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Tame Iti, attivista Maori

Popoli indigeni, popoli minacciati

in occasione del DECENNIO INTERNAZIONALE DEI POPOLI INDIGENI promosso dall'ONU (1995-2004)

Questo libro è dedicato alla memoria di Helge Kleivan (1924-1983), fondatore dell'IWGIA, difensore serio ed appassionato di tutti i popoli indigeni


Parte terza

OCEANIA: Aborigeni australiani: due secoli di lotte per la terra | Hawaiiani: nè uniti nè americani | Kanak: quel pezzetto di Francia a 20.000 km da Parigi | Maori: i guerrieri degli antipodi | La Dichiarazione di Mataatua | Micronesia e Polinesia: gli atolli condannati | La morte che viene dalla terra: i popoli indigeni minacciati dal colonialismo nucleare

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OCEANIA

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ABORIGENI AUSTRALIANI - Due secoli di lotte per la terra

Gli indigeni dell'Australia, conosciuti con il termine quanto mai generico di "aborigeni", sono originari dell'Asia sudorientale, dalla quale migrano attorno al 25.000 a.C. Come gli Indiani del Nordamerica, non sono un popolo unico ma diverse centinaia. Alcuni di questi sono i più antichi del nostro pianeta.
Dispersi su un territorio vastissimo ed in larga parte desertico, per migliaia di anni vivono di caccia e di raccolta: una vita molto primitiva che non conosce la ruota nè animali per il trasporto.
Alla fine del 1700, il re Giorgio III d'Inghilterra decide di installare in Australia, da poco scoperta, una colonia penale. All'inizio il contatto con i 300.000 abitanti dell'isola non è violento: gli Inglesi non vogliono sterminarli, ma si contentavano di tenerli a distanza. Nel corso del secolo successivo, però, la situazione cambia radicalmente: nascono le città sulla costa mentre il paese viene invaso dai cercatori d'oro e d'argento. Cominciano così i decenni della persecuzione: gli indigeni della Tasmania, per esempio, vengono quasi completamente sterminati. Quelli dell'Australia, che dispongono di un territorio assai più vasto, sfuggono a questa sorte ma il loro numero viene largamente ridotto.
Nello stesso periodo si sta facendo strada il concetto di terra nullius: il diritto australiano afferma che prima dell'arrivo dei Britannici il paese non apparteneva a nessuno, mettendosi così al riparo da eventuali contestazioni future. Il concetto di terra nullius non trova comunque l'adesione di tutti i bianchi: nel 1838 George Gipps, governatore del Nuovo Galles del Sud, cerca di promuovere una politica che riconosca i diritti territoriali degli Aborigeni. Il suo coraggio, che ovviamente gli aliena la simpatia degli altri governanti locali, naufraga nel massacro di Waterloo Creek, che riafferma la supremazia dei coloni.
Nel 1901 le colonie inglesi ormai indipendenti danno vita alla federazione australiana, che si compone di sei stati: Australia Occidentale, Territorio del Nord, Australia del Sud, Queensland, Victoria e Nuovo Galles del Sud. I bianchi sono oltre 3.000.000, mentre gli Aborigeni sono ridotti a poche decine di migliaia e vivono nelle riserve istituite alla fine del 1800. Sottoposti ad un controllo poliziesco, vedono svilupparsi quelle piaghe sociali - alcoolismo, delinquenza, perdita d'identità - che li accompagneranno fino ai nostri giorni. Nel frattempo il rapporto col governo, sia questo statale o federale, rimane privo di qualsiasi regolamentazione.
Negli anni Cinquanta si verifica la seconda ondata della colonizzazione mineraria che porterà l'Australia ai primi posti per l'estrazione e l'esportazione di stagno, argento, uranio, bauxite, ferro e nickel. Alla compagnia mineraria Comalco vengono assegnati 5.000 kmq di terra già adibita a riserva aborigena. Nessuna legge può difendere gli Aborigeni dai danni ambientali derivanti dall'estrazione.
Gli indigeni iniziano perciò ad organizzarsi. Nel 1959 nasce il Consiglio Federale per la Difesa degli Aborigeni, che si concentra sul problema delle terre: Land Rights Now (diritti territoriali subito) è uno slogan ricorrente nelle manifestazioni che iniziano ad ottenere l'appoggio dei sindacati e delle Chiese, smuovendo un'opinione pubblica finora apatica. Nel 1967 viene indetto un referendum che conferisce agli autoctoni la cittadinanza australiana (il 90% dei votanti risponde positivamente).
Ma un vero cambiamento sembra farsi strada solo nel 1972, quando le elezioni politiche vedono la vittoria del Partito Laburista, che presenta un programma attento alla minoranza indigena, senza dimenticare il diritto di voto.
Il nuovo primo ministro Whitlam istituisce il Dipartimento degli Affari Aborigeni ed un'apposita commissione legislativa. Ma le promesse si concretizzano solo nel 1976, e per giunta solo nel Territorio del Nord, con l'Atto dei Diritti Territoriali Aborigeni. Le aspettative suscitate dal governo laburista vengono così deluse. Gli interessi delle compagnie minerarie, inoltre, non vengono minimamente compromessi. Il governo Whitlam migliora comunque le condizioni sociali e sanitarie degli imdigeni, ma soprattutto è il primo che si sforza di riconoscere la centralità dei diritti territoriali.
Inoltre, è necessario sottolineare che a questi è strettamente legata la difesa dei luoghi sacri, che sono parte integrante della cultura aborigena. Il più famoso è Uluru, meglio noto come Ayers Rock, il gigantesco monolito che sorge nel centro del deserto australiano. Le tipiche pitture rupestri che adornano questo ed altri luoghi sacri rappresentano l'espressione più tipica dell'arte aborigena.
Nei primi anni Ottanta varie organizzazione si fondono per dare vita al Servizio Legale Aborigeno (NAAILS), che si avvale di autorevoli consulenze tecniche. La nuova organizzazione, diretta da Paul Coe, aderisce al Consiglio Mondiale dei Popoli Indigeni (WCIP) e svolge un'intensa attività internazionale. I problemi sono ancora tanti: l'emarginazione, l'alcoolismo, la violenza della polizia che non risparmia neanche i bambini.
Il 26 gennaio 1988 si celebra il bicentenario della "scoperta" dell'Australia. Nel suo discorso il Primo Ministro, il laburista Hawke, non fa alcun riferimento agli Aborigeni, che dal canto loro organizzano contro-manifestazioni in varie città. Ancora una volta richiedono un trattato che regoli in modo equo i rapporti fra i bianchi e la minoranza di colore.
Due anni più tardi le comunità aborigene che fanno capo ai Land Councils (Consigli territoriali) vengono riorganizzate in seguito alla creazione del Comitato per gli Aborigeni (ATSIC), la nuova struttura governativa nata dalla fusione dei due organismi già esistenti. Alcuni leaders indigeni mettono in dubbio la validità dell'ATSIC, che secondo loro non esprime cambiamenti sostanziali.
Il 3 giugno 1992, con una sentenza storica, l'Alta Corte federale scardina il bicentenario principio della terra nullius: il successo dell'azione legale iniziata dieci anni prima da Eddie Mabo, che rivendicava i diritti del popolo meriam sull'isola Mer (nota come Murray), apre una nuova stagione nei rapporti fra bianchi ed Aborigeni. Ma le manifestazioni ed i convegni organizzati dagli Aborigeni negli ultimi anni dimostrano che la sentenza dell'Alta Corte sul caso Mabo stenta a tradursi in pratica.
Su questa situazione già precaria si inserisce poi la dolorosa questione delle stolen generations (generazioni rubate). Nel maggio del 1997 viene infatti pubblicato il rapporto della Commissione federale che era stata incaricata di svolgere un'inchiesta sul trasferimento coatto di bambini aborigeni operato in modo sistematico fra gli anni Dieci e gli anni Settanta. Durante questi decenni, infatti, migliaia di piccoli aborigeni sono stati forzatamente sottratti alle rispettive famiglie e rinchiusi negli orfanotrofi, con il proposito di "farne dei bianchi". Praticamente nessuna famiglia è scampata a quella tragedia, alla quale hanno dato un contributo notevole anche molti religiosi. Il rapporto, che accusa il governo federale di genocidio, chiede un adeguato risarcimento per le vittime. Nessuno, comunque, vuol assumersi la pesante responsabilità che deriva da misure così ripugnanti. Anzi, c'è addirittura chi afferma che tutto questo è stato fatto "nell'interesse dei bambini".

Alessandro Michelucci

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA

AA. VV., Land Rights Now. The Aboriginal Fight for Land in Australia, IWGIA, Copenhagen 1985 (Document n. 54).
"Aboriginal Australia: Land, Law and Culture", numero monografico di Race & Class, XXXV, n. 35, April-June 1994.
A. Amankwah, "Il caso Mabo e il diritto internazionale", Pogrom (Firenze), I, n. 3, settembre-dicembre 1994, pp. 167-172.
R. Bosi, Aborigeni australiani, Nardini, Firenze 1994.
R. Bropho, Fringedweller, Alternative Publishing Cooperative, Sydney 1980.
V. Di Cesare, Gli aborigeni australiani, Xenia, Milano 1996.
G. Englaro, Il tempo del sogno. Miti australiani, Arnoldo Mondadori, Milano 1992.
T. Ferrero, "Australia aborigena: il sogno infranto", A/Rivista anarchica, n. 5, giugno-luglio 1992, pp. 21-40.
Garth Nettheim (a cura di), Human Rights for Aboriginal Peoples in the 1980's, Legal Books Pty., Sydney 1983.
G. Pizzi (a cura di), Le voci della terra. Pittura, scultura e fotografie dell'Australia aborigena, Fondazione Galleria Gottardo, Lugano 1994.
"The politics of Mabo", numero monografico di Australian Quarterly, LXV, n. 4, Summer 1993.
A. W. Reed (a cura di), Leggende dell'Australia tribale, Arcana, Milano 1990.
J. Robert, From Massacres to Mining: The Colonisation of Aboriginal Australia, CIMRA-War on want, London 1978.
R. Sykes, Mum shirl, Sensibili alle foglie, Roma 1995.

INDIRIZZI UTILI

ABORIGINAL AND TORRES STRAIT ISLANDER COMMISSION (ATSIC)
P.O. Box 17
Woden ACT 2606, Australia
tel. +61-6-289-1222
E-mail: atsicopa@ozemail.com.au
Web: www.atsic.gov.au
ABORIGINAL LAW BULLETIN [rivista]
University of New South Wales
P.O. Box 1
Kensington, 2033 NSW, Australia
NATIONAL ORGANIZATION OF ABORIGINAL AND ISLANDER LEGAL SERVICE SECRETARIAT
P.O. Box 366, Roma Street
Brisbane 4003, Australia
tel. +61-7-2113522, fax +61-7-2113234

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HAWAIIANI - Né uniti né americani

L'arcipelago hawaiiano, che sorge nella parte nord-orientale del Pacifico, si compone di otto isole principali e numerosi atolli. Fra i 50 stati che formano la federazione statunitense, le isole Hawai'i occupano un posto decisamente singolare. Non solo sono l'unico stato insulare, ma appartengono geograficamente e culturalmente ad un altro continente (l'Oceania). Inoltre, ed è il punto principale, le Hawai'i sono l'unico stato che ha aderito alla federazione contro la volontà della popolazione autoctona.
Gli indigeni hawaiiani (Kanaka Maoli) sono di ceppo polinesiano. Sono originari delle isole Marchesi, dalle quali migrarono via mare attorno al 100 a.C.
La loro lingua, che oggi non ha alcun riconoscimento ufficiale, appartiene alla famiglia austronesiana e si apparenta quindi a quelle degli altri popoli polinesiani, come i Tahitiani od i Maori della Nuova Zelanda.
Per molti secoli la società hawaiiana si sviluppa nell'isolamento più totale. La società, divisa in tre classi ben distinte, è retta dall'istituto monarchico. L'universo religioso, particolarmente ricco e variegato, é strettamente connesso alle manifestazioni della vita politica e sociale.
All'inizio del 1700 l'arcipelago é abitato da quasi 1.000.000 di persone. Il primo europeo a raggiungere le isole è il capitano James Cook (1778), e l'impatto si rivela devastante: allo sradicamento culturale si accompagnano, come è già accaduto in America tre secoli prima, la diffusione di malattie infettive -lebbra, vaiolo, sifilide, tubercolosi- alle quali gli indigeni non possono opporre difese immunitarie. Nell'arco di un secolo la popolazione viene decimata: nel 1890 gli hawaiiani sono rimasti soltanto 40.000.
Nel frattempo l'imperialismo religioso veicolato dai missionari calvinisti del New England (arrivati nel 1820) sta schiacciando il politeismo locale per sostituirlo col cristianesimo. L'etica puritana dei missionari si scontra duramente con la società indigena, caratterizata da un erotismo che venne interpretato come pura depravazione e di conseguenza represso.
Sempre nel corso del diciottesimo secolo, la Russia e la Gran Bretagna tentano senza successo di colonizzare l'arcipelago, che é stato unificato dal re Kamehameha. E' quindi il presidente americano John Tyler che dichiara apertamente l'intenzione di attrarre le isole nell'orbita degli Stati Uniti. Nel 1848 il re Kamehameha III cede alle pressioni dei coloni statunitensi che reclamano la privatizzazione delle terre, dove hanno già diffuso le piantagioni di canna da zucchero. Nel 1866, col pretesto di salvaguardare gli interessi americani, una nave della marina federale viene dislocata nelle acque dell'arcipelago.
Intanto viene promossa una massiccia immigrazione di asiatici e nordamericani. La situazione sta ormai precipitando: nel 1877 il ministro Pierce dichiara che le isole sono "una colonia americana dal punto di vista politico ed economico". Cresce il malcontento fra gli indigeni, che vedono morire lentamente la propria indipendenza.
Nel 1891 sale al trono Lydia Lili'uokalani. La nuova regina, volendo restituire al suo popolo i diritti che sta perdendo, emana una nuova costituzione che istituisce la monarchia costituzionale e nega il voto agli stranieri. I latifondisti americani formano un sedicente "governo provvisorio" sostenuto dagli Stati Uniti. Il 17 gennaio 1893 il palazzo reale viene circondato dagli esponenti del "governo provvisorio" e dall'esercito federale. La regina si vede costretta alla resa.
Pochi mesi dopo, però, il nuovo presidente Cleveland condanna senza mezzi termini il colpo di stato e cerca di restaurare la monarchia hawaiiana. Il suo mandato termina però senza che sia riuscito a vincere la resistenza delle lobbies finanziarie che propugnano l'espansione americana nel Pacifico (a quel tempo gli Stati Uniti hanno già diverse colonie in quell'oceano, fra le quali Guam, Samoa, le isole Midway e le Filippine).
Nel 1898 le Hawaii vengono ufficialmente annesse agli Stati Uniti. Due anni dopo viene istituito il primo governo americano ed inizia la militarizzazione delle isole: il 7 settembre 1941, l'attacco giapponese alla base navale di Pearl Harbor, a pochi chilometri da Honolulu, segna l'inizio della guerra fra Giappone e Stati Uniti.
L'immediato dopoguerra è caratterizzato dall'americanizzazione e dall'espansione turistica, entrambi fenomeni devastanti nei confronti della cultura indigena. Il 27 giugno 1959, quando la popolazione indigena è ormai in netta minoranza, un referendum dall'esito scontato trasforma l'arcipelago nel cinquantesimo stato della federazione.
Sotto il profilo formale, quindi, la definitiva incorporazione negli Stati Uniti non avviene per annessione, ma per volontaria adesione. In questo modo le Hawai'i vengono cancellate dalla lista dell'ONU che raccoglie i territori in attesa di decolonizzazione.
L'arcipelago è quindi l'unico territorio coloniale a sparire da quella lista senza aver conseguito l'indipendenza. L'ironia della sorte vuole che lo status coloniale delle Hawai'i si consolidi proprio mentre molte colonie del Terzo Mondo conquistano invece l'indipendenza.
Oggi l'arcipelago conta 1.150.000 abitanti, ma gli indigeni sono appena il 20%. La mancanza di trattati derivante dall'annessione fa sì che alla popolazione
autoctona sia negata anche la scarsa autonomia rionosciuta alle altre nazioni indigene degli Stati Uniti (Indiani, Inuit ed Aleuti): sovvenzioni federali, esenzioni fiscali, autogoverno locale.
La risposta indigena arriva nel 1987, quando le sorelle Mililani ed Haunani-Kay Trask fondano l'organizzazione Ka Lahui Hawai'i (Assemblea hawaiiana).
Il resto è storia recente, con la battaglia per la sovranità che viene portata avanti presso l'ONU ed altri consessi internazionali: ancora una volta il nodo centrale è costituito dai diritti territoriali.
Il 17 gennaio 1993 oltre 12.000 persone sfilano nel centro di Honolulu per commemorare il centenario dell'invasione americana. Nell'estate dello scorso anno, il Kanaka Maoli Peoples' International Tribunal pone le basi giuridiche delle future rivendicazioni indigene.
Pochi mesi dopo il Presidente Clinton firma l'importante Apology Bill (Documento di scuse), dove ammette esplicitamente il coinvolgimento degli Stati Uniti nel colpo di stato del 1893 e constata che a quel tempo le Hawai'i erano uno stato internazionalmente riconosciuto.
All'atto pratico, però, questo non produce alcun cambiamento, ma in ogni caso rafforza le rivendicazioni dei movimenti indigeni.
Alcuni di questi aspirano all'autonomia e ad uno status di "nazione nella nazione" analogo a quello degli Indiani. Altri, invece, si battono per la restaurazione dello stato monarchico indipendente. Nel 1997 inizia a farsi strada anche l'idea di costituire un partito indipendentista, ma vista la scarsa percentuale degli indigeni le prospettive di questo nuovo soggetto politico appaiono alquanto incerte.

Alessandro Michelucci

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
Ulla Hasager - J. Friedman (a cura di), Hawai'i: Return to Nationhood, IWGIA, Copenhagen 1994 (Document n. 75).
"Le Hawai'i verso l'indipendenza, intervista con Kekuni Blaisdell", in Pogrom (Firenze), II, n. 1, gennaio-aprile 1995, pp. 23-26.
S. H. Helbert (a cura di), Miti e leggende delle Hawaii, Arnoldo Mondadori, Milano 1996.
N. Kent, Hawai'i: Islands under the Influence, Monthly Review Press, New York 1983.
J.L. Morin, "The Dangers of the 'Native Hawaiian Vote' and the 'Hawaiian Constitutional Conventon'", numero monografico di Self-Determination, April 1997.
M. Sahlins, Isole di storia. Società e mito nei mari del sud, Einaudi, Torino 1986.
H. K. Trask, From a Native Daughter: Colonialism and Sovereignty in Hawai'i, Common Courage Press, Monroe (Maine) 1993.

INDIRIZZI UTILI
KA LAHUI HAWAI'I
P.O. Box 4964
Hilo, Hawai'i 96720, USA
tel. +1-808-9612888, fax +1-9358854
E-mail: kealoha@ilhawaii.net
Web: kalahui.org

PRO-HAWAIIAN SOVEREIGNTY WORKING GROUP
3333 Ka'ohinani Drive, Honolulu, Hawai'i 96817, USA
tel. +1-808-5956691, fax +1-808-5950303

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KANAK - Quel pezzetto di Francia a 20.000 km da Parigi

A due secoli dalla Rivoluzione, l'ordinamento francese ha mantenuto l'istituto coloniale, all'interno del quale si distinguono i DOM (dipartimenti d'oltre mare) ed i TOM (territori d'oltre mare). I primi sono territori che vengono considerati a pieno titolo parte integrante del territorio statale: le colonie attuali - Guadalupa, Martinica, Guyana e Réunion - sono in tutto equiparate alla Bretagna od alla Normandia. Diversa la situazione dei territori d'oltre mare, ai quali è già stata riconosciuta una certa autonomia. Le colonie attuali sono Mayotte, situata nell'Oceano Indiano, Saint-Pierre-et-Miquelon, che sorge nell'Atlantico, ed un gruppo più numeroso nel Pacifico: Wallis e Futuna, Polinesia francese, Nuova Caledonia.
Quest'ultimo TOM sorge nel Pacifico meridionale, ad est dell'Australia ed a nordovest della Nuova Zelanda. E' un'arcipelago di ridotte dimensioni (è grande come la Puglia), che diviene ufficialmente francese nel 1853. La popolazione indigena, i Kanak, è di ceppo melanesiano ma presenta anche influenze polinesiane.
Le isole vengono scoperte nel 1774 da James Cook, che battezza l'arcipelago Isole della Lealtà e dà all'isola principale il nome di Nuova Caledonia (Caledonia è il nome poetico della Scozia). Dal 1792 al 1840, seppure visitato da varie spedizioni europee, l'arcipelago rimane sostanzialmente ignoto, e la fiera resistenza indigena scoraggia la colonizzazione. Successivamente la Francia passa però all'offensiva: nel 1853 una spedizione militare vince la resistenza delle tribù, e nel 1864 le isole vengono formalmente annesse da Parigi. Negli stessi anni vengono scoperti il rame ed il nickel, ed il governo francese dà inizio a ll'estrazione su vasta scala. Nouméa, la capitale, diventa un'importante base navale, mentre l'arcipelago viene trasformato in una colonia penale che viene però chiusa alla fine del secolo. La popolazione indigena, costretta in riserva, insorge a più riprese, ed ogni volta che la ribellione viene soffocata i coloni si appropriano di nuove terre. All'inizio del nostro secolo, il governo francese controlla ormai due terzi di Grande Terre, l'isola principale, e buona parte delle tribù è stata costretta a lasciare i propri villaggi per trasferirsi in zone dove possono essere facilmente controllati dai militari. A questo si sovrappone l'incessante immigrazione, francese ma anche asiatica, che serve per il lavoro nelle miniere. Questo favorisce il diffondersi di alcune malattie alle quali i Kanak non possono opporre difese immunitarie: è la triste storia che si è già verificata altrove, come in Australia o nelle Americhe. Inevitabilmente l'immigrazione procede di pari passo con la spoliazione delle terre, con l'introduzione di nuove tecniche e di nuove colture come riso e caffè.
Durante la Seconda Guerra Mondiale la Nuova Caledonia si rivela un'importante base strategica per le Forze Alleate.
Nel 1946 inizia la produzione su vasta scala del nickel. Al tempo l'ONU pone l'arcipelago sulla lista dei territori da decolonizzare, ma con un'abile mossa diplomatica la Francia fa sì che ne venga rimosso e lo dichiara "territorio d'oltremare", dando al contempo la cittadinanza francese agli abitanti. E' solo nel 1951, però, ch viene riconosciuto agli indigeni il diritto di voto. Maurice Lenormand, leader dell'Union Caledonienne, il principale partito kanak, viene eletto all'assemblea nazionale di Parigi.
Nel 1957 viene creata un'assemblea territoriale con poteri legislativi: questo induce gli indigeni ad un certo ottimismo. Ma l'anno successivo i coloni organizzano una rivolta armata per protestare contro i primi spiragli di autonomia, ed il generale de Gaulle, che è stato appena eletto presidente, scioglie l'assemblea territoriale e nomina un nuovo governatore. Lenormand viene incarcerato. Per un paio di decenni viene negata qualsiasi forma di autonomia. Le cose sembrano cambiare quando viene eletto presidente il socialista François Mitterrand (maggio 1981), che durante la campagna elettorale ha promesso di riconoscere ai Kanak il diritto all'autodeterminazione.
Proprio per questo gli anni Ottanta si rivelano i più burrascosi per i rapporti fra indigeni, coloni e governo francese. Emerge la figura di Jean-Marie Tjibaou, un ex-prete cattolico che in breve tempo si impone come leader del movimento indipendentista, ormai più cosciente e meglio organizzato. Nel 1984 nasce così il FLNKS (Fronte di Liberazione Nazionale Kanak e Socialista), nel quale confluiscono tutti i partiti. Nello stesso anno, dopo aver boicottato le elezioni della nuova assemblea territoriale, il FLNKS proclama la formazione di un governo provvisorio ed organizza una serie di proteste. Da Parigi, Mitterrand invia un suo rappresentante che deve risolvere una situazione che sta ormai precipitando: nelle settimane successive i coloni uccidono diversi kanak, fra cui Eloi Machoro, uomo di punta del FLNKS e Ministro degli Interni nell'autoproclamato governo provvisorio.
Mitterrand annuncia quindi un nuovo piano di autonomia, ma la vittoria elettorale dei gollisti ne impedisce l'attuazione. Il Primo ministro Chirac ristabilisce il controllo centralizzato sulla colonia. Spariscono anche i piani di riforma fondiaria che dovevano restituire ai Kanak una piccola parte delle terre, e la presenza delle truppe francesi viene rinforzata. Questo spinge il Forum del Sud-Pacifico a fare pressione sull'ONU affinché la Nuova Caledonia venga reiscritta nella lista dei territori da decolonizzare. Alla fine del 1986, con una votazione largamente favorevole, l'Assemblea Generale dell'ONU accetta: una vittoria di non poco conto per i Kanak.
Ma i disordini non accennano a calmarsi. Quando Mitterrand viene rieletto presidente, comunque, torna a riaprirsi il dialogo, che culmina nell'Accordo di Matignon, che viene concluso il 20 agosto 1988 a Parigi. I firmatari sono Tjibaou, il Primo Ministro Michel Rocard e Jacques Lafleur leader del RPCR, il più importante partito espresso dai coloni. In Francia viene tenuto un referendum dove l'80% dei votanti approva l'accordo: questo ne garantisce la validità indipendentemente dall'orientamento dei governi futuri. L'intesa prevede fra l'altro che dieci anni dopo, nel 1998, dovrà tenersi in Nuova Caledonia un referendum sull'indipendenza.
Nell'arcipelago, però, non tutti sono entusiasti dell'accordo siglato dal leader del FLNKS, che a quanto pare ha agito di propria iniziativa. Lo scontento di alcuni kanak si esprime nel modo più tragico: nel maggio 1989 Tjibaou ed un suo collaboratore vengono uccisi.
Negli anni successivi prosegue il dialogo fra le tre parti - Kanak, coloni e Francia - ma molti indigeni sono tutt'altro che interessati ad un referendum, dato che gli Accordi di Matignon prevedono che questo debba coinvolgere anche i coloni. E siccome i Kanak costituiscono appena il 45% della popolazione, un risultato favorevole all'indipendenza appare molto improbabile.
Negli ultimi anni una certa disaffezione per il FLNKS ha favorito la nascita di altri movimenti, alcuni dei quali guardano alla Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni elaborata dall'ONU come una piattaforma per le loro rivendicazioni.
Il FLNKS, dal canto suo, non è più compatto sull'obiettivo dell'indipendenza, dato che la sua dirigenza sta valutando anche l'ipotesi dell'autonomia. Per contro, l'obbiettivo dell'indipendenza trova crescente spazio nelle minoranze immigrate dalle isole Wallis e Futuna. La Chiesa evangelica, che fin dal 1979 è apertamente schierata con gli indigeni, continua a fornire un sostegno importante sia a livello locale che internazionale.

Alessandro Michelucci

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
A. Bensa, "Chroniques kanak. L'ethnologie en marche", numero monografico di Ethnies, n. 18-19, automne 1995.
I. Connell, New Caledonia or Kanaky? The political History of a French Colony, Australian National University, Canberra 1987.
M. Coulon, L'irruption kanak: de Calédonie à Kanaky, Messidor, Paris, 1985.

PUBBLICAZIONI
KANAKY-SOLIDARITÉ
3 passage Charolais, F-75012 Paris, France
Pubblicazioni: Le banian

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MAORI - I guerrieri degli antipodi

Attorno al 700 i Maori sono il primo popolo che raggiunge la futura Nuova Zelanda: la battezzano Aotearoa, "la terra della grande nuvola bianca". Gente di ceppo polinesiano proveniente da varie parti del Pacifico meridionale, popolano l'arcipelago a più riprese nell'arco dei secoli successivi. Fra il 1350 ed il 1650 la cultura maori si sviluppa e si consolida, conservando contatti regolari con gli altri popoli della vasta regione polinesiana, come gli Hawaiiani e gli indigeni di Rapa Nui (poi meglio nota come isola di Pasqua). Caccia, pesca, agricoltura e tessitura sono le basi della loro economia.
La società è divisa in cinque caste: capi, sacerdoti, nobili, guerrieri e schiavi.
Nel 1642 l'esploratore olandese Abel Tasman approda nell'arcipelago: questo segna l'inizio della colonizzazione europea. L'immigrazione dei pakeha (bianchi) si fa massiccia nel secolo successivo, generando duri conflitti che hanno come oggetto la proprietà delle terre.
Il Trattato di Waitangi, firmato nel 1840 da cinquanta capi tribali e dal governatore britannico William Hobson, si propone appunto l'obiettivo di regolare i rapporti fra le due parti. Il documento, che segna al tempo stesso la nascita della Nuova Zelanda, viene redatto nelle due lingue, ma l'abisso che separa l'inglese dal maori dà vita a due versioni suscettibili di interpretazioni assai diverse. Il testo inglese, tanto per fare un esempio, garantisce ai Maori "il pieno, esclusivo ed incondizionato possesso delle proprie terre", mentre l'altro parla di "piena sovranità" sulle terre stesse. Comunque il problema essenziale sta nel fatto che il trattato non viene incorporato nella Costituzione.
Negli anni successivi aumenta velocemente il numero degli immigrati europei, in larga parte provenienti dalla Gran Bretagna. Fin dall'inizio il Trattato di Waitangi si dimostra lettera morta, e le contese territoriali danno luogo a varie guerre. In varie occasioni i soldati britannici devono soccombere ai Maori, tanto che i primi arrivano a sospettare che le strutture difensive degli indigeni siano state costruite da ingegneri europei.
La guerra e le malattie di origine europea decimano i Maori, che passano dai 256.000 del 1871 ai 45.000 del 1874. Unico sprazzo di luce in questo periodo di declino, nel 1867 quattro maori sono ammessi in Parlamento.
All'inizio del Novecento i Maori danno vita a diverse formazioni politiche, come il Partito dei Giovani Maori ed il Ratana. Quest'ultimo, di ispirazione cristiana, chiede che il Trattato di Waitangi venga incorporato nella legislazione vigente.
Fino all'inizio degli anni Trenta i Maori vivono quasi esclusivamente nelle zone rurali, ma è solo dopo la Seconda Guerra Mondiale che l'inurbazione diventa un fenomeno visibile. Poco più tardi inizia il loro incremento demografico, accompagnato però da quello della mortalità infantile: nel 1960, un bambino maori muore entro il primo anno molto più facilmente di uno bianco. La discriminazione è diffusa, ma nelle città meno che nei piccoli centri; trovare un alloggio è più difficile che trovare un lavoro.
Nel 1975 il governo laburista istituisce il Tribunale di Waitangi, un organismo tecnico-giuridico che in teoria dovrebbe garantire una corretta attuazione del trattato stipulato nel 1840. Si tratta comunque di un notevole progresso, perché finora il governo ha lasciato che il Trattato di Waitangi restasse lettera morta.
Nel settembre 1984 una grande manifestazione pubblica organizzata dai movimenti maori, il Te Kotahitanga, riafferma con forza l'attaccamento degli indigeni ai propri valori culturali, sociali ed economici. Il raduno si chiude con una dichiarazione che fa riferimento al Trattato di Waitangi, del quale viene reclamata la piena attuazione.
Nel 1990 viene fondato il Congresso nazionale maori, che copre l'intera area neozelandese. Il suo obiettivo principale è quello di costituire un forum nazionale che porti avanti le istanze politiche, sociali ed economiche degli indigeni, e di elaborare una piattaforma comune delle varie tribù. Il Congresso nazionale maori si propone di fare tutto questo a livello locale e internazionale.
Il censimento del 1991 conferma l'alto tasso demografico dei Maori, che ormai sono 431.000 e rappresentano quindi il 15% dell'intera popolazione. Negli ultimi anni questa percentuale trova un adeguato riscontro politico: dal 1993 al 1996 i parlamentari indigeni salgono da 6 a 15. Oggi sono presenti in tutte le forze politiche, ed esiste anche un partito maori, Mana Motuhake.
Gli indigeni non sono attivi solo a livello politico, ma anche culturale ed accademico: pubblicano varie riviste, da Mana alla Maori Law Review, e la lingua viene insegnata in varie università. Alcuni, come l'avvocato Moana Jackson, forniscono un valido sostegno giuridico alle lotte indigene.
Ma la storia odierna dei Maori è anche un'altra, segnata dall'alcoolismo, dall'abbrutimento e dalla violenza, come documenta il bel film "Una volta erano guerrieri". Diversamente da molti altri popoli indigeni, che abitano solo certe regioni del paese in cui si trovano, i Maori abitano in tutte le parti della Nuova Zelanda, e le terre che reclamano sono sparse un po' ovunque. Questo rende molto difficile una piena attuazione del Trattato di Waitangi.

Alessandro Michelucci

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
D. Awatere, Maori Sovereignty, Broadsheet, Auckland 1984.
A. Buchanan, "150 Years of White Domination in New Zealand", Race & Class, XXXI, n. 4, April-June 1990, pp. 73-79.
L. Cox, Kotahitanga: The Search for Maori Political Unity, Oxford University Press, Auckland 1993.
A. Duff, Erano guerrieri (romanzo), Frassinelli, Milano 1995.
G. Englaro (a cura di), Leggende dei Mari del Sud, Arcana, Milano 1994.
G.-G. Le Cam, Mythe et stratégie identitaire chez les Maoris de Nouvelle Zélande, L'Harmattan, Paris 1992.
D. Lewis - W. Forman, I Maori, un popolo di guerrieri, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1983.
D. Pearson, "From Communality to Ethnicity: Some Theoretical Considerations on the Maori Ethnic Revival", Ethnic and Racial Studies, XI, n. 2, April 1988, pp. 168-191.

INDIRIZZI UTILI
ACTION FOR AN INDEPENDENT AOTEAROA
PO Box 1905, Otautahi (Christchurch), Aotearoa/New Zealand
tel. +64-3-3662803, fax +64-3-3668035
E-mail: afia@corso.ch.planet.gen.nz
MANA [rivista]
P.O. Box 1101
Rotorua, Aotearoa/New Zealand
tel. +64-7-3490260, fax +64-7-3490258
NATIONAL MAORI CONGRESS
PO Box 5079, Lambton Quay, Wellington, Aotearoa/New Zealand
tel. +64-4-4884602, fax +64-4-4994608

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LA DICHIARAZIONE DI MATAATUA

La conferenza che si tiene a Whakatana (Nuova Zelanda) dal 12 al 18 agosto 1993, promossa dalle nove tribù maori di Mataatua, riunisce oltre 150 delegati indigeni provenienti dal Giappone, dalle Americhe, dall'India e da varie parti del Pacifico.
La conferenza esamina temi quali la biodiversità, le nuove tecnologie, la gestione ambientale, le arti, la cultura e la difesa delle lingue. Il documento finale, noto come Dichiarazione di Mataatua, rappresenta un importante salto di qualità nella difesa dei diritti indigeni a livello internazionale.
I punti principali del documento sono quelli che seguono:
- E' necessario sviluppare un codice etico relativo all'uso di materiale indigeno (scritto, registrato o videoregistrato).
- Devono essere istituiti centri di educazione, di ricerca e di formazione professionale.
- Si deve tornare in possesso di alcune terre per potervi praticare la produzione agricola secondo le nozioni tradizionali.
- Si deve esaminare la legislazione relativa alla protezione dei beni archeologici.
- Si deve dare vita ad un organismo dotato di meccanismi per:
a) sostenere i popoli indigeni nella difesa del loro patrimonio culturale;
b) controllare ogni nuova legge che riguardi i diritti di proprietà culturale ed intellettuale dei popoli indigeni.
- Il Progetto Genoma deve essere interrotto, e le sue implicazioni morali, fisiche, politiche ed economiche devono essere discusse ed approvate dai popoli indigeni.
Relativamente a quest'ultimo punto, è bene sottolineare che la ricerca genetica in corso rappresenta un grave pericolo per l'integrità fisica e culturale dei popoli indigeni. Molti di questi, infatti, vengono già studiati come cavie con l'evidente finalità di aprire nuove frontiere alla medicina.

Giovanna Marconi

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MICRONESIA E POLINESIA - Gli atolli condannati

Da molto tempo l'Oceano Pacifico, che copre quasi un terzo della superficie terrestre, non è più quel "mare della pace" a cui farebbe pensare il suo nome. Per molti popoli del Pacifico, infatti, la guerra non è mai finita: è dal 1945 che le potenze atomiche sperimentano armi nucleari sulle loro isole. Fra il 1946 ed il 1958, gli Stati Uniti fecero esplodere 66 bombe atomiche sulle isole Marshall (Micronesia). Almeno diciotto isole furono contaminate a tal punto dalla radioattività che divennero inabitabili per sempre. Quando i 166 abitanti dell'atollo di Bikini dovettero abbandonare la loro isola per gli esperimenti, non sospettavano che nei decenni successivi sarebbero stati trasferiti altre quattro volte. "La nostra isola ha perso le ossa" dissero nel 1969 quando vennero riportati al loro atollo devastato, che dovettero lasciare nuovamente nel 1978 per l'eccessivo grado di radioattività. La maggior parte degli indigeni di Bikini (un nome che significa "palme al vento") e di altre isole ed atolli contaminati soffre di malattie derivate dalle radiazioni. Ormai anche da parte ufficiale si è ammesso che gli indigeni sono stati esposti anche deliberatamente alle radiazioni, con lo scopo di studiare le conseguenze di una guerra atomica.
Oggi molte vittime delle radiazioni vivono di forniture militari americane in insediamenti simili agli slums urbani, lontano dalla loro terra. Nelle isole è difficile trovare lavoro. Le famiglie numerose sono ai limiti della sopravvivenza. E' vero che alcuni hanno ricevuto un risarcimento dal governo americano, ma la maggior parte è rimasta a mani vuote. Questi soldi sono confluiti in un fondo d'amministrazione fiduciaria: a Bikini, per esempio, ognuno riceve 37 dollari al mese (66.000 lire).
Alle vittime degli esperimenti vengono concessi voli gratuiti, sussidi scolastici ed altre agevolazioni. Da questi dollari, però, traggono profitto soprattutto poche famiglie influenti. Amata Kabua, il presidente che dal 1979 governa Bikini con metodi dittatoriali, trova sempre il modo di arricchirsi a spese della popolazione. I Kabua, che sono fra i più grandi proprietari terrieri della repubblica, incassano quasi la metà del canone d'affitto che gli Stati Uniti pagano per la base missilistica di Kwajalein. Per riempire le casse vuote dello stato, cronicamente dipendente da aiuti esteri, Kabua vorrebbe fare delle isole Marshall un deposito per le scorie radioattive di tutto il mondo. Le conseguenze, come dicono gli ecologisti, sarebbero incalcolabili:nei prossimi decenni molte isole potrebbero affondare (grazie anche all'aumentata temperatura del pianeta), e le scorie immagazzinate resterebbero radioattive per oltre 20.000 anni.
Anche gli esperimenti atomici condotti dalla Francia nel Pacifico meridionale causano radicali cambiamenti socioculturali ed hanno conseguenze assai negative sulla salute degli isolani. Dal 1966 la Francia ha fatto esplodere oltre 200 bombe atomiche negli atolli di Fangataufa e Moruroa (Mururoa è l'errata grafia francese, che purtroppo viene usata in prevalenza). ll tahitiano Myron Mataaoa ha denunciato questi crimini al seminario internazionale organizzato dal World Uranium Hearing a Salisburgo (14-18 settembre 1992): "Viviamo sull'acqua e dell'acqua... Con gli esperimenti la radioattività entra nel mare e nelle barriere coralline. I pesci si nutrono dei coralli. Noi mangiamo pesce, veniamo avvelenati e moriamo. E' una forma di genocidio".
La Francia ha sempre negato recisamente che esistesse un rapporto fra gli esperimenti nucleari e l'incremento di cancro alla tiroide, leucemia, bambini malformati e nati morti, ma al tempo stesso non ha mai autorizzato studi dettagliati in merito. All'inizio del settembre 1995, dopo una moratoria di tre anni, la Francia ha ripreso gli esperimenti a Moruroa. Questo nonostante l'atollo sembrasse ormai sul punto di spezzarsi.
Il governo francese cerca di rintuzzare ogni critica con generosi stanziamenti a Papeete. Questo flusso di danaro ha già prodotto profondi cambiamenti negli arcipelaghi che formano la colonia. L'agricoltura sta scomparendo, perché esistono altri lavori più redditizi.
Tanti maohi - così si chiamano gli indigeni della Polinesia francese - non vogliono più rinunciare alle sovvenzioni francesi e ne sono ormai dipendenti.
Ma esistono anche dei movimenti che cercano di reagire a questo torpore sociale, come Hiti Tau, che raccoglie una quarantina di ONG indigene. Queste organizzazioni lavorano a piccoli progetti autonomi con un obiettivo ben preciso: l'indipendenza. Così Hiti Tau ha istituito con successo cooperative agricole, dove giovani disoccupati producono frutta, verdura e vaniglia per il proprio consumo e per la vendita.
Anche il Nuclear-Free and Independent Pacific Movement (Movimento per un Pacifico denuclearizzato e indipendente), un'organizzazione indigena fondata nel 1975, si muove in quest'ottica. La denuclearizzazione presuppone l'indipendenza: solo allora ai popoli del Pacifico sarà risparmiata la convivenza quotidiana con il terrore nucleare e con i suoi mostruosi effetti.

Ulrich Delius

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
J. Chesneaux - N. Maclellan, La France dans le Pacifique. De Bougainville à Moruroa, La Découverte, Paris 1992.
B. e M. -T. Danielsson, Moruroa, notre bombe coloniale. Histoire de la colonisation nucléaire de la Polynésie française, L'Harmattan, Paris 1993.
M. -T. Danielsson, "Polinesia francese, colonia nucleare", Pogrom (Firenze), n. 2-3, maggio-dicembre 1995, pp. 35-42.
"David gegen Goliath: Die Völker des Pazifik zwischen Selbstbestimmung und Nuklearkolonialismus", numero monografico di Pogrom (Göttingen), n. 137, Juli 1987.
U. Delius, SOS Moruroa. Französische Atomtests im Pazifik, Pazifik Informationsstelle, Neuendettelsau 1990.
D. Robie, Blood on Their Banner. Nationalism in the South Pacific, Zed Books, London 1989.
R. Smith, The Nuclear-Free and Independent Pacific Movement. After Moruroa, Tauris, London 1996.
E. Weingartner, Il Pacifico avvelenato, Macro/edizioni, Sarsina (Forlì) 1992.

INDIRIZZI UTILI
EUROPE-PACIFIC SOLIDARITY NETWORK
P.O. Box 151, 3700 AD Zeist, The Netherlands
tel. +31-3069-27827, fax +31-3069-25614
E-mail: ecsiep@gn.apc.org
Pubblicazioni: Europe-Pacific Solidarity Bulletin
HITI TAU
B.P. 4611, Papeete, Tahiti
tel. +689- 521371, fax +689- 572880
E-mail: hititau@mail.pf
Web: www.hookele.com/hititau
NUCLEAR-FREE INDIPENDENT PACIFIC
Pacific Concerns Resource Centre
83 Amy Street, Toorak, Suva, Fiji
tel. +679-304649, fax +679-304755
E-mail: pcrc@is.com.fj
Pubblicazioni: Pacific News Bulletin
PAZIFIK INFORMATIONSSTELLE
Postfach 68
D-91561 Neuendettelsau, Deutschland
tel. +49-9874-9299, fax +49-9874-9330
Pubblicazioni: Pazifik Aktuell

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LA MORTE CHE VIENE DALLA TERRA - I popoli indigeni minacciati dal colonialismo nucleare

Le imponenti manifestazioni antinucleari del 1995, nate in seguito alla decisione francese di realizzare nuovi esperimenti nel Sud Pacifico, hanno finalmente fornito un'occasione per denunciare una realtà a lungo ignorata: il fatto che la maggioranza degli esperimenti nucleari sia sempre stata realizzata in territori abitati da popoli indigeni.
Naturalmente la scelta non è casuale, ma deriva da vari fattori facilmente individuabili: si tratta in genere di territori desertici, come in Australia e negli Stati Uniti; di regioni abitate da popoli che non hanno accesso alle grandi fonti d'informazione, e che quindi sono generalmente ignorati. A questo silenzio che si traduce in complicità involontaria cerca di opporsi un'associazione tedesca, il World Uranium Hearing, fondata negli anni Ottanta da Claus Biegert, autore di alcuni libri sugli Indiani d'America.
Ma un fattore più rilevante, che purtroppo sfugge spesso, è un altro: la maggior parte dei territori in questione sono colonie di fatto (le Hawai'i o il deserto siberiano) o di diritto (la Polinesia francese o il Tibet). Non è difficile vedere il legame fra colonialismo ed esperimenti nucleari: ciascuno legittima l'altro, se così si può dire, e garantiscono la sopravvivenza di quel colonialismo europeo che conta ancor oggi una trentina di possedimenti, per un totale di 9.000.000 di abitanti. E stiamo parlando di sei paesi (Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Olanda, Portogallo e Spagna) che fanno parte dell'Unione Europea e che non perdono occasione per salire in cattedra a dar lezioni di democrazia e diritti umani al mondo intero.
Non è quindi un caso se a Papeete la lotta contro gli esperimenti francesi e quella per l'indipendenza sono tutt'uno.
In Italia, a differenza di quello che accade in altri paesi europei, c'è ancora un'attenzione molto scarsa per il colonialismo nucleare: nelle stesse manifestazioni contro i nuovi esperimenti francesi questo importante aspetto della questione è spesso rimasto in ombra. Con ogni probabilità questo disinteresse deriva da una distorta percezione dei popoli indigeni, ora visti come dei "primitivi" da civilizzare, ora come dei graziosi oggetti colorati - ma in sostanza dei ruderi viventi.
Grazie a questi diffusi stereotipi risulta facile non vedere gli esperimenti che negli ultimi 50 anni hanno devastato le terre dei Western Shoshone, nel deserto del Nevada; quelle dei Ciukci e degli Evenki, in Siberia; quelle dei Tuareg, nel Sahara algerino; quelle dei Maohi, nella remota Polinesia francese; quelle degli Uiguri, la minoranza turcomanna che vive nello Xinjang, la regione autonoma della Cina occidentale dove Pechino ha realizzato vari esperimenti fra il 1995 ed il 1996.
Terre e popoli contro i quali, nel nome del "progresso" e dello "sviluppo", viene portata avanti da troppo tempo un'aggressione silenziosa e devastante.

Alessandro Michelucci

VOCI INDIGENE

Naturalmente un panorama della questione indigena non può essere fornito soltanto da giornalisti ed esperti che restano sostanziamente estranei al problema: i veri attori sono i popoli autoctoni, quindi la loro voce non deve mancare.
A questo proposito riportiamo due testi. Il primo è il documento finale della conferenza Native Resource Control and the Multinational Corporate Challenge: Aboriginal Rights in International Perspective (Washington, 12-15 ottobre 1982). Da allora sono passati 15 anni ma il documento rimane attualissimo, perché evidenzia i pericoli del "progresso" e dello "sviluppo"e ci ricorda, se ancora ce ne fosse bisogno, che gli indigeni non sono curiosi resti del passato, ma uomini e donne che lottano per avere un futuro.

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PROGRESSO UGUALE GENOCIDIO?

Siamo qui per parlare del progresso e per cercare di trovare una risposta alla domanda che spesso ci viene rivolta dalla nostra gente: cosa significa "progresso" per i popoli indigeni? Consideriamo per esempio il caso dei Maya del Guatemala, che vive un momento tragico, un momento al quale la stampa occidentale non ha ancora dato il risalto dovuto. Era dai tempi dell'Olocausto che il mondo non si verificava uno sterminio come quello che si sta consumando in quel paese centramericano. La gente muore o scompare, l'esercito governativo massacra la popolazione civile. Insieme ai nostri fratelli e sorelle maya noi chiediamo ai giornalisti che sono qui: perché gli indigeni del Guatemala sono i bersagli dell'aggressione militare? Perché le famiglie potenti del paese centramericano vogliono la loro morte?
Perché il governo statunitense, il cosidetto guardiano del "mondo libero" sostiene un governo che compie un genocidio? Per noi indigeni il "progresso" si traduce in questo?
Questa settimana abbiamo sentito di quello che sta succedendo ai popoli indigeni del Sudamerica, dell'Australia, del Nordamerica, del Pacifico. In Brasile il problema principale riguarda la mancata definizione delle proprietà terriere. Noi sollecitiamo il governo brasiliano a prendere le misure più adeguate per demarcare le terre indigene, base della sopravvivenza di questi popoli. Al tempo stesso incitiamo le autorità brasiliane a proteggere concretamente quelle terre che vengono continuamente minacciate dai garimpeiros, spesso grazie alla complicità degli uomini politici e dei latifondisti.
Anche altri popoli soffrono. Pensiamo a quelli di Timor est, dove almeno un terzo della popolazione è già stata sterminata, come riferiscono i familiari. Si vive nel terrore, per la stampa la situazione è quasi inaccessibile.
Da tutti questi esempi si può ben capire cosa significhi il "progresso" per i popoli indigeni.
Per noi progresso significa:
- faraonici progetti idro-elettrici che arginano interi corsi d'acqua, grazie ai quali molti territori indigeni atti alla caccia, alla pesca ed alla coltivazione vengono sommersi;
- monocolture che sfruttano vaste parti di terre indigene per farci crescere frutta da esportazione, come banane ed ananas, che sarà poi vendute nei paesi industrializzati. In questo modo la terra dei popoli autoctoni viene continuamente ridotta, la popolazione si accalca in spazi sempre più piccoli, e la miseria che ne deriva viene perfino imputata alla sovrappopolazione;
Noi afferrmiamo che tutto questo è genocidio. Abbiamo detto genocidio: una parola pesante, che dovrebbe indurre alla riflessione.
Questa settimana, inoltre, molte delle testimonianze che abbiamo sentito si sono concentrate sul ruolo che in questo processo viene giocato dalle compagnie multinazionali. In particolare, ci preme sottolineare che in Guatemala un gruppo di multinazionali, che sono in buona parte statunitensi e che rappresentano un investimento totale di oltre 300.000.000 di dollari, controllano una grossa parte delle zone rurali.
Queste compagnie, fra cui la United Brands Corporation (derivata dalla United Fruit Company), già negli anni Cinquanta possedevano due terzi di tutta la terra coltivabile in Guatemala. Oggi sono strettamente legate al governo militare di quel paese, come succede in tante altre parti del mondo. Quando il Dipartimento di Stato parla di proteggere gli interessi degli Stati Uniti nell'America centrale, si riferisce agli interessi di queste compagnie. Se si studiasse attentamente il comportamento di queste multinazionali, si vedrebbe che operano quasi sempre in terre indigene, e che oggi, per molte comunità aborigene, il "progresso" sono loro.
In conclusione:
Noi, popoli indigeni, vogliamo dare il nostro contributo per un mondo migliore. Siamo offesi dal comportamento degli stati nazionali, che ignorano i più elementari diritti dei popoli, che molto spesso sono popoli indigeni.
A tutti i popoli dovrebbe essere garantito il diritto a vivere senza lo spettro del genocidio. I governi della Terra non ci riconoscono come popoli, e questo porta ai più spaventosi crimini ed alle peggiori violazioni dei diritti umani. Parliamo di torture, assassinii, arresti arbitrari, carestie programmate, spoliazione delle terre.
E' proprio questo il nostro destino? I popoli indigeni della Terra devono davvero essere spazzati via? Per noi quello che viene chiamato progresso significa necessariamente genocidio?

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NON CHIAMATECI "POPOLAZIONI"

Per le nostre culture il concetto di diritto individuale esiste solo all'interno della collettività. E' dagli obiettivi comuni, dalle relazioni interpersonali e da quelle con la Madre Terra che derivano i diritti e le responsabilità dei singoli. Negarci il riconoscimento dei nostri diritti collettivi significa negare al singolo i vantaggi della nostra identità collettiva e quindi separare due cose che per noi sono tutt'uno.
Tutti i popoli hanno diritto all'autodeterminazione. Gli stati che si oppongono all'esercizio di questo diritto cercano di evitare l'applicazione del diritto internazionale ai popoli indigeni per evitare le evidenti implicazioni che derivano dai criteri internazionalmente accettati. Per non cadere nell'ambito di applicazione del diritto internazionale, hanno escogitato un sistema molto semplice: hanno deciso che i nostri diritti di popoli non esistono se solo evitano di considerarci tali.
Ci hanno chiamato popolazioni, comunità, gruppi, società, persone, minoranze etniche; ora hanno deciso di chiamarci people (gente), al singolare.
In pratica, qualunque termine andrà bene per definirci, purché non sia peoples (popoli). Vogliono ridurre un concetto plurale ad un anonimo termine singolare per evitare di dover riconoscere il nostro diritto all'autodeterminazione. Ci daranno tutti i nomi possibili ma mai l'unico vero - peoples (popoli).

Ted Moses

I termini people e peoples sono stati lasciati in inglese dato che i loro corrispondenti in italiano (gente e popoli) non avrebbero reso il senso della polemica esposta da Moses.

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I POPOLI PIU' NUMEROSI

Berberi 12.000.000 Algeria, Marocco
Quechua 12.000.000 Bolivia, Cile, Ecuador, Perù
Uiguri 6.000.000 Cina, Kazakistan, Uzbekistan
Hmong 6.000.000 Cina, Laos, Thailandia, Vietnam
Maya 5.000.000 Belize, Guatemala, Honduras, Messico, El Salvador
Tibetani 4.000.000 Cina, Tibet
Kashmiri 4.000.000 India, Pakistan
Karen 3.500.000 Birmania, Thailandia
Santal 3.200.000 Bangladesh, India
Pellerossa (1) 2.500.000 Canada, Stati Uniti
Aymara 2.000.000 Bolivia, Cile, Ecuador, Perù
Tuareg 1.500.000 Algeria, Burkina Faso, Libia, Mali, Niger
Mapuche 1.400.000 Argentina, Cile
Naga 1.000.000 Birmania, India

(1) In realtà, com'è noto, si tratta di molti popoli. Fra i più numerosi, i Cherokee (308.000), i Navajo (219.000) ed i Lakota, meglio noti col nome di Sioux (103.000).

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I POPOLI INDIGENI SU INTERNET

Ormai tramite Internet è possibile reperire una vasta scelta di materiale informativo sulla realtà odierna dei popoli indigeni. Naturalmente lo spazio a nostra disposizione ci consente di riportare solo un piccolo elenco delle pagine web dedicate all'argomento, che può essere comunque integrato dai riferimenti riportati nelle pagine precedenti.
Chi desiderasse riferimenti più ampi li troverà sul bollettino bimestrale La causa dei popoli, diffuso via E-mail od anche in versione stampata dall'Associazione per i Popoli Minacciati.

Aboriginal Resources [http://www.io.org/~gcom/aborl.htm]
Un'ampia scelta di fonti informative sui popoli indigeni di tutto il mondo.

Aboriginal Studies WWW Virtual Library [ http://www.coombs.anu.edu.au/ResFacilities/AboriginalPage.html]
Una raccolta di fonti ideale per conoscere gli aborigeni australiani: la storia, la cultura, le rivendicazioni di oggi.

Assyria On-line [http://www.cs.toronto.edu/~jatou]
Per molti gli Assiri sono un popolo del passato: con questo sito scopriranno invece che esistono ancora oggi, e che cercano attivamente di conservare la propria identità culturale e religiosa.

The Body Shop Ogoni Page [http://the bodyshop.com/kenalert.html]
La tragedia degli Ogoni e la lotta di Ken Saro-Wiwa contro la Shell.

Café Pacific [http://138.25.138.94/acij/cafepacific]
La più completa fonte di informazione sulle lotte indigene del Pacifico, curata da David Robie.

Center for World Indigenous Studies [http://www.halcyon.com/FWDP/cwisinfo]
Un interessante centro di studi indigeni fondato e diretto da attivisti indiani del Nordamerica. Un sito fondamentale, che fra l'altro mette a disposizione un'ampia scelta di documenti dell'ONU e dei popoli indigeni di tutto il mondo.

Centre Internacional Escarrè per a le Minories Etniques i les Nacions [http://www.partal.com/ciemen]
Quello del CIEMEN è un sito fondamentale. La sottopagina intitolata Ethnic World Survey fornisce un panorama completo delle questioni etniche dei cinque continenti.

doCip [http://www.docip.org]
Il più importante centro di documentazione europeo sui popoli indigeni, che lavora in stretto contatto con l'ONU ed assicura la segreteria organizzativa dell'incontro annuale che si tiene in luglio presso la sede ginevrina delle Nazioni Unite.

Ejercito Zapatista de Liberación Nacional [http://www.ezln.org]
Un nome che non ha bisogno di presentazioni.

Free Tibet Home Page [http://www.manymedia.com/tibet/index.html]
La tragedia del Tibet, una lotta contro lo sradicamento culturale che dura ormai da mezzo secolo.

Hmong Home Page [http://www.stolaf.edu/people/cdr/hmong]
Una minoranza del Sud-est asiatico e la sua tragedia dimenticata.

Index of Native American Resources on the Internet [ http://www.hanksville.phast.umass.edu/misc/NAresources.html]
Gli Indiani del Nordamerica in rete.

Indigenous Education around the World [http://zorba.uafadm.alaska.edu/ankn.IEAW.html]
L'educazione indigena in varie parti del mondo.

Indigenous Environmental Network [Gopher: gopher.econet.apc.org]
Un sito per ricordare il legame indissolubile che unisce la questione ambientale e la questione indigena.

Information Centre of Finno-Ugric Peoples [http://www.suri.ee]
L'interessante associazione che promuove gli interessi politici e culturali dei popoli ugrofinnici (Lapponi, Samoiedi, Mordvini, etc.).

Maori Links [http://www.manuka.lincoln.ac.nz/libri/nz/maori.htm]
Per conoscere i Maori, la loro storia e le loro rivendicazioni odierne.

Nation of Hawai'i [http://www.hawaii-nation.org]
Una questione indigena spesso oscurata dai luoghi comuni più falsi.

Native Links [ http://www2.ncsu.edu/ncsu/stud_orgs/aises/nativelinks.html]
Una ventina di links dedicati in prevalenza agli Indiani del Nordamerica (ma non mancano Hawaiiani e zapatisti).

Native Net [http://www.fdl.cc.mn.us/natnet]
Le ottime mailing lists sui popoli indigeni, curate da Gary Trujillo, con notizie in tempo reale da tutto il mondo.

Native Web [http://www.maxwell.syr.edu/nativewb]
Uno dei siti più esaurienti.

Oromia Support Group [http://www. bogo.co.uk/delerium/osg]
Gli Oromo dell'Etiopia, una maggioranza discriminata e sostanzialmente ignota in Italia.

Peuples et cultures du monde [http://www.nomade.com/arts_culture/peoples]
Una raccolta di links francofoni sui popoli indigeni di tutto il mondo.

Polisario [http://heiwww.unige.ch/arso]
Sahara occidentale, l'ultima colonia africana: 20 anni di lotta contro il colonialismo marocchino.

Popoli in lotta [http://www.romagna.com/argenzano/Popoli.html]
Questo sito che offre una decina di links, dedicati in prevalenza a popoli americani, è uno dei più interessanti fra i pochi reperibili in Italia.

Samefolket [http://www.samefolket.se/index.htm]
Un'interessante rivista lappone in rete.

South and Meso American Indian Rights Center [http://www.igc.apc.org/saiic/saiic.html]
Un riferimento essenziale per essere aggiornati sulle lotte dei popoli amerindiani.

Tamazight [http://www.physics.mcgill.ca/~karim/tamazight]
La più completa raccolta di siti sui Berberi.

TimorNet [http://www.uc.pt/Timor/TimorNet]
La tragedia timorese, vent'anni di genocidio e di oppressione.

Tuareg [http:// www.imaginet.fr/yusuf]
Uno dei più interessanti siti fra quelli dedicati ai nomadi del Sahara.

World Uyghur Network News [ http://www.ccs.uky.edu/~rakhim/doc_files/etic_files/wunn.html]
Fondamentale per conoscere gli Uiguri, minoranza musulmana della Cina nord-occidentale.

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SUONI E CULTURE

E' quasi impossibile parlare di popoli senza accennare ad un'espressione fondamentale di ogni cultura: la musica. In questa sede, ovviamente, vogliamo limitarci a fornire qualche orientamento per facilitare la ricerca di materiale discografico ed informativo.

DISCHI (VENDITA PER CORRISPONDENZA)

FLORENCE INTERNATIONAL
Via Cavour 60, 50129 Firenze, Italia
tel. +39-055-216645, fax +39-055-284058

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Web: http://www.matson.it

MULTICULTURAL MEDIA
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E-mail: mcm@multiculturalmedia.com
Web: http://www.multiculturalmedia.com

RIVISTE DI MUSICA ETNICA

FOLK ROOTS
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E-mail: world-music@pantheon.it

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LA BIBLIOTECA DEI POPOLI di Firenze - Centro di documentazione sulle minoranze, i popoli indigeni e le nazioni senza stato

La Biblioteca dei Popoli è un centro di documentazione che raccoglie riviste e pubblicazioni sulle minoranze ed i popoli indigeni di tutto il mondo. E' stato fondato nel 1994 dall'Associazione per i Popoli Minacciati, ONG operante in 7 paesi europei (Austria, Bosnia, Germania, Italia, Lussemburgo, Svizzera e Francia) e riconosciuta dall'ONU.
Grazie a questa iniziativa studiosi, ricercatori, attivisti del volontariato e semplici curiosi possono disporre di una vasta scelta di pubblicazioni sempre aggiornate, fra cui quelle di AIDLCM, ASEN, Big Mountain Aktionsgruppe, Centro Studi Zingari, CIEMEN, Circolo Amerindiano, Cultural Survival, Danish Centre for Human Rights, doCip, ECSIEP, European Alliance with Indigenous Peoples , European Bureau for Lesser Used Languages, FUEV, Gesellschaft für bedrohte Völker, ICRA, Incomindios, Institut Kurde, ICRA, IWGIA, Minority Rights Group, Netherlands Centre for Indigenous Peoples, ONU, SAIIC, Survival International, UNPO.
A queste si aggiungono le pubblicazioni edite dalle minoranze stesse - dai Tuareg ai Bretoni, dagli Indiani d'America agli aborigeni australiani.
Dal 1994 all'inizio del 1997 la Biblioteca dei Popoli ha avuto sede a Villa Fabbricotti (Via Vittorio Emanuele 64, Firenze), ma ora sta cercando una nuova sede. Per altre informazioni rivolgersi al seguente indirizzo:
Centro di documentazione popoli minacciati, e-mail: popoli-minacciati@ines.gn.apc.org

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UN IMPEGNO EUROPEO PER I POPOLI MINACCIATI

Fondata ad Amburgo nel 1970 da Tilman Zülch e da Klaus Gurcke, già animatori dell'associazione Aktion Biafrahilfe, l'Associazione per i Popoli Minacciati (Gesellschaft für bedrohte Völker, GfbV) è nata con un obiettivo elementare ma anche ambizioso: sviluppare un'attività in difesa delle minoranze - etniche, linguistiche e religiose - senza limiti geografici né ideologici. Erano gli anni del Biafra, del Bangladesh e dell'Eritrea; in Europa la minoranza basca veniva repressa con spietata durezza dalla dittatura franchista, mentre i lager sovietici erano pieni di oppositori estoni, armeni, lituani, ucraini, tartari.
Oggi, dopo oltre un quarto di secolo, la GfbV è una delle più importanti organizzazioni per la difesa dei diritti umani/diritti dei popoli, con sedi in sei paesi europei (Austria, Bosnia, Germania, Italia, Lussemburgo e Svizzera) e status consultivo presso l'ONU.

Vedi la homepage della sezione italiana, con sede a Bolzano.

NOTIZIE SUGLI AUTORI
SILVIO CALZOLARI - Yamatologo, docente presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose, co-fondatore dell'Associazione per i Popoli Minacciati.
ULRICH DELIUS - Responsabile della Gesellschaft für bedrohte Völker per le questioni asiatiche ed africane.
GIOVANNA FUGGETTA - Studiosa di storia e cultura indiana, promotrice della India-Italy Association.
GESELLSCHAFT FÜR BEDROHTE VÖLKER - ÖSTERREICH - Sezione austriaca della Associazione per i popoli minacciati. Pubblica il periodico informativo Bedrohte Völker.
ELISABETH KUMI - Giornalista, collaboratrice di varie associazioni indigeniste europee.
GIOVANNA MARCONI - Collaboratrice dell'Associazione per i Popoli Minacciati.
GEORGE MAYER - Etnologo.
WOLFGANG MAYR - Giornalista della RAI di Bolzano, co-fondatore dell'Associazione per i popoli minacciati - Sudtirolo.
ALBERTO MELANDRI - Responsabile del Coordinamento italiano dei gruppi di solidarietà col popolo timorese.
ALESSANDRO MICHELUCCI - Co-fondatore dell'Associazione per i Popoli Minacciati.
TED MOSES - Capo del Grand Council of the Crees, segue con particolare attenzione gli sviluppi internazionali della questione indigena.


Ultimo agg.: 26.2.2004 | Copyright | Motore di ricerca | URL: www.gfbv.it/3dossier/popoli/pop3.html | XHTML 1.0 / CSS | WEBdesign, Info: M. di Vieste
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