (1939) si obbligavano gli zingari a non abbandonare mai più il luogo allora occupato e con un decreto del 1940 se ne ordinava la deportazione in Polonia.
Il 16 dicembre 1942 fu infine promulgato il " Decreto di Auschwitz " (Auschwitzerlass): tutti gli zingari dovevano essere internati senza alcuna considerazione né del grado di purezza razziale (era stato infatti facile dimostrare che, essendo di origine indiana, erano sicuramente ariani), né del paese di provenienza.

La politica repressiva adottata dal nazismo fu estesa a tutta la "Grande Germania" ed anche in Austria la situazione degli zingari non fu diversa.
Circa 6000 zingari austriaci trovarono la morte nei vari campi di concentramento.

Come scrive Vittorio Giuntella nella testimonianza riportata all'inizio del capitolo: "I più fortunati furono quelli deportati in Sardegna, perchè ebbero un trattamento più umano". La repressione operata dal regime fascista nei confronti dei sinti e dei rom non fu così disumana come quella nazista: furono comunque emanate varie leggi con le quali si tentò di rendere stanziali gli zingari, di impedirne l' ingresso in Italia, di sancire "l'inferiorità" di questo popolo, si operarono dei rastrellamenti lungo i confini, soprattutto quello orientale e molti sinti e roma furono deportati in Austria e Germania. Circa mille zingari italiani furono uccisi durante il ventennio fascista.

Anche in altri paesi europei occupati dai nazisti i sinti ed i rom furono perseguitati durante questi anni e non mancarono, sempre in questi paesi, gli zingari che si unirono ai partigiani nella lotta contro i nazifascisti. Nel romanzo "Il calderas", già citato in precedenza, si racconta la storia di uno zingaro che combatte come partigiano in Italia.

su- VALACCHIA ADDIO!

Dopo il terzo anno si erano verificati alcuni fatti preoccupanti per la permanenza dei sinti in Valacchia (1). Già da qualche tempo il maniscalco aveva rifiutato i servizi di Ruk, chiedendogli denaro per ferrare il cavallo.
Un giorno Ruk aspettava il suo turno per ferrare Fulmine. Quando toccò a lui, si fece avanti un signore che disse con tono prepotente: "Ho aspettato abbastanza. Ora deve essere sistemata la mia bestia." Il maniscalco eseguì l'ordine. Finse ancora di non vedere Ruk e prese a lavorare su un cavallo venuto all'ultimo minuto; allora il sinto, fiero, alzò la voce: "Adesso tocca a me!"
"Noi non accettiamo straccioni come te!" disse il padrone del cavallo. "Vattene!"
Ruk reagì violentemente a quest'offesa, ma gli altri erano in troppi. Non solo non gli ferrarono il cavallo, ma lo malmenarono. Si difese con tutte le sue forze. L'ingiustizia subita lo scosse molto. Dopo di lui, altri sinti fecero la sua triste esperienza.
Il problema di ferrare i cavalli fu risolto quando tornarono al campo gli zingari forgiatori di metalli.
Essi però raccontarono che erano stati costretti a ritornare, perchè non avevano più trovato lavoro. Si era sparsa la convinzione tra la gente dei paesi e delle città vicine che i sinti dovessero essere evitati perchè appartenenti ad una razza diversa da quella degli abitanti della Valacchia.
Due mesi dopo questo brutto fatto, arrivò il domatore di orsi, tristissimo. Non aveva più la sua scimmietta. In un villaggio gli avevano impedito di fare il suo spettacolo. Due gagè avevano preso la scimmietta e sbattendola contro un muro l'avevano ferita a morte.
Si era difeso dalla folla solo grazie all'orso che si era infuriato. Triste ed amareggiato consigliava a tutti di partire alla ricerca di paesi più ospitali.
La maggioranza però non si dava per vinta ricordando i primi anni vissuti in pace. Decise di rimanere.
Era arrivato settembre. La notte era scesa e la luna piena dal cielo osservava il campo nomadi. Malgrado la sua luce, nessuno si accorse di due ombre che si stavano avvicinando al recinto dei cavalli. Tolsero il legno che lo chiudeva e fecero uscire gli animali pungendoli con rami spinosi.
Perchè il custode di quella notte, il forte Bierno, non si era accorto di nulla?
La risposta si ebbe al mattino quando Peslotto lo trovò ancora dolorante vicino al cancello del recinto con i segni di una grave botta sulla testa.
Anche Peslotto andò a cercare i cavalli fuggiti ma tornò al campo solo con una rabbia enorme in cuore.
Ma quale fu il suo stupore e la sua gioia quando vide nel recinto i cavalli e, bello tra tutti, il suo Fulmine. Erano ritornati spontaneamente quando il dolore dovuto alle spinate era passato e si erano calmati.
La felicità di quel ritorno fu presto rovinata da un grave incendio che bruciò il carro di un sinto arrivato dalla Grecia. Lui si era salvato, saltando fuori dal carro già in fiamme. Nessuno pensò ad un incidente. Tutti pensarono che qualche gagè avesse appiccato il fuoco per dispetto. Le persecuzioni erano diventate ormai insopportabili. Attorno al grande fuoco i padri decisero di abbandonare la Valacchia e di dirigersi verso nord-ovest, verso le Alpi.

da " Peslotto"
testo elaborato dalla classe Va della scuola elementare "Madonna bianca" di Trento (1986) in collaborazione con ragazzi sinti e con i propri insegnanti e pubblicato a cura della Provincia Autonoma di Trento - Servizio Istruzione e Assistenza scolastica.

(1) La Valacchia è la regione geografica e storica che unendosi nel 1881 con la Moldavia formò il regno di Romania. Il centro più importante della regione è Bucarest.


su- VALUTAZIONE DEL NUMERO DI ZINGARI E VIAGGIANTI IN EUROPA
Paese Numero minimo e massimo delle persone
Albania 90.000 100.000
Austria 20.000 25.000
Belgio 10.000 15.000
Bielorussia 10.000 15.000
Bosnia-Erzegovina 40.000 50.000
Bulgaria 700.000 800.000
Cipro 500 1.000
Croazia 30.000 40.000
Danimarca 1.500 2.000
Estonia 1.000 1.500
Finlandia 7.000 9.000
Francia 280.000 340.000
Germania 110.000 130.000
Grecia 160.000 200.000
Irlanda 22.000 28.000
Italia 90.000 110.000
Lettonia 2.000 3.500
Lituania 3.000 4.000
Lussemburgo 100 150
Macedonia 220.000 260.000
Moldavia 20.000 25.000
Norvegia 500 1.000
Olanda 35.000 40.000
Polonia 40.000 50.000
Portogallo 40.000 50.000
Repubblica Ceca 250.000 300.000
Repubblica slovacca 480.000 520.000
Regno Unito 90.000 120.000
Romania 1.800.000 2.500.000
Russia 220.000 400.000
Serbia-Montenegro 400.000 450.000
Slovenia 8.000 10.000
Spagna 650.000 800.000
Svezia 15.000 20.000
Svizzera 30.000 35.000
Turchia 300.000 500.000
Ucraina 50.000 60.000
Ungheria 550.000 600.000
altri stati per memoria

Europa (circa) 7.000.000 8.500.000

da: Jean Pierre Liègeois, Tsiganes, Voyageurs, Consiglio d'Europa, 1994

su- ROM, SINTI E ALTRE MINORANZE IN ITALIA
Mappa delle minoranze in ItaliaSecondo recenti indagini, attualmente vivono in Italia circa 70.000 zingari; secondo altri ce ne sarebbero invece circa 100.000. Di questi quasi la metà è stanziale, dimora cioè stabilmente in un luogo. É stato calcolato che circa un terzo degli zingari che vivono in Italia sia di provenienza extracomunitaria e che tra questi ultimi la quasi totalità siano persone provenienti dalle regioni della ex Jugoslavia.
Molti rom venuti qui negli ultimi anni sono arrivati tra la fine degli anni '60 e la metà degli anni '70 o nella successiva ondata migratoria avvenuta fra il 1987 e il 1991 proprio dalla regione balcanica. Nella pagina precedente è riportato un articolo, tratto dalla rivista Avvenimenti, che analizza i diversi gruppi che compongono il popolo zingaro in Italia.

La Costituzione della Repubblica italiana all'articolo 6 dice: "La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche". Questo popolo non è però di fatto mai stato riconosciuto come minoranza e l'unica preoccupazione degli amministratori pubblici e dei politici sembra, spesso, essere quella di "cacciare" dal proprio territorio questi indesiderati. Solo tre regioni in Italia hanno elaborato dei disegni di legge e si sono date delle Linee generali e programmatiche di intervento a tutela di sinti e rom: la regione Veneto, la regione Lazio e la Provincia autonoma di Trento.
Il mutamento delle condizioni sociali di vita del nostro paese ha inciso profondamente, dal dopoguerra ad oggi, su tutta la realtà economico-sociale ed ha interessato anche gli zingari che non trovano più giustificazione economica ai loro antichi lavori (gestione di circhi e giostre, lavorazione di metalli, allevamento di cavalli...) ed oggi attraversano un periodo di grande difficoltà.
Spesso inoltre la situazione è aggravata dall' atteggiamento repressivo delle forze dell'ordine che intervengono in modo spesso pesante nei luoghi di sosta degli zingari per reprimere la piccola delinquenza.
Anche l'inserimento dei bambini sinti e rom nella scuola non è un dato di fatto e lo dimostrano le statistiche che affermano che in Italia il 97% di questi bambini non arriva ad assolvere l'obbligo scolastico.
Anche nella Provincia di Bolzano si riproduce la stessa realtà ed anche qui le istituzioni e le varie amministrazioni pubbliche sono piuttosto latitanti rispetto al problema zingari, al punto che di sinti e rom si occupano quasi solo la Caritas, l'Opera Nomadi (don Bruno Nicolini, in particolare), la "San Vincenzo", l'Associazione popoli minacciati e qualche altra associazione o persona che a livello di volontariato, e con poche risorse, tenta di risolvere almeno le situazioni più urgenti. L'istituzione di campi di sosta attrezzati rimane anche da noi una speranza.
Nell'alta val Venosta vive un gruppo di nomadi (die Karrner) che vivono "come gli zingari" ma che etnicamente e linguisticamente si differenziano da rom e sinti. Hanno alcune caratteristiche particolari come la lingua (Jenische), l'abbigliamento e sono appunto nomadi: "Karrner" viene da Karren, i carri.

su- GIOSTRAI, NOMADI E "CAVALLARI"

Roma oggi rappresenta uno spaccato di quella che è la realtà degli zingari in Italia. Sono infatti presenti molti gruppi diversi: dagli stanziali ai nomadi passando per i seminomadi; dagli zingari italiani a quelli recentemente immigrati nel nostro paese in particolare dall'est.
I SINTI. Prevalentemente giostrai e nomadi: sono presenti in molti quartieri periferici, dove, specie in primavera, mostrano le loro attrazioni. Le famiglie si contraddistinguono seconda della regione di provenienza. Abbiamo quindi: Sinti marchigiani, lombardi, piemontesi.
I ROM ABRUZZESI. Giunti in Italia sul finire del 1300, diffusisi nelle regioni centromeridionali e, in particolare stanziatisi in Abruzzo, raggiungono la capitale nel periodo tra le due guerre. Sono loro che abitano in prevalenza nella famosa baraccopoli del Mandrione. Oggi, in parte abitano nelle case popolari di Nuova Ostia e Spinaceto, in parte hanno case di loro proprietà, specie lungo la Tuscolana e all'Anagnina.
I ROM LOVARA E KALDERASA.Giunti in Italia agli inizi del secolo derivano il loro nome dal mestiere di allevatori di cavalli (in ungherese lob = cavallo) e di indoratori e lavoratori del rame (calderai). Abitano in case e in roulottes.
I ROM KHORAKHANA E KANJARJA. Provengono dalle regioni centromeridionali della ex Jugoslavia. I primi sono musulmani, i secondi cristiani di rito ortodosso. La loro immigrazione, iniziata negli anni '60, continua tutt'ora e si è intensificata con la guerra civile in Bosnia. Sono, per così dire, la spina nel fianco delle amministrazioni locali, in quanto non si riesce a dare loro quei servizi necessari previsti dalla legge.
I ROM RUDARI. Originari della Romania, anche loro giunti attraverso la ex Jugoslavia in Italia negli anni'60. Vivono in accampamenti meglio organizzati lungo la Tiburtina e la Collatina. Si occupano della lavorazione del rame, sono musicanti e vendono fiori per la strada.
I KAULJA. Di recentissima immigrazione, provengono per lo più dalla Francia, ma sono orignari dell'Algeria. Poverissimi, si aggregano talvolta ai Khorakhané con i quali condividono la stessa fede religiosa.
I CAMMINANTI SICILIANI. Originari della Sicilia orientale, sono venditori ambulanti. Vivono per lo più in baracche.

da Avvenimenti 12/10/1994

su- ROM E SINTI OGGI IN EUROPA
Come risulta dai dati presentati nella pagina precedente più di 5 milioni di zingari vivono oggi in Europa. Secondo altre fonti questo calcolo è errato e gli appartenenti a questo popolo, presenti in quasi tutti gli stati europei, sono circa 10 milioni.
I Karrner della Val Venosta in un disegno del pittore sudtirolese A. Stolz (19??)Proprio la vita nomade ed i frequenti spostamenti da uno stato all'altro rende questo censimento particolarmente difficoltoso.
Rispetto poi al problema dei rapporti con le varie minoranze, ci sono, tra i vari stati europei, delle grandi differenze di atteggiamento e legislative e, a livello di Comunità Europea, oggi manca ancora una normativa politica e giuridica che garantisca agli zingari, in tutti gli stati europei, gli stessi diritti umani, civili e politici.
Ultimamente è sorta anche un'organizzazione internazionale dei sinti e rom. Questa associazione è stata anche riconosciuta nel 1979 dalle Nazioni Unite come organizzazione non governativa internazionale. l'Unione Romanì si occupa proprio della tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, collaborando con diverse istituzioni ed organizzazioni.
Nel 1990, al 4° congresso dell'Unione Romanì parteciparono rappresentanti di circa 30 stati. In questa occasione sono però emerse anche divisioni e divergenze che rischiano di vanificare il lavoro di questa organizzazione.
l'Unione Romanì potrebbe invece costituirsi come luogo di aggregazione e di confronto ed aiutare così sia gli zingari ad avere coscienza della propria identità, sia i gagè a superare i pregiudizi e a rifiutare gli stereotipi che si riferiscono a questa minoranza.
Anche perchè sono proprio i pregiudizi sugli zingari e, come scrive Mario Lodi, la paura degli stessi, ciò che accomuna tutti gli stati europei.
" La discriminazione contro di noi, supera tutte le frontiere ", recita così un verso di una poesia zingara.

su- I GABRIELLI - UNA FAMIGLIA DI MUSICISTI

Una foto della famiglia Gabrielli di BressanoneI Gabrielli sono una delle famiglie di sinti più conosciute del Sudtirolo. Sono originari dell'Austria, appartenenti al folto gruppo dei sinti "Estrakarja". Allora si chiamavano ancora Adelsburg. Poi dovettero cambiare cognome per non farsi riconoscere e per evitare le persecuzioni dei nazisti e dei fascisti. "Nonostante ciò mio padre venne arrestato e internato a Napoli", racconta Alessandro Gabrielli, detto Neves, oggi il "patriarca" della famiglia, "Lo si credeva un intellettuale antifascista perchè aveva le mani fini e l'aria del grand'uomo. Invece faceva il musicista. Fuggiti da Napoli dall'internamento con tutta la famiglia mio padre tornò verso il Nord d'Italia con un mulo che tirava il loro carro. Vivevamo della nostra musica. Prima suonavamo negli accampamenti dei soldati italiani, poi anche dagli alleati. Ad entrambi piaceva la nostra musica. In Sudtirolo venivamo accolti bene, stavamo meglio di molti zingari oggi", continua Neves, "c'erano pochi zingari allora, c'era più povertà, più gente del sud appena immigrata. Si viveva con poco. Ho imparato la musica da mio papà, a sei anni ho cominciato a suonare il violino. Non mi servivano dei corsi. I nonni, il padre, i parenti, tutti suonavano uno strumento e cantavano. Solevamo fare anche del teatro, soprattutto commedie con tanta della nostra musica. Suonavamo dappertutto, sulle strade, sulle piazze, nei ristoranti, sulle feste.

Fino pochi anni fa si viveva bene della musica. Suonavamo per intrattenere la gente. I ristoranti erano contenti di poterci ospitare per molte serate e giravamo per tutta l'Italia. Oggi, è più difficile suonare all'aperto ed in altri luoghi pubblici. A volte viene la polizia, a volte ti multano. E' tutto più complicato.

Abbiamo anche inciso due cassette con la nostra musica con il titolo "Musica dei sinti del Sudtirolo". Una produzione che è costata ben 8 milioni. 7-8 anni fa un grande produttore che ci aveva conosciuti in una festa si avvicinò e ci propose di fare un altro disco. Ci offrí subito un contratto di due anni. "Ti faccio diventare famoso", mi disse, ma avrei dovuto impegnarmi troppo tempo per le registrazioni, per concerti e tournée. Dissi di no. Non firmai il contratto. Anche in Francia, un noto attore e produttore discografico voleva assumermi per la produzione di un disco con altri musicisti sinti. Rifiutai, perchè avrei dovuto lasciare la mia famiglia per mesi per andar a vivere in Francia senza la famiglia. Non mi va di essere alle dipendenze di un padrone. Noi sinti siamo fatti cosí. Questo è il nostro carattere. Non possiamo legarci per tanto tempo ad un padrone, lontano dai nostri."

Oggi Neves e la sua famiglia vivono a Bressanone. Neves ha dieci figli e dozzine di nipoti. Già da dieci anni i Gabrielli si sono insediati a Sud della città e hanno un buon rapporto con i vicini. "Solo la polizia continua a considerarci pericolosi, sembra," racconta Neves indignato, "spesso vengono sul nostro campo per controllarci e dall'esterno a volte ci osservano per ore. Perchè? I Carabinieri entrano anche nelle case di qualsiasi cittadino per controllare e perquisire? Mio figlio è stato fermato dalla polizia stradale, cortesemente. Appena videro dalla patente che era un sinto, perquisirono scrupolosamente tutta la macchina". E di questi episodi Neves racconta ancora in abbondanza.

Il campo-sosta in cui vivono i Gabrielli oggi è piccolo, ma bello e ben curato. Due casette in legno, spaziose roulottes, WC e docce, macchine ben tenute, piante ed erba coltivata con cura. E' del tutto diverso della baraccopoli a Bolzano-Sud. Solo il treno che passa vicino dá un certo fastidio. I Gabrielli stanno bene cosí - se la salute lo permette - e continuano a suonare. E vorrebbero essere rispettati come cittadini con diritti e doveri come tutti gli altri.

E i rom immigrati dall'Est? Che ne pensa Neves? "E' tutto segno di una enorme crisi", risponde Neves, "la gente scappa perchè sta male, perchè soffre. I rom ed i sinti devono tornare a fare ciò che hanno fatto durante secoli interi. Devono andarsene, scappare dalla fame e della miseria, dal servizio militare e dalle guerre. E non sono gli unici stavolta. I paesi occidentali dovrebbero mostrarsi più umani. Dovrebbero accogliere i veri profughi. Anche l'Italia dovrebbe fare la sua parte. L'Opera Nomadi ha detto: lo Stato italiano deve finalmente predisporre campi sosta in tutti i comuni maggiori. Purtroppo finora si è fatto pochissimo".

Ci racconta ancora dei suoi viaggi, e quando sono stati ricevuti dal Papa, tutta la famiglia. E quanto ci piacerebbe ascoltare la sua musica. Speriamo che tornino a suonare per rallegrare i nostri cuori con quei inconfondibili violini sinti.


VITA E CULTURA

Una vecchia foto di musicisti zingari

su- LA CULTURA
Noi Sinti

Noi Sinti abbiamo una sola religione: la libertà. In cambio di questa rinunciamo alla ricchezza, al potere, alla scienza e alla gloria.
Il nostro segreto sta nel godere ogni giorno le piccole cose che la vita ci offre e che gli altri uomini non sanno apprezzare:una mattina di sole, un bagno nella sorgente, lo sguardo di qualcuno che ci ama. É difficile capire queste cose, Zingari si nasce.
Ci piace camminare sotto le stelle, la nostra è una vita semplice, primitiva. Ci basta avere per tetto il cielo. Un fuoco per scaldarci e le nostre canzoni quando siamo tristi.

Vittorio Mayer Pasquale, da "Lacio Drom", rivista di cultura zingara, 1973

Le radici della cultura dei rom e dei sinti si devono ricercare in India. Recenti studi hanno dimostrato che esistono molti elementi comuni con la cultura, la civiltà e le lingue dravidiche, di quelle popolazioni cioè che, arrivate in India prima del 3500 a.C., si stabilirono nelle regioni del Deccan e del Panjab e fondarono la città di Harappa ( Hara è uno dei nomi del dio Siva ) e quella civiltà urbana di circa mille anni precedente l'invasione degli arii.
Nella cultura dei rom e dei sinti si incrociano però molti successivi influssi, a cominciare dalla cultura dei Veda (testi religiosi degli arii immigrati in India).
Nelle sue secolari migrazioni questo popolo è entrato in stretto contatto con molti altri popoli assumendone, in parte, usi e costumi; ma Poiché queste migrazioni si sono realizzate in tempi e con itinerari diversi, è difficile parlare di un'unica cultura dei rom e dei sinti. Gli elementi comuni a tutti i gruppi zingari non sono molti, basti pensare alle varie lingue parlate da questo popolo, alle religioni professate, alle diverse tradizioni. A parte l'origine, è comune il sentimento che esprime questa poesia:

Sono vecchio e affaticato ma non posso restare.
Gli zingari si fermano solo per morire, perchè la strada è la loro vita.
Sulla strada veniamo al mondo, lungo le strade viviamo, in fondo ad una strada ci prende la morte.
Così è la nostra vita siamo poveri ma felici.
La nostra ricchezza è lo star seduti attorno ad un fuoco ad ascoltare il violino che suona.
Anche a questo proposito bisogna però notare che esistono rom e sinti ormai stanziali ed altri che praticano il nomadismo.
Elementi culturali comuni possono anche essere: il senso di indipendenza, il ruolo della vita (considerata più importante di qualsiasi idea o valore), il rifiuto della guerra come istituzione, l'attenzione per i bambini, l'autorità paterna ed il ruolo subordinato della donna, l'amore per la musica, il senso del magico.

su- LA MAGIA
Anche nei brevi testi di letteratura zingara riportati all'inizio dei vari capitoli di questo testo si trovano dei riferimenti a spiriti buoni o cattivi che continuamente intervengono nella vita degli uomini. Ancor di più ascoltando i racconti dei vecchi zingari si sente spesso parlare di esseri demoniaci (Nivasha, Phuvasha...), di streghe, di spiriti dei morti (Cohane), o di spiriti benigni. Anche loro, come gli induisti o i buddisti, credono nella metempsicosi, credono cioè che l'anima di un essere umano nel momento della morte si trasferisca o in un oggetto, o in un animale, o in un uomo; questo spiega perchè pensino ad un mondo così pieno di spiriti che possono essere, come tutte le cose, o puri o impuri.
Per i rom ed i sinti la differenza tra puro ed impuro è identica a quella fra vita e morte: puro è il sole, il latte, la salute, la testa,.....; impuri sono i piedi, la malattia, la sporcizia, le tenebre ...
Legata a questo ritorno degli spiriti e a questa alternanza tra puro e impuro è la concezione del tempo, ed in particolare, della ruota della fortuna. L'idea di fortuna è strettamente legata a quella di destino (o, per usare una parola sanscrita, di Karma).
l'universo è guidato dal destino e tutto avviene secondo le leggi fissate dal destino. Questo spiega un certo fatalismo presente nella cultura zingara.
Questa cultura, già molto differenziata tra i diversi gruppi, ha perso molti dei suoi valori nell'ultimo secolo a causa della imposizione della "nostra" cultura basata sulla tecnologia e sulla comunicazione. Nelle case, ma anche nelle roulotte, nelle baracche e nelle tende abitate dagli zingari è sempre più facile trovare una televisione e sempre più facilmente le tradizioni, gli usi ed i costumi di questo popolo scompaiono di fronte ai nuovi modelli di vita che la società dei consumi impone a loro come a noi.

su- LA RELIGIONE
Ogni anno in maggio migliaia di zingari si recano in pellegrinaggio a Les Saintes Maries de la Mer (Francia) per festeggiare la loro protettrice SaraPer capire quale importanza ha per i rom ed i sinti la religione e per capire la loro vita religiosa, bisogna risalire alle origini di questo popolo. Anche parlando della religione bisogna premettere che ci sono grandi differenze tra i diversi gruppi di zingari: alcuni sono musulmani, altri cristiani ortodossi, altri cattolici o luterani. Ci sono così rom e sinti che festeggiano il Natale e la Pasqua, altri che festeggiano il Bajram ed il Kurban Bairam.
I rom e sinti hanno comunque conservato alcuni elementi comuni, di origine indiana, pur avendo, in parte, accettato la fede dei popoli presso i quali sono vissuti.
Abbiamo già visto nel capitolo precedente che è comune a tutti gli zingari la credenza negli spiriti dei morti e la fede nel Destino (fortuna).
Ci sono poi alcuni miti, come quelli riferiti all'acqua o quello della battaglia e della vittoria di Indra, che costituiscono un patrimonio religioso comune. Indra è una delle grandi divinità induiste assieme a Shiva e Vishnu. E' da notare che Vishnu, in tre successive incarnazioni, si presentò agli uomini come Rama: c'è chi sostiene che il nome rom ( o roma ) significhi proprio figli di Rama.
Ci sono poi alcuni "santi" comuni a rom e sinti sia cristiani che musulmani; questi santi, di origine indiana, sono in particolare: Bibi (o Sara) la Nera e San Giorgio.
Quella di San Giorgio è una festa di primavera. In onore di San Giorgio viene sacrificato un agnello e parte delle carni dell'agnello vengono appese ad un albero, affinché gli spiriti buoni (le fate) se ne cibino e continuino ad essere benevole.
Anche la festa della dea Bibi si celebra in primavera (marzo), sotto un grande albero. In Serbia questa dea è rappresentata esattamente come Kalì, la dea che in India è venerata come la compagna di Shiva. I rom la considerano la protettrice dei bambini.

Era una limpida e calda giornata di giugno, quando venne alla luce il terzo figlio di Patari e Ruk. Aveva due grandi occhi azzurri che sembravano due stelle luminose. I capelli scuri ricordavano quelli dei genitori.
Secondo le abitudini dei nomadi di quei tempi lontani, il neonato fu lavato da Auda, una donna del gruppo. Aveva in precedenza scavato un buco nella terra e lo aveva riempito di acqua.
Questo rito era importante per rendere puro il piccolo.
Lo cosparsero poi d'olio per fortificarlo. Gli misero al collo un amuleto per proteggerlo dagli spiriti cattivi.
Solo allora fu avvertito il padre, che venne dal suo carro alla tenda dove stava la moglie. Doveva riconoscere il figlio. Il neonato fu ricoperto da una camicia che aveva già portato Ruk, per significare che tutti e due appartenevano a lui.
La madre poi depose per terra il piccolo.
Ruk lo alzò al cielo, mettendogli al collo un filo rosso. Con questo atto egli mostrò di riconoscersi come padre.
Per gli zingari la terra è simbolo di fertilità e di forza. Per questo il neonato veniva messo per terra: da essa infatti nasce la vita.
Poi fu invocata la protezione di Devel.

da "Peslotto" (op. cit.)

su- LA FAMIGLIA
Un gruppo familiare romLa famiglia costituisce per i rom e i sinti l' elemento fondamentale della loro vita sociale. Il vincolo con la famiglia e con il clan a cui appartengono è molto forte perchè sono queste istituzioni che garantiscono la protezione e la sicurezza.
Come risulta anche dalla lettura " Il rom e le ciliege ", la preoccupazione di allevare, sfamare e proteggere la famiglia è molto sentita: la cura per i bambini occupa molto tempo.
Questa istituzione risulta per gli zingari più importante di quanto lo sia per noi, infatti la famiglia si deve occupare anche di quelle funzioni che nella nostra società sono affidate ad altre istituzioni, come la scuola, l'amministrazione pubblica, lo stato...
Per sinti e rom non ha nessun senso parlare, per esempio, di ospizi per i vecchi; nessuno abbandonerebbe mai una persona anziana che è membro della famiglia a tutti gli effetti.
Per loro, inoltre, una famiglia numerosa è una grande fortuna: per questo nella testimonianza di Emilia Sattler, riportata nel capitolo 3°, si parla della sterilizzazione come di una vera brutalità che ha impedito alla stessa di "vivere come donna".
Le donne sono sottomesse agli uomini anche se molto spesso sono proprio loro che si occupano della cura della famiglia e si danno da fare per trovare i soldi con i quali mantenere tutti i componenti della stessa. Sono loro che vanno in giro a chiedere la carità, a leggere le mani, a vendere fiori o altri oggetti di artigianato.
Spesso anche il matrimonio non è una libera scelta della donna; abbiamo letto nel 2° capitolo che Sandra Jayat, per aver rifiutato il matrimonio che le era stato imposto, ha dovuto scappare in Francia.
Negli ultimi tempi anche tra gli zingari c'è però chi mette in discussione questa supremazia dei maschi e propone una pari dignità tra uomini e donne.
Come vedremo nel prossimo capitolo, anche per quanto riguarda l' educazione, la famiglia riveste un ruolo molto importante.

Il rom e le ciliege

C'era una volta un rom che aveva cinque bambini. Era povero ed una sera non aveva più nulla da dare da mangiare ai suoi piccoli che piangevano per la fame. Non vuole dir loro che non c'era più nulla da mangiare. Pensò e ripensò a cosa fare infine disse tra se: vado a comprare delle ciliege. Si arrampicò di nascosto su un ciliegio di un gagè e comincio a mettere le ciliege in un cesto. Non passò molto ed il rom vide venire verso il ciliegio un ragazzo ed una ragazza che si fermarono proprio lì sotto. Il rom si nascose ed aspettò. I due ragazzi si sedettero sotto l'albero, si abbracciarono e si baciarono. Il ragazzo chiese alla sua compagna di fare l'amore, ma lei gli rispose: "ma se poi nasce un bambino, chi lo sfamerà". Il ragazzo disse: "ci penserà quello lassù (intendendo Dio)!" Ma il rom sentito questo gridò: "No, no! Ne ho già abbastanza di bambini da sfamare!"
Spaventati i due ragazzi scapparono ed il rom portò ai suoi piccoli le ciliege.

da "Romane Krle" (Voci zingare), edizioni Sensibili alle foglie; testo ripreso da "Lacio Drom", 1980/5

su- LA SCUOLA
Per molti secoli i sinti ed i rom non hanno conosciuto la scuola. Imparavano vivendo in famiglia e nel clan. In questo modo apprendevano tutto ciò che era utile ed importante per sopravvivere.
Bolzano 1962: la prima classe di bambini sinti e romI giovani conoscevano la storia del loro popolo dai racconti dei vecchi che tramandavano, solo oralmente, la cultura zingara. Questo modo di apprendere è entrato in crisi negli ultimi secoli, dopo che la rivoluzione industriale ha imposto nuovi modelli economici e culturali. Il fatto di essere analfabeti ha, per esempio, creato non pochi problemi agli zingari nel momento in cui hanno dovuto avere rapporti con la burocrazia dei vari stati: anche attraversare un confine diventa un grosso problema per chi non sa leggere e scrivere e non può dunque controllare dei documenti.
Oggi anche i sinti e i rom che svolgono una attività economica, per esempio gestiscono delle giostre o dei piccoli circhi, devono tenere dei libri contabili, devono dunque conoscere le leggi, le norme, le disposizioni vigenti.
Diventa dunque importante che i ragazzi zingari possano frequentare le scuole e lo possano fare con continuità e non sentendosi degli "intrusi".
Perchè questo non succeda è però necessario che la loro cultura, i loro usi e costumi siano conosciuti dagli insegnanti e dagli altri ragazzi, dai gagè, e sia rispettata la loro diversità.
Per permettere agli zingari di frequentare le scuole con continuità e profitto sarebbe importante o costruire dei campi-sosta attrezzati nei quali le famiglie si possano fermare per più tempo garantendo così la frequenza dei figli a scuola , o istituire, proprio per loro, delle scuole itineranti, nelle quali cioè anche gli insegnanti viaggino assieme ai ragazzi; questo sarà possibile nel momento in cui ci saranno dei maestri sinti o rom.
D'altra parte anche per i ragazzi gagè è un arricchimento la possibilità di incontro con una cultura, una lingua tanto diversa; ne è un esempio il lavoro fatto dalla classe Va della scuola elementare "Madonna Bianca" di Trento che ha anche prodotto quel libro "Peslotto" così spesso citato in questo testo.

A scuola dagli adulti

I giorni passavano e i ragazzi apprendevano sempre nuove cose lungo il viaggio.
Una mattina Peslotto si trovò a camminare vicino al padre e, vincendo la paura, chiese:
- Dove ci porti ?
Ci fu un silenzio di riflessione per Ruk, che pensò tra sé : " Ormai mio figlio sta maturando. E' il momento di trattarlo come un uomo. "
E disse :
- Va bene, ti spiegherò. Il grande mare che spesso hai visto era il Mar Nero. Le montagne che abbiamo appena abbandonato sono i Balcani.
Tra poco arriveremo ad un fiume molto importante : il Danubio.
Al di là c'è una grande pianura: la Valacchia. Lì ci fermeremo. Tutti dicono che lì potremo vivere in pace.
Peslotto era contento che il padre lo avesse trattato da adulto.



Al mercato c'erano molti animali

Ruk passò dall'uno all'altro, finché si fermò davanti ad un cavallo bianco, con una lunga criniera. Lo osservò a lungo. Dopo aver parlato all' allevatore del prezzo, chiese al figlio:
- Ti piace?
- Moltissimo. Lo compri?
- Ricordati che non si può comprare un cavallo solo per la bellezza. Ci si deve accertare che non abbia difetti o malattie. Impara!
Così dicendo, guardò in bocca la bestia, controllò i denti uno per uno, la lingua per vedere che l'animale non avesse mangiato erbe nocive.
Osservò attentamente le feci per vedere che non ci fossero tracce di sangue. Ascoltò i polmoni.
Si trattava proprio di un buon cavallo.
Peslotto osservò tutto con molta attenzione.
Sicuro della sua perfetta salute, Ruk riprese le trattative con il venditore.
Riuscì poi a spuntare un buon prezzo.
Finalmente si incamminarono verso il campo.

da "Peslotto" (op. cit.)

su- IL LAVORO
Una vecchia foto di Sinti giostraiPer molti secoli i sinti e i rom hanno esercitato dei lavori che erano in accordo con il tipo di vita nomade che facevano.
I diversi gruppi di zingari si sono specializzati in lavori diversi e queste professioni sono state tramandate dai padri ai figli. E' per questo che alcuni gruppi di zingari portano ancora oggi un nome che proviene proprio dal lavoro che faceva il gruppo. Così ci sono:
i lovara (dalla radice linguistica ungherese lov, cavallo): rom allevatori soprattutto di cavalli,
i kalderasha (dal tardo latino caldaria, pentola): rom calderai o fabbri,
i lautari (dalla stessa radice di liuto): rom musicisti, soprattutto di chitarra e di violino.
Altre professioni esercitate dagli zingari sono:
- il commercio di oggetti di artigianato; soprattutto oggetti in metallo o in vimini che i sinti costruiscono con molta abilità,
- lo spettacolo ambulante; esistono ancora alcuni piccoli circhi gestiti da zingari ed alcuni sinti lavorano ancora nelle giostre e nei Luna Park,
- la chiromanzia,
- il lavoro saltuario in agricoltura, in particolare per la raccolta di olive e di agrumi.
Molti di questi lavori offrono però ben poca possibilità di guadagno nella nostra società dei consumi: nessuno fa più aggiustare una pentola rotta, pochi si fermano ad ascoltare dei musicisti ambulanti, pochi commerciano in cavalli, il circo non è più un' attrattiva.
Rimangono così poche possibilità di lavoro per gli zingari anche perchè, fino ad oggi, hanno frequentato poco le scuole e dunque è per loro particolarmente difficile trovare una nuova occupazione.
E' forse per questo che alcuni giovani zingari, soprattutto dei gruppi più poveri, cadono nella rete tesa dalla malavita.

Lo zingaro era seduto per terra, addossato al timone del carro, e martellava una ciotola di rame. Era al sole, a testa nuda, ma con la sua maglia verde indosso. Tre bimbi si muovevano tranquillamente là intorno, giocando sotto la tettoia del cavallo: carretta e cavallo erano via. Una vecchia con un fazzoletto sulla testa cucinava curva sopra un fuoco di sterpi. Non si sentiva altro rumore che il rapido e risonante tap, tap, tap del martello sul rame.
L'uomo levò subito gli occhi, quando Yvette mise il piede a terra dalla sua bicicletta, ma non si mosse: solo si fermò dal martellare.
Un lieve sorriso, appena percettibile, apparve sulla sua faccia.
La vecchia si voltò a guardare, acutamente, di sotto i suoi sudici capelli grigi.
" Come state, tutti voi ? " chiese la fanciulla educatamente.
" Oh benissimo ! Non volete sedervi un attimo ?" Si allungò, restando seduto, a tirar fuori uno sgabello di sotto il carrozzone.
Intanto mentre lei era andata ad appoggiare la bicicletta contro la parete della cava, riprese il suo martellio a rapidi colpi lievi che sembravano il picchiare del becco di un uccello.
Yvette si avvicinò al fuoco per scaldarsi le mani.
" State cucinando il pranzo? " chiese fanciullescamente alla vecchia zingara mentre tendeva le sue lunghe mani tenere, chiazzate di rosso per il freddo, verso le braci.
" Il pranzo, sì!" disse la vecchia. "Per lui ! E per i bambini."
Indicò col forchettone i tre piccoli dagli occhi scuri che stavano fissando Yvette di sotto le loro frange nere. Ma erano puliti, i piccoli. Solo la vecchia era sudicia. E anche la cava era tenuta perfettamente pulita.
" Sono i vostri piccoli?" chiese Yvette rialzandosi, rivolta all'uomo.
Egli la guardò dentro gli occhi, e assentì.
" Ma vostra moglie?"
" E' andata col paniere. Sono tutti via, carretta e tutto, per vendere. Io non vado quasi mai per vendere. Io le fabbrico le cose da vendere, ma non le vendo. Solo qualche volta. "

da " La vergine e lo zingaro " di D. H. Lawrence, A. Mondadori editore.

su- LA MUSICA
Vecchia foto di musicisti romLa sensibilità degli zingari per la musica è proverbiale. E' facile trovare negli accampamenti dei sinti e dei rom degli strumenti musicali, soprattutto violini, cimbali, chitarre.
Quasi mai questi musicanti conoscono le note musicali ed i trattati sull'armonia: più che compositori sono dei bravi arrangiatori della musica popolare.
Quella musicale è una tradizione molto antica. Nel 1430, alla corte dell'imperatore Sigismondo, suonava una orchestra zingara e pochi sanno che uno dei maestri di musica di Franz Liszt era un rom ungherese.
Vecchia foto di musicisti sintiOltre che bravi esecutori gli zingari erano anche bravi artigiani che producevano strumenti musicali.
Per capire meglio che cosa rappresenti la musica per gli zingari rimandiamo alla prima lettura di questo libro ( Il Calderas di C. Sgorlon ).
Un esempio della creatività zingara nel campo della musica è il flamenco: una espressione musicale tipica dei gitani, cioè dei rom di Spagna.
Il cuadro flamenco (chitarra, danza, canto e battito delle mani) è diventato famoso in tutto il mondo.
Ecco come spiega il flamenco José Amaya, un gitano della compagnia di Luisillo: "Il flamenco è la forma con cui il gitano manifesta il suo sentimento (triste, allegro, religioso che sia). La sera, quando si riunisce la famiglia, basta che uno accenni il ritmo battendo le mani e già un bambino sta ballando e la madre sta cantando. Basta un accenno: è una comunicazione!" (da: I figli del vento di M. Karpati , edit. La scuola).

Le emozioni non erano finite per il ragazzo.
Una sera arrivò dal suonatore ambulante che tutti chiamavano il Conte e si accorse che egli teneva accanto a sé due strumenti simili a quello di Samuel; erano due bassa-paskri.
Il vecchio disse:
" Ora suoni bene. Possiamo fare una suonata in due. Hai bisogno di uno strumento musicale a corde come questo. Te lo regalo. Era di mio figlio.
Egli è morto molto tempo prima che arrivassimo in Grecia.
Eravamo vicini all'Armenia, sulle montagne del Caucaso. Faceva molto freddo. Mio figlio, che amava suonare come te, si ammalò. Nessun medico dei villaggi vicini volle visitarlo. Nessuno ci vedeva di buon occhio in quel posto!
Così egli morì. Mi restò la sua bassa-paski.
Ora è tua. E' giusto così ! "
Peslotto non aveva parole per ringraziare. Prese tra le mani lo strumento. Toccò le corde.
" Se vuoi suonare bene, devi esercitarti ogni giorno, finché le tue dita si muoveranno da sole sulle corde. Allora sentirai nascere ritmi nuovi dentro di te. Sarai tu ad inventarli."

da " Peslotto " ( op. cit. )

su- LINGUA E DIALETTI
Alcuni termini da un dizionario romanes-italianoL'origine della lingua dei sinti e dei rom è da ricercare in India, probabilmente nell'India nordoccidentale. Ormai molti studiosi hanno dimostrato che questa lingua deriva dal sanscrito, la lingua letteraria dell'India antica, ancor oggi usata nelle cerimonie religiose più importanti.
Questa lingua originaria ha subito però delle notevoli influenze da parte delle diverse realtà linguistiche con le quali gli zingari vennero in contatto nel loro peregrinare ed è possibile tracciare il percorso fatto nei secoli da questo popolo per arrivare in Europa, proprio studiando i vari influssi linguistici.
Sappiamo così che sinti e rom sono entrati in contatto con la lingua iraniana, l'armeno, le lingue slave, l'albanese, l'ungherese, il rumeno, il greco..... frammentandosi così in diversi dialetti che conservano però un fondo comune.
Poiché però i vari dialetti della lingua zingara non sono mai stati usati, fino all'inizio del ventesimo secolo, in testi scritti, il lavoro di ricostruzione di questo fondo comune è complicato e deve rifarsi solo alla tradizione orale.
Non esiste dunque una grammatica della lingua dei sinti e dei rom e il testo riportato nella pagina precedente (preso dalla rivista lacio drom, n.2, 1983) è uno dei primi tentativi di creare un vocabolario che ci permetta di conoscere meglio la cultura dei "figli del vento".
Negli ultimi anni sono stati pubblicati vari libri scritti nei dialetti zingari e su di essi e questo ha contribuito a rafforzare, nei sinti e rom, la consapevolezza della propria identità .

In questo libretto sugli zingari abbiamo già riportati vari testi scritti, negli ultimi tempi, da rom o sinti. Aggiungiamo ora la trascrizione di una poesia, di alcuni proverbi zingari e di una simpatica storiella.

La verità zingara

Dov'è la verità zingara?
Da quando mi ricordo
giro con la tenda il mondo
cerco amore ed affetto
giustizia e fortuna.

Sono invecchiato sulla strada
non ho trovato vero amore.
Non ho sentito la parola giusta.
Dov'è la verità zingara?

Rasim Sejdic


Lo zingaro, sua moglie e un detto siciliano

Nella ricca cultura popolare siciliana i riferimenti agli zingari sono briciole sparse, che non è sempre facile raccattare. Lo stesso Pitrè, infaticabile com'era e nonostante avesse affermato che "la loro memoria era molto viva nella tradizione e più nel dialetto palermitano", non riuscì, alla fin fine, che a mettere insieme non più di qualche paginetta.
Eppure, a ben esplorare gli angoli più remoti del folclore isolano, può capitare che qualche cosa di nuovo salti fuori all'improvviso; ed è capitato, per caso, proprio a chi scrive queste note, parlando del più e del meno con un amico di Canicattini Bagni, un grosso paese in provincia di Siracusa, dove vive una comunità di Camminanti. Mi si è presentato un modo di dire che, per quanto mi risulta, fu ignoto al Pitrè ed è addirittura inedito: "èssiri comu a mugghieri o zingaru", essere come la moglie dello zingaro. Com'era la moglie dello zingaro ce lo dice un aneddoto.
Uno zingaro e sua moglie si erano accampati, con il loro carrozzone, sulla riva di un torrente. Un giorno, mentre lo zingaro si trovava in paese, il torrente straripò, spazzando via tutto ciò che incontrava lungo il suo corso. Al ritorno, il povero zingaro non trovò né la moglie né il carro e diede l'allarme. Accorsero alcuni contadini, che incominciarono a perlustrare la zona, e man mano si dirigevano a valle. Solo lo zingaro andava verso monte. Qualcuno, un po' sorpreso, gli fece allora notare che se sua moglie fosse stata travolta dalle acque, si sarebbe dovuta trovare a valle. Ma lo zingaro, con una certa rassegnazione, replicò che ciò che sarebbe stato normale per gli altri, non lo sarebbe sicuramente stato nel caso di sua moglie.
E fu così che da quel giorno la gente del luogo disse di chi agisce sempre in maniera inconsueta, fuori dalla norma, che "è comu a mugghieri o zingaru".

Proverbi zingari

Se vuoi essere saggio, ascolta.
Un uomo saggio ride quando può. Sa bene che ci sarà molto da piangere nella vita.
Se ti siedi sul cavallo rivolto all'indietro, quello continua ad andare avanti.
Una lepre in pentola vale per sei nel campo.
Se piove, non coprirti la testa con un settaccio.
Se entri nel torrente, non accusare le scarpe di essersi bagnate.
Un topo con una rosa all'orecchio è sempre un topo.
Se non vuoi vedere, a che serve una stella?
Vedere un gagiò che sorride è più raro che vedere una mucca che fa un uovo.


STEREOTIPI E PREGIUDIZI

Rom in un accampamento

su- STEREOTIPI E PREGIUDIZI
Un gruppo di donne romLo "straniero", con la sua situazione di precarietà, fa riemergere il ricordo e la paura delle perdite di certe sicurezze (la casa, il lavoro, gli affetti familiari); e con essa anche il senso del fallimento, l'immagine infantile di essere disprezzato, indesiderato e non amato che ciascuno di noi porta nel profondo.
Per rimanere indenni da questi sentimenti ecco che le persone o gruppi si creano un immagine degli altri, sulla base di inadeguate informazioni, con determinate caratteristiche negative cha permetterà di disprezzarli per certe caratteristiche reali, che vengono esagerate, ma non inventate (stereotipo). Ad esse vengono poi associate opinioni e sentimenti negativi sostenuti perfino di fronte alla prova del contrario (pregiudizio).

Rita Vittori

Ecco come la psicologa Rita Vittori spiega la formazione dello stereotipo e del pregiudizio. E' dunque uno stereotipo affermare, per esempio, che tutti gli zingari sono dei ladri, degli imbroglioni, gente insomma di cui dobbiamo avere paura. Avere una capacità critica forse significa allora saper distinguere e voler capire meglio.
Ed è un pregiudizio affermare, per esempio, che gli zingari non hanno voglia di lavorare. Abbiamo visto come i diversi gruppi di rom si contraddistinguano proprio in base al mestiere che praticavano e che oggi purtroppo non possono più praticare e abbiamo visto che la frequenza di una scuola, ed il conseguente conseguimento di una licenza che permette di trovare un lavoro, non è un fatto scontato per un ragazzo rom.

su- COME LA STAMPA AFFRONTA IL "PROBLEMA " ZINGARI

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su- ROM E GAGÈ

Noi e i Gagè

Il gagiò lavora, lavora sempre, sperando di diventare qualcosa e, sperando così, muore. Poi ha fatto tante leggi, troppe. La libertà è bella: vai dove voi. Una volta nei tempi antichi, era così: andavi dove volevi e non ti domandavano niente. Invece oggi troppi incartamenti ci vogliono.
Però non si può essere senza gagé. Tutti insieme dobbiamo vivere. Un Rom non compra un altro Rom. Una volta capitava di vendere un cavallo a un altro Rom. Ma del resto cosa vendi a un altro Rom, che sa fare come te la stessa cosa ?
I gagé sono potenti, ma noi qualche volta siamo più furbi. Ti racconto una storia. Un giorno un gagiò andava a Zagabria a vendere formaggio. Incontra un Rom.
"Dodròi tike."
"Come stai?"
"Bene, grazie. Cosa fai?"
"Vado in città a vendere formaggi. Se indovini quanti ne ho nel cestino, te li regalo tutti e nove!"
"Proverò. Io direi che ... sono nove!"
"Per il diavolo, come hai fatto a indovinare? Sei troppo furbo. Ecco, prendili."

(da Rom sim di B. L. Zlato e M. K. Semezejana, edizione Lacio Drom, Roma, 1984)

I rapporti tra e gagé non sono sempre facili. Questa lettera scritta da una ragazza rom di 14 anni (di origine macedone, musulmana, in Italia dal 1990), inviata ad un ragazzo conosciuto a Bolzano, ne é forse un esempio. (Si è preferito correggere alcuni errori di ortografia e togliere i nomi propri citati nella lettera.)

Caro...
Nei prossimi giorni parto con mia mamma e i miei fratelli per andare da mio padre a Skopie. Mio padre è stato mandato via dalla polizia che è venuta una mattina e ha preso tanti uomini e li ha caricati su un autobus e li ha portati al confine perché non hanno il permesso di soggiorno. Anche la Mamma ha il foglio di via e cosi andiamo con .... a Skopie dove c'é anche mia nonna.
Mi dispiace tanto partire anche se qui al campo è sempre più brutto e quasi tutti giorni arriva la polizia che l'altro giorno ha anche rotto i vetri e la porta della roulotte di ..., i bambini hanno tantissima paura quando vedono la polizia.
Spero che a Skopie non c'é la guerra e così forse dopo 4 anni posso tornare a scuola e non devo come qui a Bolzano andare in giro a chiedere i soldi; questo è brutto e qualche volta la gente mi risponde male e mi manda via.
Io volevo andare a scuola qui a Bolzano ma anche se ... ha fatto tanto, non ho potuto. Invece ti prego di salutare ... e .... * che mi hanno aiutato e sono gentili con la tua famiglia.
Quando sono a Skopie ti scrivo e ti dico come è.
Ciao, saluti a...

Bolzano, 20 settembre 1994

* collaboratrici di una agenzia educativa privata che ha permesso la frequenza gratuita di un corso.

Vesna, una ragazza rom

Ormai da tre mesi lavorava su quel ponte abitato da giganti con le ali e i capelli lunghi tutti di pietra bianca. Andava avanti e indietro con un cartone in mano e tante volte da quando era lì aveva sentito dire le mamme ai bambini: "Hai visto? Sta attento che altrimenti ti portano via gli zingari."
Così non capiva niente: a lei che era già zingara chi l'aveva portata via, lontano da casa?
Vesna aveva dieci anni e il labbro leporino: era nata in una tribù del sud della Jugoslavia. Sua madre e suo padre avevano altri dieci figli. Con quella bocca non si sarebbe mai sposata. Prima dell'inverno l'avevano ceduta a un commerciante in cambio di due copertoni per la neve.
La nuova famiglia non era molto diversa da quella che aveva lasciata. C'era una madre, un padre e tanti fratellini e sorelline. Il padre, Mirko, lavorava con le macchine e la madre, che si chiamava Zveza, chiedeva l'elemosina in centro assieme ai bambini più piccoli. La sera però intorno al fuoco o alla televisione, lei non poteva sedersi vicino a nessuno. Così si capiva che non era loro vera figlia, che non erano imparentati neanche per una via lontana tribù. L'unica cosa che a loro importava di lei era che ogni sera tornasse con le tasche piene.
Era sempre Mirko ad accoglierla. L'accoglieva sulla porta della tenda con la mano tesa. Se i soldi erano abbastanza le dava una scodella di minestra, altrimenti la sbatteva di qua e di là e gridava: "Troia, credi che sia un hotel? Che siamo in un hotel? In un grand hotel?"
Qualche sera Mirko stava fuori con gli amici e rientrava ubriaco. Allora si stringeva la testa tra le mani e i denti la battevano così forte che non riusciva a fermarli.
Anche il suo vero padre faceva la stessa cosa . Allora fuggiva svelta, sveltissima prima che la toccasse, scappava giù verso il fiume con i salti di una lepre. Lì sulle sponde nascosta tra i cespugli attendeva l'alba.
Il fiume! Quello che mancava più di ogni altra cosa. Era bello laggiù! D'inverno c'era una gran crosta di ghiaccio e l'acqua vi scorreva sotto.
In primavera il ghiaccio si rompeva e sbatteva di qua e di là con gran rumore. C'erano le folaghe di cui si potevano bere le uova e le coppie litigiose dei germani. E pio c'erano le bacche succulente, in estate l'acqua fresca dove bagnarsi e le donne del paese che andavano a lavare i panni e chiacchieravano come una radio, senza mai fermarsi.
Anche sotto il ponte dove stava adesso c'era il fiume, un fiume grande, lento e un po' giallo ma a guardarlo non le diceva proprio niente. Quand'era triste però chiudeva gli occhi: e allora il suo rumore diventava il rumore di tutti i fiumi e come un sangue più caldo le passava intorno al cuore, lo avvolgeva, la riscaldava dentro. Quasi ogni giorno era triste e così quasi ogni giorno faceva quel gioco.
Lo stava facendo in quel mattino poco prima dell'estate. L'aria era già molto calda e per proteggersi si era messa dritta in piedi nell'ombra di un angolo. A quell'ora non passava nessuno. Allora, con la faccia coperta dalle mani, aveva potuto pensare tranquillamente al suo fiume, a tutti i fiori che c'erano vicino all'acqua e alle rane nascoste dentro.

da: Per voce sola, di Susanna Tamaro, Marsilio editore 1991

su- BIBLIOGRAFIA

Autori vari
(a cura di M. Karpati), Zingari ieri ed oggi, Centro studi zingari di Roma, Associazione per i popoli minacciati di Bolzano. 1993

Francoise Cozannet, Gli zingari, Miti ed usanze religiose, Edizione Jaca Book, Milano.

Bart Mc Dowell, Zingari, vagabondi del mondo, Ed. National Geografic Society, Giunti - Martello

Mirella Karpati, Fra i rom: vita e storie zingare, (Realtà e scuola: proposte di ricerca per la scuola, n. 17), editrice La Scuola, Brescia.

Mirella Karpati, I figli del vento, gli zingari (Realtà e scuola: proposte di ricerca per la scuola, n. 18), editrice La Scuola.

Donald Kenrick, Il destino degli zingari, Edizioni Rizzoli, Milano

Lucia Tumiati, Gli Zingari (Biblioteca di lavoro di Mario Lodi), Mancinelli Firenze 1977

Scuola elementare "Madonna bianca" Trento, classe VA, Peslotto, il lungo viaggio di un ragazzo sinto, Scuola aperta n. 4, Provincia Autonoma di Trento, Servizio Istruzione a assistenza scolastica, 1986

Carlo Sgorlon, Il calderas, (romanzo), A.Mondadori editore, 1988, Milano.

D.H. Lawrence, La vergine e lo zingaro, (racconti tradotti da E. Vittorini), Oscar Mondadori, 1971 Milano.

Autori vari, Romane Krle, voci zingare, edizioni Sensibili alle foglie, 1992 Roma.

Diane Tong, Storie e fiabe degli zingari, Guanda editore

F. Lazzarato, V. Ongini, Il vampiro riconoscente. Fiabe, leggende e miti della tradizione zingara, Mondadori editore

Marie Voriskovà, I quattro fratelli. Fiaba zingara, Sonda editore, (Supertascabili)

D. e L. Williamson, La nascita dell'unicorno e altre leggende dei nomadi scozzesi, Mondadori editore.

Lacio drom, (buon viaggio), rivista bimestrale di studi zingari, direttore responsabile: Mirella Karpati, presso Centro studi zingari, Roma.

Audiovisivi (In parte presenti nel catalogo della Biblioteca Culture del Mondo)

Il tempo dei gitani, di E.Kusturica (1989), video cassetta.

L'uomo perfetto, di Toni Gatlif, regista zingaro, (1983)

Latcho drom, di Toni Gatlif (1993)

Ho incontrato anche zingari felici, di A. Petrovic, video cassetta 105', Avala Film (1967)

I lautari, di Loteanu (su pizze cinematografiche)

su- ENTI ED ASSOCIAZIONI CHE SI OCCUPANO DEGLI ZINGARI
In italia
Centro studi zingari
via dei Barbieri 22 - 00186 Roma / tel. 06 6833181 - fax 06 6868760

Opera nomadi
via Arco del Monte 99
00186 Roma

Associazioni per i diritti delle minoranze
via Reginaldo Giuliani 382
50141 Firenze
tel. 055 452418

Comune di Roma, XII circoscrizione
Biblioteca e centro culturale dei Rom - via S. Larizzo 100
00182 Roma

in Sud Tirolo
Associazione per i popoli minacciati
Gesellschaft für bedrohte Völker
via Portici 49 - 39100 Bolzano
tel/fax 972240
info@gfbv.it - www.popoliminacciati.it - Vedi i nostri link su Sinti e Rom in Europa

Associazione culturale rom
presso Enes Hrustic
via F. Baracca 1 - 39100 Bolzano

Caritas (sezione tedesca)
via Talvera 4 - 39100 Bolzano
tel. 973604

in Austria
Kulturverein Osterreichischer Roma
Springsiedelgasse 32 - 1110 Wien

Roma
Verein zur Forderung von Zigeunern
Postfach 41 - A 7400 Oberwart

Romano Centro
Schneidergasse 15/5 - 1110 Wien

in Germania
Zentralrat deutscher Sinti und Roma
Zwingerstrasse 18 - 69117 Heidelberg
tel. 0049 6221 981101

Rom e.V. fur die Verstandigung von Roma und nicht Rom
Bobstrasse 6-8 - 50676 Koln 1 - tel. 0049 221 242536

Cinti Union Berlin
Lagerweg 14-18 - 1000 Berlin 20

Gesellschaft für bedrohte Völker (International)
Postfach 2024 - 37010 Gottingen
tel. 0049 551 49906 - 0 / fax 0049 551 57529 / info@gfbv.de - www.gfbv.de

in Francia (Centro che interessa tutta l'Europa)

Centre de recherches tsiganes
Universitè René Descartes
106 quai de Clichy
F 92110 Clichy.



IMMAGINI DAL LIBRO

Copertina: Interface 1993/10, edito da Centre de recherches tsiganes.
pp. 5, 31: Zingari ieri e oggi, Bolzano 1994.
pp. 9, 28, 29, 35 (a destra), 40: Roma. Eine Reise in die verborgene Welt der Zigeuner, Köln 1989.
p. 13: J. S. Hohmann, Geschichte der Zigeunerverfolgung in Deutschland, Frankfurt/New York 1981.
pp. 17, 33, 35 (a sinistra): L. Eiber, Ich wußte, es wird schlimm.Die Verfolgung der Sinti und Roma in München 1933-1945, München 1993.
p. 23: Reimmichls Volkskalender 1982.
pp. 25, 4a di copertina: R. Gronemeyer, G. A. Rankelmann, Zigeuner. Reisende in Europa, Köln 1988.
p. 39: Zugvögel seit jeher. Freude und Not spanischer Zigeuner, edito da E. Hackl, Wien/Freiburg/Basel 1987.

Cagol, Marco: Un popolo sconosciuto: gli Zingari
Edizione tedesca: Verdorfer, Martha: Unbekanntes Volk - Sinti und Roma
Edizione ladina: N popul nia conesciù - Sinti y Roma, Tradotto da Erna Flöss e Marlies Frenademez

® Tutti i diritti riservati
Editrice Frasnelli-Keitsch, Bolzano 1995
Edito da: Associazione per i popoli minacciati - Sudtirolo, 39100 Bolzano, Via Portici, 49

Concetto grafico e impaginazione: Graphic Line, Bolzano
Stampa: CIERRE grafica, Caselle di Sommacampagna (VR)
Foto di copertina: Interface, Straßburg
Collaborazione: Thomas Benedikter, Hilda Kasparek, Doris Wallnöfer, Irene Palma
Versione web (luglio 2001): Mauro di Vieste

Ringraziamo:
Mirella Karpati: Centro Studi Zingari, Roma
Istituto ladino di cultura Micurà de Rü, San Martino in Badia
Annelore Hermes, Gesellschaft für bedrohte Völker, Göttingen
Helene Gamberoni, Caritas Bozen
Famiglia Wolfdietrich Schnurre, Berlin

Ordinazioni: Editrice Frasnelli-Keitsch, 39100 Bolzano, Via Castel Flavon, 37/B, tel. (0471) 274240, fax (0471) 288177
Associazione per i popoli minacciati, 39100 Bolzano, Via Portici, 49, tel./fax (0471) 972240




Un popolo sconosciuto: gli zingari, Marco Cagol, 1995, immagine fondo

I Sinti e i Rom, ossia gli zingari come spesso vengono chiamati in Italia, sono dispersi su quasi tutti i paesi europei, ovunque minoranza. Sono più di 10 milioni di persone che costituiscono l'ultimo popolo europeo che, da 600 anni nella diaspora, vive almeno in parte un'esistenza nomade.

Troppo spesso vengono giudicati con valutazioni superficiali e sprezzanti, si conosce poco però della loro storia e della loro cultura. Spesso li emarginiamo, senza conoscere le loro condizioni di vita, i loro problemi, le loro aspirazioni.

Sinti e Rom da lungo tempo vivono da noi nel Sudtirolo. Meritano una attenzione più appronfondita. Questi "testi per giovani" forniscono un primo approccio ed un invito a conoscerli meglio.


Vedi anche:
* www.gfbv.it: www.gfbv.it/3dossier/linkgfbv.html#rom | www.gfbv.it/3dossier/rom-it.html

* www: www.bibmondo.it/libri/bibl-srom.html | www.emscuola.org/labdocstoria/Pubblicazioni/uBarodrom/indiceU.htm | www.fondfranceschi.it/rom.pdf [file pdf]

Ultimo agg.: 24.2.2004 | Copyright | Motore di ricerca | URL: www.gfbv.it/3dossier/sinti-rom/it/rom-it.html | XHTML 1.0 / CSS | WEBdesign, Info: M. di Vieste
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