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Turismo e popoli indigeni

Tra diritti umani e sviluppo

Pogrom bedrohte Völker n. 306, 3/2018

Bolzano, luglio 2018

Indice

Editoriale, Johanna Fischotter | Il turismo visto criticamente, intervista a Antje Monshausen | Turismo e popoli indigeni: maledizione o benedizione? di Yvonne Bangert

Editoriale [ su ]

Di Johanna Fischotter

Turismo e popoli indigeni. Tra diritti umani e sviluppo, pogrom / bedrohte Völker 306 (3/2018). Turismo e popoli indigeni. Tra diritti umani e sviluppo, pogrom / bedrohte Völker 306 (3/2018).

Care lettrici, cari lettori,

il mio zaino è appoggiato al letto e tutt'intorno sono sparpagliate magliette, pantaloni, creme solari e spray antizanzare mentre cerco il passaporto nei cassetti del comò. Ogni volta che si avvicina una vacanza, molti - proprio come me - vengono presi dalla voglia di viaggiare e vedere luoghi sconosciuti. Non importa che si viaggi con lo zaino in spalla, con l'attrezzatura da subacqueo o come turista all-inclusive in un hotel a quattro stelle - per sfuggire alla quotidianità cerchiamo il fascino dei paesi lontani.

In questa edizione della nostra rivista vogliamo farvi fare un piccolo giro del mondo, dai Puebla negli USA agli Embera a Panama, sulla montagna sacra di Uluru in Australia, in Sri Lanka, nei Mari del Sud e infine dai nomadi del mare nell'arcipelago di Myeik. In tutti questi posti le popolazioni cercano di mantenere il difficile equilibrio tra i benefici e i pericoli che il crescente turismo porta con sé.

Il turismo è per quasi tutti un'arma a doppio taglio. Da un lato è un'importante fonte di introiti e permette scambi culturali, dall'altro lato subisce una crescente commercializzazione che comporta pericoli come l'abbandono forzato dei territori ancestrali e lo sfruttamento anche culturale della popolazione locale. Il passo che separa i benefici dai danni è segnato da una linea sottile, soprattutto quando il turismo si relaziona con minoranze etniche, culturali e religiose o con le popolazioni indigene.

Affinché la nostra vacanza resti piacevolmente impressa anche a chi andiamo a visitare e non contribuisca allo sfruttamento della popolazione locale, spesso bastano pochi accorgimenti. Ne parliamo con un'esperta di turismo e, insieme a un'avvocatessa australiana che fa parte degli Aboriginal People, vediamo quali sono i pericoli insiti ad esempio nell'acquisto di souvenir. Alla fine però sta a noi turisti decidere come vogliamo organizzare il nostro viaggio, come comportarci nel paese di destinazione e quali priorità porre per la nostra vacanza.

Ecco, finalmente ho trovato il passaporto e ora, con qualche nozione e conoscenza in più, non vedo l'ora di incontrare e conoscere persone lontane ...

Johanna Fischotter

[Foto di copertina] Un sorriso, per favore, oppure una smorfia - l'incontro tra turisti e indigeni può essere interessante per entrambi. Ma il settore turistico nasconde anche molti pericoli per i popoli indigeni. Foto: Filipe Frazao / Shutterstock.com.

Il turismo visto criticamente [ su ]

Etica e viaggio. Intervista a Antje Monshausen, direttrice di Tourism Watch

Intervista condotta da Johanna Fischotter

Via dalla quotidianità per addentrarsi nel colorato mondo dei viaggi. Ma anche il mondo del turismo ha i suoi lati oscuri: il cambio climatico, lo sfruttamento, la penalizzazione delle popolazioni locali. Antje Monshausen, direttrice di Tourism Watch, ci racconta come viaggiare nel modo giusto.

Non sempre c'è bisogno dell'aereo, molte bellissime destinazioni sono raggiungibili anche in treno o in macchina, come p.es. le affascinanti coste della Bretagna della Francia occidentale. Foto: Johanna Fischotter. Non sempre c'è bisogno dell'aereo, molte bellissime destinazioni sono raggiungibili anche in treno o in macchina, come p.es. le affascinanti coste della Bretagna della Francia occidentale. Foto: Johanna Fischotter.

Di questi tempi, con la TV, internet e ora anche la realtà virtuale, è proprio necessario viaggiare?
Sì. Chi viaggia per conoscere raccoglie esperienze e si immerge in altri stili di vita. Penso che viaggiare sia tuttora il più importante ed efficace modo per conoscere e collocare sé stessi e gli altri nel mondo. Purtroppo però la stragrande maggioranza delle offerte turistiche praticamente non offre alcuna possibilità di incontri alla pari. Gli incontri con "l'altro", laddove avvengono, sono talmente pianificati e talmente brevi da non poter essere autentici. Troppi turisti restano confinati in una specie di zona di sicurezza a partire dalla quale diventano consumatori di esperienze piuttosto che viverle davvero. In questo senso è lecito chiedersi se tutto ciò ha senso, soprattutto se si considerano gli effetti negativi causati da questo tipo di viaggio.

Lei lavora e si impegna per un turismo responsabile, socialmente e ambientalmente sostenibile. Cosa esattamente vuole dire?
Per la nostra organizzazione, al centro dell'attenzione sono le persone nei paesi turistici, i loro desideri e i loro interessi per il turismo. Un altro punto importante di cui ci occupiamo sono le conseguenze sociali del turismo, così come le conseguenze ambientali. Ambiente e società non possono essere scisse uno dall'altra perché le conseguenze della distruzione ambientale e del cambiamento climatico ricadono direttamente sulla quotidianità delle persone, in particolare nei paesi tropicali più poveri. Per noi è importante riuscire a ridurre le conseguenze negative del turismo e porre fine alle condizioni di sfruttamento sul lavoro o, peggio ancora, di sfruttamento sessuale di bambini per mano dei turisti. Contemporaneamente è importante massimizzare le conseguenze positive del turismo. Un'organizzazione sostenibile del settore turistico va a vantaggio non solo di larghi strati della popolazione locale, ma anche dello stesso turista e degli operatori turistici. E' importante considerare non solo le persone che lavorano direttamente nel settore turistico ma anche tutti coloro che vivono nelle zone turistiche.

A proposito di cambio climatico: I viaggi a lunghi distanza incidono molto sull'ambiente. Sarebbe meglio non andare più in paesi lontani?
L'impronta ecologica lasciata dai viaggi è immensa. Una tonnellata su dodici di CO2 viene prodotta dal turismo e i viaggi in aereo sono sicuramente la forma di viaggio più dannosa. La maggior parte delle emissioni dannose sono ascrivibili ai viaggi in aereo, in particolare durante i decolli e gli atterraggi. Quindi la mia regola è: volare meno spesso e in cambio fermarsi più a lungo. Le conseguenze positive non ricadono solo sull'ambiente ma anche sulla qualità del viaggio stesso. Si ha più tempo per immergersi nella realtà locale, e se i viaggi sono meno frequenti è probabile che il turista si prepari meglio al viaggio e a quello che andrà a vivere nel paese prescelto.

Ci sono dei veri e propri operatori che forniscono la possibilità di compensare contribuendo a progetti ambientali. Anche in questo caso bisogna però scegliere operatori seri che lavorano secondo i più alti standard scientifici. Infatti non basta considerare le semplici emissioni di CO2 ma bisogna tenere conto di diversi fattori, come p.es. del fatto che la quantità di emissioni create durante il volo contribuisce alla formazioni di nuvole che a loro volta hanno degli effetti. Questo e altre conseguenze secondarie aumentano di tre volte le conseguenze negative sul clima. Quando si parla di viaggi in aereo bisogna quindi considerare l'intero bilancio climatico.

E dobbiamo essere sinceri: il turismo sostenibile finisce al più tardi o al più presto all'aeroporto. A partire dall'aeroporto un viaggio non è più sostenibile dal punto di vista climatico. E' perciò più importante ridurre il numero dei viaggi in aereo piuttosto che compensare. Chiunque può contribuire, eliminando p.es. i viaggi in aereo per le distanze relativamente brevi. Se ci pensiamo, il cambiamento climatico ascrivibile ai viaggi in aereo è la conseguenza di un fenomeno di lusso causato in tutto il mondo dai ceti alti e medio-alti. Le conseguenze del cambio climatico colpiscono invece soprattutto i poveri nei paesi in via di sviluppo, cioè coloro che hanno gran poca colpa del cambio climatico imputabile all'uomo.

Il turismo orientato alle comunità può essere un esempio per un turismo dagli effetti positivi per la popolazione locale?
Il turismo orientato alle comunità è un tipo di turismo per cui il turista si reca in comunità o villaggi che decidono autonomamente quale forma di turismo vogliono offrire. La possibilità che le popolazioni locali possano decidere autonomamente è un'importante condizione di base per un turismo responsabile e per una politica turistica sostenibile, e non solo nel caso del turismo orientato alle comunità. L'autonomia decisionale dovrebbe essere la base di ogni pianificazione turistica da parte delle istituzioni. La popolazione locale deve essere coinvolta in ogni processo decisionale che riguardi lo sviluppo del settore turistico.

Il turismo orientato alle comunità offre un grande potenziale di sviluppo per le comunità ma è estremamente interessante anche come offerta turistica. I turisti sono ospitati in case private o dormono in piccoli bungalow gestiti dalle stesse comunità. E' un ottima possibilità per vivere momenti veramente singolari e speciali ma ovviamente anche qui ci sono dei rischi di cui tenere conto. Parliamo p.es. della tutela della sfera privata o delle abitudini di consumo dei turisti in comunità tradizionali, come il consumo di alcol oppure il diverso atteggiamento rispetto ai rapporti sessuali. Inoltre è importante non trascurare la tutela dei bambini e attivare in loco campagne di sensibilizzazione nello specifico contro lo sfruttamento sessuale dei bambini. Il turismo orientato alle comunità deve essere sviluppato con molta sensibilità e richiede aiuti e consulenze sia per le popolazioni e comunità locali sia per i turisti.

Se volessi cimentarmi nel turismo orientato alle comunità, come mi devo organizzare?
Una delle maggiori sfide del turismo orientato alle comunità è la commercializzazione. In molte comunità mancano le infrastrutture e le conoscenze necessarie per creare buoni siti internet oppure per stipulare contratti onesti e corretti con operatori turistici commerciali. Negli ultimi anni però molto è stato fatto e sempre più operatori turistici hanno in catalogo anche offerte di viaggio nel settore del turismo orientato alle comunità. Vale sicuramente la pena chiedere al proprio operatore. Alternativamente molte comunità si fanno pubblicità attraverso piattaforme come TripAdvisor o Airbnb, attraverso il passaparola o cartelli appesi in negozi o ostelli. In quest'ultimo caso ci si rivolge soprattutto ai turisti "zaino in spalla".

Inoltre ci si può informare sui vincitori del concorso per il turismo responsabile To-do. Le proposte portate a concorso sono incentrate sul principio della partecipazione. Una giuria di esperti del settore turistico provenienti da organizzazioni senza scopo di lucro, operatori turistici e ministeri, sceglie ogni anno una decina di proposte. Le iniziative scelte, che spesso fanno capo al turismo orientato alle comunità, vengono provate da un esperto per una settimana. Se il programma corrisponde a quanto promesso e se la partecipazione e l'autonomia decisionale della popolazione locale vengono verificate, la giuria premia dai due ai tre progetti turistici all'anno. Sul sito di questo singolare concorso si possono andare a vedere i vincitori degli ultimi anni e trovare molte idee per molti paesi del mondo (www.todo-contest.org).

Andiamo a vedere l'altra faccia della medaglia: troppi turisti possono essere un problema?
Questa è una domanda importante che nel frattempo si stanno ponendo anche il settore turistico e le istituzioni che si occupano di turismo. In questo caso si parla spesso dell' over-tourism. Quando un settore turistico senza regole convoglia in un solo luogo troppi turisti in un lasso di tempo troppo breve, il turismo spesso e volentieri diventa un problema. Succede nei cosiddetti paesi in via di sviluppo nei quali mancano le infrastrutture e le risorse per il turismo di massa, ma vengono spinte al limite anche le persone residenti nelle mete turistiche più gettonate come le capitali europee o le destinazioni delle navi da crociera. Le necessità delle masse di turisti causano alterazioni anche pesanti nella quotidianità delle popolazioni locali. Il caso di Venezia è conosciuto ma anche Cuba rientra in questa categoria. Se fino a relativamente poco tempo fa le navi da crociera che attraccavano a Cuba erano poche, in solo pochi anni il loro numero è cresciuto di 50 volte. Oggi, quando una nave da crociera attracca a L'Avana e deve riempire le cisterne di acqua può succedere che l'intera città resti senza acqua per diverse ore. Un altro problema causato dal turismo di massa nelle regioni aride è dato da certe infrastrutture quali campi da golf o grandi parchi che circondano gli hotel e che hanno bisogno di molta irrigazione. Contemporaneamente la popolazione locale ha a disposizione solo una minima frazione di acqua rispetto a quanto consumato per i turisti. Una singola stanza di un albergo di lusso in una zona arida può arrivare ad avere un consumo d'acqua quotidiano pari a quanto consumato da una famiglia allargata in un'intera settimana.

Il turismo è cambiato nel corso degli ultimi anni?
Dal punto di vista quantitativo, il turismo è cresciuto enormemente e questo ha comportato anche un aumento nel consumo delle risorse. Contemporaneamente è però cresciuta anche la domanda per un turismo sostenibile. Sempre più persone mostrano sensibilità per il tema e non vogliono che il loro viaggio pesi sull'ambiente e sulle popolazioni locali. Purtroppo però questa maggiore sensibilità non si rispecchia sul numero delle prenotazioni. In Germania p.es. tra il 40 e il 50% delle persone intervistate sostiene di avere a cuore l'ambiente e la sostenibilità sociale, ma quando si tratta di prenotare una vacanza questi criteri diventano determinanti solo per il 2% dei turisti. Chi se lo può permettere tende piuttosto a fare addirittura dai tre ai quattro viaggi all'anno invece di ridurre il numero dei propri viaggi. Ma se si considerano le conseguenze ecologiche di un singolo viaggio diventa evidente che sarebbe fondamentale ridurre il numero dei propri viaggi.

E' cambiato anche il suo lavoro?
Per noi continua ad essere importante diffondere nelle nostre società la percezione che le popolazioni nei paesi turistici hanno del turismo e del turista. Questo implica dare voce direttamente a chi subisce il turismo o addirittura ne è vittima. I punti di vista degli ospitanti non sono infatti molto conosciuti tra i turisti. Ma crediamo sia importante anche rafforzare la società civile nei paesi che accolgono i turisti. Quando l'economia e la politica del turismo parlano di impostazioni multistakeholder (concetto secondo cui si tiene conto degli interessi di tutti i gruppi coinvolti) perlopiù intendono interventi concordati tra politica e imprese e che escludono l'opinione delle persone in loco, della società civile e delle organizzazioni non-governative.

Oltre a questi ambiti, un aspetto importante del nostro lavoro soprattutto in Germania è il rapporto con gli operatori turistici poiché la maggior parte delle vacanze nei paesi in via di sviluppo viene organizzata e prenotata tramite operatori turistici. Ma il mercato del turismo sta cambiando e sempre più persone non acquistano più l'intero pacchetto vacanziero presso un ufficio turistico o un singolo operatore ma acquistano singole parti della loro vacanza in rete, e quindi in futuro vogliamo estendere il nostro lavoro sulle piattaforme turistiche digitali. Questo ovviamente comporta anche un lavoro di sensibilizzazione diverso.

Ancora qualche domanda sulla sua organizzazione. Com'è nata Tourism Watch?
Tourism Watch è nata 40 anni fa come servizio di educazione politica in risposta al crescente trend delle vacanze nei paesi in via di sviluppo. All'epoca le Chiese (protestanti) nei Caraibi e in Asia chiedevano alle Chiese loro consorelle in Europa e in Nordamerica di fare maggiore lavoro di sensibilizzazione sul turismo. Bisognava creare una coscienza sul fatto che, come turista, ci si stava recando in luoghi in cui le società erano e sono più deboli ed economicamente più vulnerabili e che il turismo, di conseguenza, comporta anch'esso rischi e pericoli. Inizialmente ci siamo preoccupati di sensibilizzare i turisti sui pericoli per gli eco-sistemi e per le culture locali nonché sullo sfruttamento lavorativo e sessuale dei bambini. Lo sfruttamento dell'infanzia è stato un tema centrale per tutti gli anni 1970 e purtroppo continua ad essere uno dei maggiori problemi legati al turismo. Tuttora il numero di bambini vittime di sfruttamento in ambito turistico è in crescita.

Tourism Watch effettua anche dei test e fornisce suggerimenti?
No, non facciamo alcun tipo di test. Siamo un piccolo ufficio con solo due collaboratrici. Ma sosteniamo chi li fa, come la società di certificazioni TourCert, di cui siamo co-fondatori e facciamo parte del suo consiglio di certificazione, insieme a organizzazioni ambientaliste, sindacati e scienziati. Contribuiamo a fissare i criteri necessari per ottenere la certificazione e di fatto decidiamo della concessione delle certificazioni TourCert agli operatori turistici. Tramite questo strumento possiamo anche dare suggerimenti e consigli.

Quali sono le domande che più spesso vi vengono fatte e quali le vostre risposte?
Molte persone hanno domande molto concrete, come "con quale operatore posso prenotare le mie vacanze in buona coscienza?" oppure "quale paese mi consigliate per le mie vacanze?" Quando si tratta di dare consigli sui paesi di destinazione cerchiamo di capire cosa si aspetta una persona dalle proprie vacanze e incoraggiamo le persone a porre delle priorità. Se l'idea è di passare il tempo in spiaggia sotto il sole, non c'è bisogno di recarsi in un paese esotico, magari con una dittatura militare come p.es. la Thailandia. Se invece si vuole andare per conoscere persone, cultura e paese, allora suggeriamo di preparasi bene. La seconda domanda più frequente riguarda il nostro lavoro e le motivazioni che ci spingono a fare quello che facciamo. Molti pensano che il nostro lavoro somigli a una lotta contro i mulini a vento e in parte ciò è vero. Ma è anche vero che abbiamo il privilegio di lavorare in un settore al quale la maggior parte delle persone reagisce positivamente ed è disposta a parlarne. I molti piccoli successi ottenuti nel corso degli anni con le organizzazioni partner in loco ci incoraggiano a continuare. Se cinque anni fa la questione dello sfruttamento sessuale dei bambini in Sri Lanka era ancora un tabù, oggi ne parliamo con rappresentanti del settore turistico e con operatori turistici per cercare insieme e pubblicamente delle soluzioni.

Poiché ha appena menzionati le dittature militari, cosa pensa Tourism Watch del boicottaggio turistico per alcuni paesi?
Secondo la nostra esperienza, i boicottaggi colpiscono quasi sempre le persone sbagliate. Più che sconsigliare determinati paesi, noi sconsigliamo determinate forme di viaggio. I modi in cui organizzare e trascorrere le proprie vacanze possono variare molto da persona a persona. In base a com'è organizzata la propria vacanza, un viaggio in un paese governato da una dittatura militare può sostenere la dittatura oppure per contro fornire alla popolazione locale la possibilità di portare le proprie istanze all'estero. In questi casi è importante prepararsi bene per non mettere involontariamente in pericolo le persone in loco, sia per comportamenti poco sensibili sia per domande poste in modo troppo esplicito.

Quale impressione ha della politica? Si assume la propria responsabilità nel settore turistico?
La questione della sostenibilità sta assumendo sempre maggiore importanza ma purtroppo la politica turistica europea si concentra soprattutto sul turismo in entrata. Vengono promosse le proprie regioni turistiche con le loro attrazioni ma c'è poca o nessuna attenzione per il turismo in uscita nonostante sia proprio lì che c'è bisogno di incentivare la sostenibilità. In un'ottica globale abbiamo bisogno di andare oltre le politiche locali e/o nazionali per avvicinarci a una politica del turismo globale. Inoltre, la politica allo sviluppo spesso considera il turismo come un motore dello sviluppo nonostante le statistiche dimostrino chiaramente che a lungo termine il turismo rafforza le disuguaglianze sociali e favorisce la distruzione ambientale. E' quindi estremamente importante pensare alle condizioni di base e al tipo di turismo che si vuole incentivare. Sfortunatamente il successo del settore turistico viene ancora misurato in base al numero di turisti accolti piuttosto che in base alle conseguenze del turismo per la popolazione locale. Se il turismo non comporta un miglioramento della situazione della popolazione locale, allora non ha alcun senso nemmeno dal punto di vista dello sviluppo economico.

In conclusione: cosa posso fare io personalmente per essere un turista migliore? Mi può dare due o tre consigli da mettere in atto per la mia prossima vacanza?
Per quanto riguarda l'onere ambientale e l'impronta ecologica, la regola d'oro è di fare meno viaggi e in cambio di fermarsi più a lungo in un paese. Una buona preparazione aiuta sicuramente ad aumentare i benefici, sia per la popolazione locale sia per me come turista, e diminuisce la probabilità di spiacevoli malintesi o cattivi comportamenti. La mia proposta è quella di usare i mezzi pubblici locali. In questo modo si ha la possibilità di chiacchierare con le persone, di conoscere la normale quotidianità della gente e di allontanarsi dal piccolo, ristretto e spesso fasullo mondo dei turisti.

Sono piccoli consigli che però da soli già rendono il proprio viaggio più sostenibile, creano conseguenze positive in loco e trasformano la propria vacanza in una vacanza più bella, più vissuta, più avvincente e sicuramente più unica.

Turismo e popoli indigeni [ su ]

Maledizione o benedizione?

di Yvonne Bangert

Scambi culturali? Interesse sincero per altre culture? Ricerca frenetica dell'esotico? O addirittura la pretesa di fare cooperazione allo sviluppo? - Il turismo presso le popolazioni indigene può assumere molte sfaccettature.

Acoma Pueblo è conosciuta anche come la città del cielo (Sky City). Si trova su un altipiano a 120 m di altezza dalla piana sottostante. La maggior parte degli Acoma non vive più sull'altipiano ma in basso nella piana. Foto: Marshall Henrie/Wikipedia (CC) BY-SA3.0. Acoma Pueblo è conosciuta anche come la città del cielo (Sky City). Si trova su un altipiano a 120 m di altezza dalla piana sottostante. La maggior parte degli Acoma non vive più sull'altipiano ma in basso nella piana. Foto: Marshall Henrie/Wikipedia (CC) BY-SA3.0.

Con l'arrivo di settembre per gli abitanti di Taos Pueblo nel Nuovo Messico si avvicina uno dei giorni più importanti dell'anno e il villaggio si prepara a festeggiare il San Geronimo Day. Ogni anno a fine settembre i Taos Pueblo (Taos Pueblo è sia il nome del villaggio sia il nome del popolo) onorano con sfilate, danze e le burle dei danzatori Koshare il loro santo patrono San Geronimo (o Girolamo). Durante questa giornata i danzatori Koshare, simili ai nostri buffoni, godono di massima libertà e con le loro burle costringono gli abitanti del villaggio a guardarsi allo specchio e a prendere atto dei vizi e delle malefatte commesse nell'anno appena passato. Gli ospiti non-indigeni sono ammessi alla festività purché ne rispettino le regole come non intralciare i danzatori, comportarsi rispettosamente e non scattare fotografie o fare filmati. I Koshare vigilano sul rispetto delle regole e chi le viola viene ridicolizzato in pubblico e con forti urla inseguito per tutta la piazza del paese. Inoltre viene requisita temporaneamente la macchina fotografica, giusto il tempo per cancellare tutte le foto.

A prima vista il villaggio di Taos Pueblo potrebbe sembrare una Disneyland in salsa indigena. Non vi è praticamente libro fotografico sul sudovest degli Stati Uniti che non contenga almeno un'immagine delle costruzioni a più piani in argilla dei Taos Pueblo. In realtà vi è un regolamento molto rigido che limita la libertà di movimento dei turisti all'interno del villaggio:

1. Per favore rispettate le indicazioni circa le zone chiuse al pubblico. Esse proteggono la sfera privata dei nostri cittadini e i luoghi di culto della nostra religione.
2. Vi preghiamo di entrare solo negli edifici che sono chiaramente indicati come botteghe e negozi. Tutti gli altri edifici non sono accessibili al pubblico.
3. Per favore non scattate fotografie alle persone indigene senza il loro consenso.
4. E' proibito scattare fotografie all'interno della chiesa di San Geronimo.
5. Per favore rispettate il nostro cimitero. Non è permesso entrarci. La zona è marcata da un muro in argilla, al cui interno si trova anche la vecchia chiesa.
6. Non entrate o immergetevi nel fiume, è da lì che proviene la nostra acqua potabile.
7. Infine: Vi diamo il benvenuto a casa nostra e vi preghiamo di rispettarla come se fosse la vostra.

Per i turisti non è possibile accedere a tutte le ore né a tutte le zone del villaggio di Taos Pueblo. I visitatori devono pagare un'entrata e una piccola tassa per le foto. Tutto ciò potrebbe far pensare a una tattica di squallido affarismo ma si tratta in realtà di tutelare la sfera privata degli abitanti del paese nonché di garantire parte di un importante nonché quasi unico introito per il paese.

Nel Nuovo Messico ci sono 19 Pueblo, ossia villaggi del popolo omonimo di nativi americani. Ogni villaggio forma con le terre circostanti una piccola riserva e ognuno mette in atto strategie diverse per approfittare del turismo cercando al contempo di difendersi dall'invasione e dalla mancanza di rispetto degli estranei. Alcuni Pueblo gestiscono alberghi nelle città di Santa Fe e Albuquerque o sale da gioco d'azzardo nelle loro riserve grazie alle quali creano posti di lavoro e introiti. In entrambi i casi dipendono dal turismo.

In questi villaggi secolari solitamente non sono ammessi turisti nelle aree residenziali. A nessuno, infatti, piacerebbe ritrovarsi con una moltitudine di estranei che passeggia nel proprio salotto e scatta foto della propria casa. Alcuni Pueblo creano percorsi appositi per i turisti sistemando musei, botteghe e negozi di artigianato nelle stradine di accesso al paese e permettendo l'accesso al villeggio vero e proprio solo in occasioni particolari.

Acoma Pueblo, che si pubblicizza anche come Sky City, permette l'accesso al villaggio storico sull'altipiano solo ai gruppi di turisti guidati. Sull'altipiano si trovano anche i Kiva, gli antichi locali per le funzioni religiose e le assemblee. I Kiva sono tabù per i non iniziati e le guide fanno quindi particolarmente attenzione che nessun turista si allontani dal gruppo. La maggior parte delle famiglie di Acoma Pueblo si è trasferita in una casa nuova ai piedi del villaggio storico sull'altipiano, ed è là che si trova anche il centro visitatori con il museo, il negozio di souvenir e la gastronomia. Tutti coloro che non hanno trovato posto in uno dei gruppi guidati possono fermarsi al centro visitatori e ricevere tutte le informazioni del caso sul villaggio, i suoi abitanti e la loro cultura.

L'ottima qualità dell'artigianato artistico vale certamente il prezzo a volte un po' alto a cui è in vendita e spesso è addirittura oggetto di collezionismo. Tra i prodotti tipici dell'artigianato locale figurano le ceramiche lavorate a mano, cotte in forni tradizionali costruiti a mano e dipinte con colori prodotti dagli stessi artigiani, i tappeti tessuti a mano e i gioielli in argento, così tipici per il sudovest degli USA, anche questi lavorati a mano. I produttori indigeni sono tutti registrati e firmano i loro prodotti con un logo individuale. In questo modo non solo vengono garantiti i compratori che possono distinguere facilmente un'opera originale da un'imitazione a basso costo proveniente dal Messico o dall'Estremo Oriente, ma si riesce anche a proteggere gli artigiani e artisti locali e quindi a garantire la sopravvivenza e lo sviluppo della propria cultura artigianale.

Il mito del turismo sensibile

Il cosiddetto turismo sensibile o sostenibile non necessariamente è meglio del turismo di massa poiché non protegge le popolazioni indigene dalla commercializzazione dei loro valori. Nel 2017 le Nazioni Unite hanno proclamato l'anno del turismo sostenibile per lo sviluppo. L'iniziativa è fortemente criticata dall'esperta di turismo Anita Pleumaron e da Chee Yoke Ling, direttrice del Third World Network. Le due ricercatrici espongono le loro obiezioni in un articolo diffuso dalla Global Forest Coalition (vedi: www.socialwatch.org/node/17308). La Global Forest Coalition riunisce diverse organizzazioni non governative e organizzazioni di popoli indigeni che si battono a livello mondiale per la tutela delle foreste e per la giustizia sociale. L'articolo sostiene che la stessa denominazione "turismo sostenibile per lo sviluppo" sia fuorviante e nasconda le reali conseguenze del turismo per i popoli indigeni e per la tutela del clima. Lungi dall'essere un antidoto alla povertà e di sostenere uno sviluppo sostenibile, la maggior parte delle imprese turistiche causano invece una distribuzione iniqua della ricchezza, violazioni dei diritti umani, erosione culturale, peggioramento delle condizioni ambientali e mettono in pericolo l'equilibrio climatico.

Il fascino di questo tipo di turismo sta proprio nel fatto di portare i turisti in ecosistemi sensibili e nelle terre ancestrali di popoli nativi. Ciò non solo può comportare la perdita della biodiversità e dell'eredità culturale ma di norma implica anche voli aerei di lunga distanza e quindi maggiore inquinamento e un aggravio per il clima.

Inoltre questo tipo di turismo viene perlopiù promosso da grandi imprese straniere e non, come ci si augurerebbe, da piccole imprese locali o meglio ancora direttamente dalle popolazioni indigene interessate. La maggior parte dei profitti ricadono sulle imprese e sui paesi in cui queste hanno le loro sedi mentre alle popolazioni in loco restano le conseguenze negative e la distruzione socio-ambientale.

L'articolo fa notare che uno dei primi provvedimenti per avviare una meta turistica, anche del cosiddetto turismo sostenibile, è la privatizzazione di terreni pubblici o comunitari affinché possano essere venduti agli investitori stranieri del turismo di lusso. Ciò comporta troppo spesso l'espulsione di parte della popolazione dalle terre ancestrali e l'esautorazione del potere decisionale delle comunità native. Il turismo è un settore economico fortemente deregolamentato che causa innalzamento dei prezzi, forti speculazioni e costituisce quindi un alto fattore di rischio per le economie locali e per le consuetudini e strutture sociali locali.

Le autrici infine accusano l'organizzazione per il turismo dell'ONU (UN World Tourism Organization, UNWTO) di superficialità e di non occuparsi sufficientemente delle conseguenze inique e insostenibili del turismo. L'UNWTO propagherebbe l'eco-turismo come una soluzione a tutti i problemi. In realtà servirebbe innanzitutto una regolamentazione del settore. Affinché l'eco-turismo possa portare sostanziali vantaggi anche alle popolazioni indigene è fondamentale elaborare regole e leggi capaci di tutelare efficacemente le popolazioni e comunità locali capaci di preservarle dagli effetti negativi del turismo. Tra le prime regole dovrebbe esserci l'obbligo per le imprese turistiche a risarcire eventuali effetti sociali negativi così come i probabili danni ambientali.

Le autrici Anita Pleumaron e Chee Yoke Ling non sono le sole a criticare gli attuali meccanismi del cosiddetto turismo sensibile. Altre voci contro il turismo presso popolazioni indigene si levano dal Belgio, nella pagina facebook dell'Indigenous Tourism Organization. Anche in questo caso si tratta di una rete di organizzazioni non governative e indigene che attraverso la pagina facebook riescono a scambiare esperienze, informazioni e valutazioni sul tema del turismo. In conclusione si può dire che i vantaggi del turismo per le popolazioni indigene si verificano solo quando a decidere sull'intero processo sono le stesse popolazioni interessate. Solamente quando le popolazioni indigene potranno decidere autonomamente quali parti della loro cultura vogliono condividere con i turisti e quanti turisti si possono fermare quanto tempo presso le loro comunità, e solo quando i fornitori di servizi turistici e gli stessi turisti rispetteranno tali decisioni si potrà parlare di vera e paritetica condivisione e scambio di esperienze tra ospiti e ospitanti.

Yvonne Bangert lavora con l'APM a Göttingen fin dal 1980. Inizialmente era redattrice della rivista "popoli minacciati-pogrom", da dieci anni è referente per i popoli indigeni.


La versione cartacea è stata realizzata con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano.

Pogrom-bedrohte Völker 306 (3/2018)